ISSN 2239-8570

DIRITTO CONTRATTUALE EUROPEO, RIMEDI DI «TERZA GENERAZIONE» E DIRITTO DEL LAVORO, di Giuseppe Vettori

 Ordinario di Diritto Civile – Università di Firenze1. Dai PECL al Draft Common Frame of Reference. 2. Sul «diritto contrattuale europeo». 3. Asimmetrie e rimedi. 4. La diagnosi dell’attualità. 5. Sulle strategie. 6. La buona fede come rimedio risarcitorio. 7. La tutela specifica e la strumentalità del processo. 8. I contratti sociali di durata.1. Il confronto fra diritto civile e diritto del lavoro nella prospettiva del diritto europeo ha aspetti di grande interesse per una serie di motivi che provo a elencare in breve.Anzitutto occorre ricordare che il laboratorio europeo si è arricchito di un testo di Common Frame of Reference(1) presentato come la prima bozza accademica di un possibile Quadro comune di riferimento (CFR) basato su una revisione dei PECL (della Commissione Lando) volta a contenere Principi, Definizioni e modelli di regole sui contratti e altri atti giuridici, sulle obbligazioni e i corrispondenti diritti, sui fatti illeciti e su altre obbligazioni non contrattuali oltre ad alcuni contratti speciali. Il tutto come materiale per una decisione politica sul diritto europeo dei contratti che è stata annunciata dalla Commissione entro il 2009, dopo la prima Comunicazione del 2001(2) l’Action plane del 2003(3) e l’ulteriore Comunicazione del 2004 (4).La struttura articolata denota l’alto grado di approfondimento raggiunto. Dopo un’Introduction sulla finalità, i propositi e gli sviluppi si individuano gli Academic contributors and funders, si formula una Table of Destinations e una Table of Derivations con un raffronto fra i PECL e le model rules del CFR. Si precisa poi la struttura dei Model Rules distinti in sette Books due Annex e un Index. I sette Libri riguardano: General provisions (I) Contracts and other juridical acts (II), Obligations and corresponding rights (III), Specific contracts and the rights and obligations arising from them (IV), Benevolent intervention in another’s affairs (V), Non-contractual liability arising out of damage causaded to another (VI), Unjustified enrichment (VII), Definitions (Annex 1), Computation of time (Annex 2).Quanto alle reali intenzioni degli Organi comunitari ciò che accadrà non è facilmente decifrabile. Basta ricordare che dopo l’Action Plan del 2003 la Commissione si era proposta il duplice obbiettivo di migliorare l’acquis communautaire e di definire un Quadro Comune di Riferimento (CFR) contenente principi e modelli di regole comuni. I due obbiettivi hanno proceduto a lungo separati e in parallelo. Si è costituita una complessa struttura organizzativa ma dopo una fase iniziale di lavoro sulla definizione dei Principi sono emersi problemi non facilmente precisabili e di diversa natura. Si è preso atto che il settore dei contratti tra imprese non può essere assimilato ai contratti dei consumatori e d’altra parte ogni possibile contaminazione è vista con sospetto, in molti ambienti sociali. Sia perché ciò urta in modo evidente con precisi interessi imprenditoriali sia perché si dubita della legittimità delle istituzioni comunitarie a formulare principi sul contratto in generale.Quale che sia la giustificazione della svolta certo è che si è attribuita priorità alla revisione del diritto dei consumatori con la pubblicazione di un libro verde sulla revisione delle otto fondamentali direttive sul consumo con l’obbiettivo di predisporre «una direttiva orizzontale civilistica in un contesto settoriale». Resta da vedere quale sorte avrà il CFR e sul punto il dialogo è in atto in ogni ordinamento ove ci si interroga sulla stessa consistenza di un riferimento ad un diritto contrattuale europeo.2. Per alcuni lo Spazio europeo è nato perché «vi si svolga e si espanda un’economia di mercato che è oggi propriamente tecno-economia»; un sistema dove scoperte scientifiche e applicazioni tecniche influiscono su forme e risultati produttivi sicché l’economia segna la direzione. Da qui un carattere preciso del diritto comunitario come espressione di una ratio non religiosa o metafisica o storica, ma contingente e pragmatica nel preoccuparsi di completare e far funzionare il mercato comune. Ciò rivela, secondo questa tesi, l’assoluta artificialità del diritto europeo incompatibile con molti concetti del passato, liberato da un eccesso di storia, bisognoso di un «arioso rapporto con le singole norme», nuovo come il suo oggetto (5).Per altri, all’opposto, il processo in corso rafforza e giustifica l’idea del carattere extrapositivo del diritto privato «liberato da suggestioni statualiste e codicistiche e si coglie nel diritto europeo in formazione un ulteriore segno della reazione al diritto della modernità che privilegia una formazione spontanea (lex mercatoria) come modalità tipica della globalizzazione» (6).Per altri ancora il diritto privato europeo è segnato dal «riparto di competenze fra diritto comunitario e diritti nazionali con un esito chiaro: il … massimo avvicinamento di ciò che è diverso e rimane distinto». Ciò perché non sempre gli interventi di policy sono opportuni in mercati complessi e «in discipline non sempre suscettibili di pronta generalizzazione». Basta pensare alla persona, alla famiglia e alle successioni ove l’area comunitaria si sta espandendo «con un processo condizionato dal problema epocale della multietnicità e del multiculturalismo» (7).Dunque esistono tanti diversi modi di intendere il medesimo oggetto e l’orien¬tamento che viene indicato in un Manuale recente è in piena sintonia con questa pluralità. Manca, si osserva, un criterio formale o sostanziale in grado di fornire una risposta univoca sulla stessa delimitazione ed occorre perciò «mettere in evidenza i sentieri lungo i quali si trova traccia di quello che oggi chiamiamo diritto europeo» (8). Vari itinerari che debbono essere percorsi con due orientamenti precisi.Distinguere «quanto è già vincolante erga omnes e quanto è ancora in formazione. Affidarsi ad una concettualizzazione flessibile che può giovarsi di metodi e strumenti diversi di conoscenza e di valutazione. Dalla comparazione necessaria per la comprensione della proprietà ancora così diversa nei due ambienti, alla ricostruzione sistematica in presenza di contesti omogenei (come in tema di concorrenza), alla esegesi e alla analisi sistematica dell’acquis in tema di diritto del consumo, sino all’utilizzo rigoroso dei principi e dei valori» (9).Per tutti questi temi è necessaria una bussola, un criterio di orientamento essenziale per mettersi in cammino. Provo a indicarne una.L’ordine comunitario è rimediale come metodo e come oggetto, per alcune evidenti ragioni. Il legislatore è pragmatico e poco incline alle architetture concettuali; «è orientato ai rimedi più che alla attribuzione astrattizzante dei diritti» perché ha «istanze concrete da raggiungere». «Non scrive o riscrive fattispecie in modo compiuto ma ritiene assolto il proprio compito quando riesce a far convivere il massimo di efficienza e di effettività con il minimo e di generalizzazione» (10).Questo laboratorio ha un fine preciso. Correggere le asimmetrie informative e di potere che ostacolano un corretto procedere della domanda e dell’offerta. E su questo occorre fare un minimo di chiarezza.3. Il termine evoca un’anomalia da correggere (asimmetrie) e una tensione ideale (eguaglianza) e per un’analisi che abbia una qualche utilità occorre affrontare almeno tre temi. Le ragioni e i limiti delle soluzioni adottate nelle codificazioni, una sommaria diagnosi dell’attualità e alcune modalità per ridefinire rimedi adeguati alla complessità di oggi. Cominciamo dal primo.La storia ci insegna che il passaggio dai contratti al contratto è connesso al trapasso dal medioevo alla modernità ed è scandito da una precisa svolta antropologica. L’età di mezzo (che lambisce gli anni della Rivoluzione francese), ha una completa sfiducia nell’individuo e nella fragilità del suo consenso e mostra grande attenzione ai tipi oggettivi del contractus e dei pacta.Il progredire verso la modernità ha un protagonista assoluto. L’individuo è liberato dalle catene dello stato di natura e dai lacci delle comunità, mediante un processo di astrazione e semplificazione che genera un soggetto metastorico cui sono consegnati due strumenti per la padronanza di sé e del mondo. La proprietà e il contratto. Il soggetto unico ha bisogno di una forma contrattuale generale ed astratta che, si dice nei codici, ha forza di legge perché esprime la spartizione di sovranità fra individuo e stato ed evoca il coniugio stretto fra liberismo economico e assolutismo della legge (11).La dimensione collettiva che germina nei primi decenni del novecento incontra ben presto l’ideologia ed è noto ciò che è accaduto. In Germania, in Russia e in Italia si sono sviluppati modelli culturali (la razza, la classe, la nazione) incompatibili con la visione precedente del soggetto e dei suoi diritti (12).Come e quanto questa vicenda influisca sulle idee e le strutture del codice italiano del 1942 è una questione a lungo trascurata e oggetto di un recente ed acuto ripensamento (13). Certo è che l’ordine corporativo si è proposto di ripensare «in veste progettuale l’intero spettro dei rapporti fra individuo e stato» (14) e il contratto non ha potuto non risentire di una visione che si proponeva di inserire «le energie individuali in un progetto globale di convivenza» (15).Sono diverse, come è noto, le idee sulla neutralità del codice e sull’opera dei giuristi che contribuirono alla sua redazione. Ma è certo che non fu sufficiente un operazione di pulizia di alcune disposizioni, inserite nel codice, e che potevano essere cancellate «come bestioline parassite che si estirpano con le pinzette e si buttano nella spazzatura» (16). La verità è che il peso del regime si avvertì chiaramente. Basta un esempio: la causa pensata come categoria volta ad unificare ciò che non poteva essere unificato: la razionalità «minima del nudo patto e la sua giustizia» (17).Una vicenda del tempo è illuminante.L’art. 22 del progetto italo francese di riforma delle obbligazioni aveva ipotizzato un rimedio di grande modernità. Dalla iniquità delle prestazioni si presumeva un consenso non sufficientemente libero e si attribuiva al giudice il potere, su istanza di parte, di annullare o correggere il regolamento.La reazione di Emilio Betti fu netta. La scelta era un corollario del famigerato dogma della volontà, tipica manifestazione della «concezione individualistica propria del diritto naturale ed eredità del liberismo». Di più. Essa era l’espressione delle democrazie borghesi asservite al «capitalismo non corporativo dietro il quale si nascondeva un nuovo e non meno pericoloso democraticismo a sua volta inquinato da suggestioni della mitologia socialista». Il modello da seguire era tedesco e in mancanza di una norma simile al par. 1338 del BGB si propose, come rimedio all’usura e allo squilibrio, una correzione oggettiva come l’illiceità della causa chiamata da assolvere, appunto, funzioni molto diverse e incompatibili. Fondare la giuridicità dell’atto e la giustizia del suo contenuto (18).Tutto questo, e non solo, giustifica la posizione di chi ha ravvisato nella civilistica del dopoguerra una rimozione che «determinò per il diritto civile e la sua scienza la perdita dell’occasione di sentirsi coinvolta ed essere parte di un processo reale di democratizzazione del diritto» (19). Alcuno ha parlato di «straniamento» della dottrina (20). Un’estraneità alla cultura del tempo come schermo difensivo innalzato contro le seduzioni ideologiche del fascismo. Forse, si conclude, sarebbe stato più utile misurarsi con essa ed è difficile non condividere tale giudizio.4. Ma occorre tornare al presente ove il passaggio dal contratto ai contratti è ancora espressione di un assetto dell’economia e di una certa presenza dell’uomo nel mondo, recepita in modo diverso nel BGB e in Italia e Francia.Il codice tedesco accoglie nella parte generale un soggetto e un contraente non unico ma qualificato. Il code civil e il codice civile italiano sono affiancati da testi di settore emanati con le finalità nuove che impongono di ridefinire le fonti del diritto dei contratti, valutate in modo molto diverso dalla dottrina.Da un lato si nota che la disciplina generale è espressione di un potere politico forte mentre prevale oggi la tecno-economia. Un’alleanza fra volontà di profitto e sviluppo tecnico che agevola la creazione di codici di settore come specchio del principio di divisione del lavoro e segno antropologico di un passaggio dalla figura integrale del cives all’individuo frazionato. Da qui l’idea che il codice di diritto comune sopravviva solo come disciplina residuale (21).Altri esprimono idee diverse e traendo spunto dall’esegesi dei testi (art. 2, 38, 143 Cod.cons., 1469 bis c.c.) si nota che i codici speciali non introducono deroghe essenziali, ma disposizioni complementari alla codificazione del 1942 che recupera oggi centralità (22).Su questa contrapposta visione si innestano soluzioni applicative ancora diverse.Per alcuni le discipline di settore sono suscettibili di analogia, iuris et legis, e si possono estendere a settori ulteriori, in una visione che ha piena fiducia nella legge e assai poca nei princìpi, nelle clausole generali e nei giudici (23).Per altri sta sorgendo un nuovo ordine che può consolidarsi attraverso le discipline speciali ma anche grazie all’elaborazione di principi e regole di costruzione giuridica espressi dalla giurisprudenza teorica e pratica (24).La mia impressione è che i codici e la disciplina di settore non esprimano né la definitiva scomparsa della disciplina generale né una nuova centralità del codice civile. Il quale, ancora una volta, riacquista nuovo impulso dal coordinamento con la normativa costituzionale. Ed è facile capire come.Gli artt. 2 e 3 sostituiscono da un lato i diritti, i doveri di solidarietà e le pari opportunità alla meritevolezza corporativa e alla conformità sociale dell’atto di autonomia. L’art. 12 delle pre-leggi, evocato come esempio di chiusura ingiustificata nell’elaborazione dei principi dal solo ordinamento positivo dello stato, deve saldarsi con l’art. 11 della Costituzione, il quale consente limitazioni di sovranità e ha con ciò legittimato il giudice nazionale alla disapplicazione del diritto nazionale contrario al diritto comunitario oltre a consentire riforme più intense dello stesso art. 138 Cost. L’art. 117 nel suo testo attuale ha confermato il primato costituzionale dell’ordinamento comunitario. L’art. 111 nell’affermare il fondamento costituzionale del giusto processo esige un sistema che assicuri un pieno equilibrio tra il principio di eguaglianza e la protezione giurisdizionale dei diritti, resa effettiva da una corretta ed efficace distribuzione dell’onere della prova.Da tutto ciò emerge un nucleo precettivo espresso nel riconoscimento, indivisibilità e tutela dei diritti fondamentali, civili e sociali, previsti in tutte le Carte del novecento.Questo ordine è profondamente diverso dal passato perché non è finalistico ma anzi esclude ogni idea di conformità sociale di un atto ad un indirizzo prefissato; non vuole predeterminare il futuro «scegliendone uno perché ritenuto l’unico giusto». Lascia al pluralismo politico e sociale il compito di individuare l’indirizzo più adeguato ai tempi, ma fissa con i diritti un limite di contenuto che non può non condizionare anche la libertà di contratto e la costruzione di nuovi rimedi (25).Il tutto in coerenza con l’ordinamento comunitario ove il Parlamento e la Commisione invitano a concentrarsi su alcune priorità. La revisione dell’acquis, la selezione di regole flessibili applicabili a diverse tipologie, la rielaborazione del principio di libertà contrattuale alla luce del modello sociale europeo (26).Ciò implica precise conseguenze.La prima. Il consumatore pur nella centralità che assume nella disciplina comunitaria e interna non è affatto l’unica posizione che appare meritevole di protezione specifica (27), mentre la semplice esistenza di un mercato concorrenziale non garantisce l’inesistenza di scorrettezze e abusi (28) ed è perciò che l’art. 4:109 dei Principi Lando e in modo analogo l’art. II. 7:206 del DCFR «non si riferisce a un contraente tipicamente debole ma disciplina la situazione di dipendenza o di bisogno di una parte, quale che essa socialmente sia. Situazione nota alla controparte la quale ne abbia tratto un ingiusto profitto o un vantaggio iniquo» (29). Tale principio «si rivela come manifestazione di una tendenza che risulta già dagli ordinamenti, di tutelare i contraenti deboli a prescindere dalla loro qualificazione sociale» (30).La seconda. La disciplina settoriale non esprime principi generali tout court ed è estensibile solo in base all’analogia legis e non iuris perché le discipline speciali per assumere valore generale debbono imporsi nel sistema generale attraverso una osmosi che deve essere attentamente verificata attraverso le «strutture dogmatiche del discorso giuridico». Né è consentito un passaggio di regole diretto fra diritti speciali (ad esempio fra il diritto dei consumatori e i contratti di impresa), senza una «verifica di adeguatezza sulla base del diritto generale» (31).D’altra parte non è opportuna una generalizzazione né sulla base di un asserito generico concetto di giustizia contrattuale della quale singole misure di protezione sarebbero espressione (32), né sulla base di un principio di efficienza del mercato di cui consumatore e impresa debole risulterebbero solo agenti di razionalità e non destinatari di regole di specifica protezione (33). La prima affermazione è infatti del tutto immotivata e priva di dati oggettivi di riferimento (34), la seconda «inverte l’ordine dei valori nel momento in cui accredita la tutela dei consumatori come il falso scopo dell’obbiettivo vero che sarebbe costituito dalla salvaguardia del mercato» (35).Da qui la necessità di affiancare alle regole di settore rimedi generali di «terza generazione» di provenienza legislativa o elaborate dalla giurisprudenza teorica e pratica.5. Da quanto sin ora si è detto emerge che uno dei problemi più acuti del diritto contrattuale europeo è il raffronto fra disciplina generale e di settore e in ciò vi è una precisa sintonia con la tendenza a inquadrare la «disciplina dei rapporti di lavoro come diritto speciale dei contratti». Comune è sia l’idea della perdita di centralità dell’atto di autonomia come fattispecie degli effetti voluti, sia la consapevolezza che l’attenzione di ogni fonte, legale o giurisprudenziale, privilegia oggi il rapporto le tutele e i rimedi.Su questa strada è possibile tracciare un percorso comune che voglio ipotizzare proprio confrontandomi con la lucidissima proposta di Nogler (36) sul ruolo della buona fede, sulla tutela specifica e sulla categoria dei contratti (sociali) di durata.6. Sul primo punto si deve rimarcare l’importanza sistematica di due novità di rilievo. Le sentenze della Cassazione che hanno recepito risultati indicati da tempo da una parte della dottrina italiana (37) e le regole formulate nel DCFR nel Charter 3 sul Marketing and pre-contractual duties, diviso in tre Sezioni: I Information duties 3:101, 3:102, 3:103, 3:104,3:105, 3:106; 3:107. II Duty to prevent imput errors 3:201. III Negotiation and confidentiality duties 3:301, 3:302. IV Unsolicited goods or service 3:401.Nella sentenze si stabilisce che l’azione di responsabilità precontrattuale può essere promossa anche in presenza di un contratto concluso e valido e se ne trae che il risarcimento è «il mezzo per correggere il risultato lesivo dovuto al contegno scorretto» (38). Da qui la conseguenza che il giudice deve ripristinare non solo l’interesse negativo ma l’interesse positivo della parte vittima del comportamento in mala fede a non «essere coinvolto nelle trattative di un contratto valido ma sconveniente». Sicché il risarcimento deve essere commisurato al «minor vantaggio o al maggior aggravio economico determinato dal contegno sleale di una parte» (39).La ratio è chiara.Si tende a conservare l’operazione economica e la validità dell’accordo e a riequilibrare il contratto attraverso il risarcimento che può avere, si è detto, una precisione chirurgica. A ben vedere tale indirizzo è espressione della tendenza radicata alla espansione del rimedio per equivalente che esalta il valore economico dell’af¬fare sino a prevalere sul controllo giuridico dell’atto. Ma passaggi ulteriori possono essere tracciati. Superato il dogma dell’egemonia della fattispecie e attribuita autonoma rilevanza ai contegni formativi ed esecutivi del regolamento è in questa area che si devono valutare squilibri e scorrettezze, giovandosi anche della recentissima sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (40).Il caso concerne i contratti di investimenti e la violazione degli obblighi di informazione (41) posti a carico degli intermediari finanziari, ma la decisione va oltre tale vicenda e offre un ripensamento decisivo sul rapporto fra regole di responsabilità e di validità e sull’obbligo di buona fede nella fase pre-contrattuale.Le Sezioni Unite intendono riaffermare la distinzione fra regole di comportamento e regole di validità. Con un correttivo importante.Si osserva che la violazione delle norme di comportamento nella fase di formazione e di esecuzione del rapporto, ove non sia altrimenti stabilito dalla legge, non determina nullità ma responsabilità e può essere causa di risoluzione del contratto quando non siano correttamente adempiuti il dovere di protezione e gli specifici obblighi di prestazione gravanti sul contraente.Ciò si ricava da un’attenta ricognizione dei principi del codice civile e in particolare dell’obbligo di buona fede, esaminato come vero prototipo delle regole di comportamento.Di tali norme (1337 e 1375 c.c.) si precisano il contenuto e le conseguenze. Si ribadisce il loro valore di «principio immanente dell’intero sistema giuridico» che ha base nel dovere di solidarietà fissato nell’art. 2 della Costituzione e si ricorda che la violazione di quella clausola generale si può riflettere in casi specifici sugli effetti dell’atto (determinando annullabilità per dolo, rescissione o risoluzione), ma non produce mai nullità radicale pur avendo carattere imperativo.La conclusione è che la violazione della correttezza determina, in ogni caso, responsabilità (contrattuale o pre-contrattuale) ed eventuale risoluzione del contratto.La motivazione è condivisibile perché fondata su di una premessa non espressa nella sentenza ma logicamente necessaria.Ogni assetto di interessi privato va esaminato come atto, in base ad una valutazione strutturale di validità e come insieme dei contegni formativi ed esecutivi in base ad una valutazione dinamica che può condurre ad una pronunzia di responsabilità. Ciò perché la disciplina dell’atto e dei contegni è diversa, come autonome e cumulabili sono le due valutazioni di validità e di responsabilità (42).Questa consapevolezza è del tutto innovativa, nelle pronunzie di legittimità, come innovativo è il ruolo che si assegna alla responsabilità pre-contrattuale.La sua coesistenza con la validità del contratto e dunque il suo cumulo con le regole di validità è una svolta radicale della giurisprudenza che si affianca alla dottrina che da tempo aveva sottolineato come (43) le regole di validità non esauriscano ogni valutazione sui contegni delle parti nella fase formativa del contratto. Anzi. A fianco delle norme rigide sui vizi del consenso, sulla incapacità e sulla rescissione coesiste e opera una regola duttile e primaria che impone di non approfittare, di non usare pratiche sleali ingannevoli o aggressive (44). Sicché la partizione tradizionale (fra regole di comportamento e di validità) esce innovata e potenziata.Questa novità va ora confrontata con le regole del DCFR e con la common law che era del tutto carente sul punto (45).7. Come si è osservato i giudici hanno completato e innovato il sistema con un mezzo spesso diverso dall’analogia. Molte volte si è applicata la norma «come se da sempre contenesse la previsione che consentiva l’applicazione nuova» (46). In tal modo «si è trasformato un sistema di legge scritta» in uno diverso nel quale questa non ha più in sé un senso compiuto senza il diritto applicato. Sicché «l’aggiunta di senso del diritto giurisprudenziale» si è ormai consacrata …come pura fonte che concorre con quella primaria (47) creando la regola.A ben vedere ciò è accaduto perché sempre più spesso l’interpretazione e l’applicazione della norma hanno combinato, necessariamente, la norma ordinaria, spesso insufficiente e arretrata, e i principi costituzionali con un metodo che potremmo definire inconsapevolmente rimediale (48). Provo a spiegare perché muovendo da due corollari indiscussi.Il rimedio presuppone l’esistenza di un interesse protetto (49) sicché non incide sull’an della protezione ma solo sulle modalità di applicazione della tutela più efficiente. Ciò significa che tale strumento non si sostituisce al diritto o all’obbligo sostanziale, ma intende fornire un piano vigile e mobile di tutela adeguata specie in presenza di forme complesse e fondamentali e di nuovi beni da tutelare. In questa area assumono particolare rilievo i principi costituzionali.«La necessaria corrispondenza (biunivoca) tra interesse protetto e rimedio» (50) esige la costruzione di una regola che sia rispettosa delle norme ordinarie e dei principi ordinatori della materia che debbono, nella sentenza o nei provvedimenti legislativi, essere rigorosamente individuati e precisati come premessa di una soluzione controllabile in base ai parametri offerti dalla legge e dalla Carta costituzionale.Ebbene dalla giurisprudenza recente si traggono, seguendo tale metodo, utilissimi orientamenti sulla strumentalità del processo e sull’onere della prova. Nel decidere sul requisito dimensionale dell’impresa ai fini della tutela reale o obbligatoria del lavoratore le Sezioni Unite della Cassazione hanno ribadito e fissato due principi ricavabili dall’art. 24 della Costituzione (51). «Il processo deve dare a chi ha ragione tutto quello e proprio quello che gli è riconosciuto dalla legge sostanziale». In assenza di indicazioni univoche del legislatore l’interprete nella «ricostruzione della fattispecie sostanziale e nella conseguente ripartizione dell’onere della prova»… deve «utilizzare il criterio della maggiore vicinanza o disponibilità della prova». Ciò in base a principi desumibili dall’art. 24 della Costituzione. Quale forza abbiano tali criteri nella razionale amministrazione del danno è del tutto intuibile.8. Di grande interesse è, da ultimo, l’idea di ripensare assieme «la disciplina dei contratti… accomunati da… un’importanza centrale per le esigenze esistenziali della persona ( contratti di lavoro, di locazione, di credito al consumo, bancari etc.)» (52). Provo a formulare qualche ipotesi di lavoro.a) Contratto e diritti fondamentali. Sul punto ha molto da insegnare il diritto del lavoro. La specificità del rapporto deve essere riconosciuta proprio per la sua «speciale attitudine a metabolizzare» i diritti della persona nelle relazioni obbligatorie, dove il carattere assoluto e indisponibile delle situazioni esistenziali si salda con il carattere imperativo e inderogabile delle norme (53). Qui il dovere formale di astensione si specifica, di recente, in un obbligo di protezione sino a creare un diritto a vedersi assegnate mansioni professionalmente adeguate pena il risarcimento di un danno esistenziale su cui si sofferma la Corte di Cassazione a sezioni unite (54).Resta da precisare come possa essere affrontato il tema più in generale visto che lo stesso DCFR non offre sul punto solidi argomenti riservando al tema una breve indicazione nella Introduction (n. 31) ove si richiamano per la tutela dei diritti in ambito contrattuale solo le regole sulla non discriminazione e le norme sulla responsabilità aquiliana.Credo al riguardo che i criteri interpretativi possono svolgere un utile ruolo e un contributo può giungere dalla Carta dei diritti inserita ora nel Trattato UE.È noto che in essa si utilizza la distinzione fra diritti e principi e occorre ricordare che la spiegazione all’art. 52, richiamata nel nuovo art. 6 del Trattato e nel protocollo voluto dagli inglesi, è chiarissima. In essa si dice che «la distinzione fra “diritti” e “principi” è sancita nella Carta». In base a tale distinzione, i diritti soggettivi sono rispettati, mentre i principi sono osservati (articolo 51, paragrafo 1 II-111). Ai principi può essere data attuazione tramite atti legislativi o esecutivi (adottati dall’Unione conformemente alle sue competenze e dagli Stati membri unicamente nell’ambito dell’attuazione del diritto dell’Unione); di conseguenza, essi assumono rilevanza per il giudice solo quando tali atti sono interpretati o sottoposti a controllo. Essi non danno tuttavia adito a pretese dirette per azioni positive da parte delle istituzioni dell’Unione o delle autorità degli Stati membri. E ciò è in linea, si dice, sia con la giurisprudenza della Corte di giustizia (55) sia con l’approccio ai «principi» negli ordinamenti costituzionali degli Stati membri, specialmente nella normativa sociale.A titolo illustrativo si citano come esempi di principi riconosciuti nella Carta gli articoli 25, 26 e 37. E si ricorda che in alcuni casi è possibile che un articolo della Carta contenga elementi sia di un diritto sia di un principio, ad es. gli articoli 23, 33 e 34 (56).Le reazioni in dottrina sono state molto diverse fra loro (57). È certo che la distinzione fra diritti e principi costituisce un espediente per limitare interpretazioni creative, ma, a ben vedere, essa ha solo l’effetto di sollecitare una precisazione attenta del rapporto auspicabile fra testo della Carta e giurisdizione (58) secondo una modalità che può essere delineata con alcuni tratti.Perché un principio possa operare è necessaria una regola prevista dal legislatore o costruita dal giudice con un’ attività che è un atto di interpretazione senza creare nuovo diritto perché il caso ricade nella dimensione giuridica se esiste un principio (59). Tale metodo utilizza un canone di costruzione giuridica ricavato dal caso tramite le interferenze e la deduzione di diversa natura grazie all’apporto di tutte le scienze sociali (60).Resta da precisare e in che modo una precisa indicazione viene ancora dal diritto del lavoro.È sufficiente ricordare che sin dal caso van Gend en Loos (61), richiamato da una recente pronunzia della Corte di Strarburgo (62), si attribuisce al meccanismo dei rinvii pregiudiziali un esempio di efficacia diretta del «diritto comunitario, in grado di attribuire ai singoli cittadini diritti soggettivi oltre che obblighi» (63). Ma è nel precisare il diritto fondamentale alla salute e sicurezza nei posti di lavoro che si traggono spunti di grande rilievo secondo due orientamenti diversi. Da un lato si rende effettiva tale tutela «attraverso una corretta interpretazione del diritto alle ferie retribuite» (64), dall’altro si contrastano le deroghe convenzionali alla normativa sul¬l’ora¬rio di lavoro tramite il diritto fondamentale alla salute (65) e particolare spicco si attribuisce alla parità di trattamento.In tutti questi percorsi «la Carta di Nizza ha funzionato come punto di riferimento nell’interpretazione delle leggi nazionali di trasposizione delle Direttive». Sicché i diritti sociali in esse previsti, «dotati di una loro immediata visibilità negli ordinamenti nazionali attraverso l’effetto diretto che la Corte ad essi riconosce, si ergono a limiti di un esercizio arbitrario dei poteri imprenditoriali» (66).D’altra parte la Direttiva sull’orario di lavoro prevede un periodo di ferie retribuito e «la Corte applicando il diritto fondamentale alla salute ha censurato la legislazione inglese che prevedeva tale prerogativa solo dopo 13 settimane di lavoro ininterrotto, escludendo così dal diritto i lavoratori assunti con contratto a termine (67). Con ciò la Corte «ha aperto un varco significativo nel costruire il diritto alle ferie come diritto di tutti i lavoratori senza che il legislatore nazionale possa condizionarne l’esercizio».In altre ipotesi la Corte «ha affermato l’imperatività delle norme poste a tutela della salute e sicurezza quali sono da considerare le disposizioni in materia di limiti legali all’orario di lavoro, all’orario massimo settimanale, ai periodi di riposo» e ha stabilito che «il diritto alla salute, configurato dalla direttiva come diritto soggettivo che fa capo al singolo lavoratore, non può essere indebolito da deroghe individuali»  che il singolo può non essere in grado di conoscere.In questi e in altri casi «tra le pieghe di una imperfetta trasposizione delle direttive si colpisce l’esercizio arbitrario dei poteri imprenditoriali che la Corte colloca all’interno di una più comprensiva valutazione circa la responsabilità dello stato». Ed è chiara la tecnica esegetica impiegata. Lo stato si colloca correttamente sul mercato solo quando adempiendo ai suoi obblighi comunitari garantisce la tutela della persona (salute, parità di trattamento, condizioni di lavoro giuste ed eque). Sicché la stessa contrapposizione fra diritti fondamentali e diritti sociali appare qui inconsistente perché l’affermazione dei diritti fondamentali riconosciuti dall’Unio¬ne «limita sin dall’origine l’esercizio dei poteri imprenditoriali» (68).b) Buona fede nella esecuzione del contratto, abuso e recesso. È noto che la regola di buona fede ha un ruolo preminente nei Principi di diritto europeo dei contratti tanto da costituirne il vero esprit collectif (69) capace di fissare tratti di comunanza e di dialogo fra tradizioni culturali molto diverse. Il diritto continentale che da sempre crede e utilizza la clausola generale (70) ed il mondo della common law che vede in essa, spesso, un «vago concetto» che può rendere le decisioni giurisprudenziali imprevedibili e di disturbare, perciò, le transazioni commerciali bisognose di certezze e di prevedibilità (71).Se coordiniamo le norme generali previste nel codice, le leggi speciali e la giurisprudenza della Corte di Cassazione è possibile ricavare un significato costante della buona fede. Con essa si fa riferimento ad un dovere che sorge indipendentemente dalla volontà delle parti, preesiste alla formazione del contratto e impone obblighi specifici di comportamento rilevanti sotto vari profili. La clausola consente di rimediare alla incompletezza del contratto tramite un giudizio di riprovazione dei contegni e su questa base va sperimentata una consonanza con la common law che reprime la scorretta procedurale e attribuisce rilevanza alle ragionevoli aspettative delle parti (72). Fra le quali si deve considerare l’affidamento di un contraente a che l’altro osservi nei suoi confronti, non solo i contegni a cui è tenuto in virtù del rapporto ma anche di tutti gli altri richiesti dalle norme o da doveri specifici presenti in settori determinati di attività (73).Tale indicazione trova un preciso riscontro nell’art. 1375 in ordine al quale si può richiamare il contenuto di una recente massima (74). «La violazione del dovere di comportamento imposto dal principio di buona fede (art. 1375) è già di per sé inadempimento e può comportare l’obbligo di risarcire il danno cagionato a causa della violazione medesima. Esso opera, quindi, come un criterio di reciprocità che, nel nuovo quadro di valori introdotto dalla Carta costituzionale, costituisce specificazione degli “inderogabili doveri di solidarietà sociale” tutelati dall’art. 2 Cost: la sua rilevanza si esplica nell’imporre a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra, a prescindere dall’esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da singole norme di legge; la buona fede, quindi, si pone come governo della discrezionalità nell’esecuzione del contratto nel senso che essa opera sul piano della selezione delle scelte discrezionali dei contraenti, assicurando che l’esecuzione del contratto avvenga in armonia con quanto emerge dalla ricostruzione dell’opera¬zione economica che le parti avevano inteso porre in essere, filtrata attraverso uno standard di ragionevolezza» (75).Sulla base di queste schematiche osservazioni e di tutte quelle formulate nel saggio che ne costituisce la premessa si può tracciare un cammino comune nel diritto interno e nell’ordinamento comunitario non fosse altro perché il diritto privato e il diritto del lavoro muovono da un oggetto diverso di analisi ma si trovano spesso ad osservare lo stesso orizzonte.NOTE:(1) V. Principles, Definitions and Model Rules of European Private Law. Draft Common Frame of Reference (DCFR), Sellier European Law publishers, München, 2008.(2) COM/2001/398 def.(3) COM/2003/68 def.(4) COM/2004/651 def. Diritto contrattuale europeo e revisione dell’aquis: prospettive per il futuro. Giornale di diritto del lavoro e di relazioni industriali n. 118, 2008, 2(5) Così IRTI N., Il metodo, in Castronovo C., Mazzamuto S., Manuale di diritto privato europeo, Giuffré, Milano, 2007, p. 57 ss.(6) V. in particolare GROSSI P., Mitologie giuridiche della modernità, Milano, 2007, Giuffré, p. 186 ss.; Id., L’Europa del diritto, Roma- Bari, Laterza,  2007, p. 249 ss.(7) CASTRONOVO C., MAZZUMUTO S., L’idea, in Manuale di diritto privato europeo, Milano, Giuffrè, 2007, p. 10 ss.(8) CASTRONOVO C., MAZZUMUTO S., L’idea, in Manuale di diritto privato europeo, Milano, Giuffrè, 2007, p. 17.(9) CASTRONOVO C., MAZZUMUTO S., L’idea, in Manuale di diritto privato europeo, Milano, Giuffrè, 2007, p.17.(10) CASTRONOVO C., MAZZUMUTO S., L’idea, in Manuale di diritto privato europeo, Milano, Giuffrè, 2007, p. 12.(11) Riferisco qui alcuni passaggi della Lezione di Grossi, Dai contratti al contratto, svolta a Forense il 9 maggio 2007, durante il corso di Dottorato in Universalizzazione dei sistemi giuridici: storia e teoria.(12) COSTA P., Cittadinanza, Laterza, Roma-Bari, 2007, p. 138.(13) CAPPELLINI P., Il fascismo invisibile. Una ipotesi di esperimento storiografico sui rapporti tra codificazione civile e regime, QF, 1999, 28, p. 176 ss., TETI A., Codice civile e regime fascista. Sull’unificazione del diritto privato, Giuffré, Milano, 1990.(14) STOLZI I., L’Ordine corporativo, Milano, Giuffrè, 2007, p. 237 ss.(15) STOLZI I., L’Ordine corporativo, Milano, Giuffrè, 2007, p. 237 ss.(16) CALAMANDREI P., Sulla riforma dei codici, ora in Id., Costruire la democrazia.Premesse alla Costituzione, 1995, p. 57 ss.(17) BRECCIA U., Continuità e discontinuità negli studi di diritto privato.Testimonianze e divagazioni negli anni anteriori e successivi al secondo conflitto mondiale, QF, 1999, 28, p. 328-334 e 462-464.(18) Tale vicenda è ricordata da BRECCIA U., Continuità e discontinuità negli studi di diritto privato.Testimonianze e divagazioni negli anni anteriori e successivi al secondo conflitto mondiale, QF, 1999, 28, p. 328-334 e 462-464.(19) Il giudizio è di CAPPELLINI, op. cit., 1999, p. 277.(20) IRTI N., Una generazione di giuristi, in La cultura del diritto civile, Utet, Torino, 1990, p. 57 ss.(21) IRTI N., «Codici di settore»: compimento della decodificazione, DS, 2005, 2, p. 132 ss.(22) ALPA G., I contratti dei consumatori e la disciplina generale dei contratti e del rapporto obbligatorio, RDC, 2006, p. 351 ss.(23) CAMARDI C., Contratti di consumo e contratti fra imprese. Riflessioni sull’asimmetria contrattuale nei rapporti «reticolari», RCDP, 2005, p. 569-577.(24) CASTRONOVO C., Diritto privato generale e diritti secondi: La ripresa di un tema, EDP, 2, 2006, p. 406 ss.(25) FIORAVANTI M., Alle radici della democrazia costituzionale, in Testimonianze, 2007, n. 453-454, p. 57 ss.(26) V. le risoluzioni del Parlamento europeo del 23.3.2006 e del 7.9.2006 e le comunicazioni della Commissione COM (2004) 0651 e (2005) 0456.(27) CASTRONOVO, op. cit., 2006, p. 416.(28) COLLINS H., The Law of Contract, London, Butterworths, 1993, p. 263.(29) CASTRONOVO, op. cit., 2006, 416.(30) CASTRONOVO, op. cit., 2006, 413. e il richiamo di Waterford v. Sanderson Court of Appeal 23.2.2001 cit. in PEEL E., Note, L.Q.R., 2001, 117, p. 551 ss. Ma vedi sul punto VETTORI G., Libertà di contratto e disparità di potere, RDP, 2005 p. 767 ss.(31) CASTRONOVO, op. cit., 2006, p. 421.(32) VETTORI G., Giustizia e rimedi nel diritto europeo dei contratti, EDP, 2006, p. 53 ss.(33) MAZZAMUTO S., Diritto civile europeo e diritti nazionali: come costruire l’unità nel rispetto della diversità, CI Europa, 2005, p. 534; VETTORI G. (a cura di),  Contratto e costituzione in Europa, Padova, Cedam, 2005, p. 93 ss.(34) VETTORI, op. ult.cit.,  2005, 56-58.(35) CASTRONOVO, op. cit., 2006, p. 423.(36) NOGLER L., Diritto del lavoro e diritto civile nella nuova prospettiva del «diritto contrattuale europeo», DLRI, 2008.(37) V. Cass., 29 settembre 2005, n. 19024 e il commento di FRANZONI M., La responsabilità precontrattuale: una nuova stagione, RC, 2006, 4, p. 295 ss.(38) FRANZONI, op. ult. cit.,  2006, 299.(39) Cass. 29 settembre 2005, n. 19024, cit.(40) Cass., S.U., 19 dicembre 2007 nn. 6725 e 6724. Nel testo si farà riferimento in particolare alla prima.(41) V. sul punto VETTORI G., Contratti di investimento e rimedi, in Obb.cont., 2007, 10, 785 ss.(42) VETTORI G., Anomalie e tutele nei rapporti di distribuzione fra imprese, Giuffrè, Milano, 1983, p. 46. Per quanto mi concerne avevo utilizzato la distinzione fra atto e comportamento nell’analisi degli strumenti di controllo della libertà contrattuale (cfr. ancora VETTORI, op. cit., 1983, p. 83 ss.) e lo stesso schema avevo impiegato per analizzare la responsabilità del secondo acquirente in mala fede (VETTORI G., Efficacia ed opponibilità del patto di preferenza, Milano, Giuffrè, 1986, p. 163; Id., Voce Opponibilità, Enc. giur.,Treccani, 1999, p. 11 ss.). Tale metodo è stato oggetto di un commento che considerava «la distinzione fra il regime dell’atto e la valutazione del comportamento» una «trappola nominalistica», meritevole di ogni riprovazione (GAMBARO A., Il diritto di proprietà, Milano, Giuffré, 1995, p. 745 nota). La sentenza delle Sezioni Unite è la migliore risposta a quelle critiche.(43) SCODITTI E., Regole di comportamento e regole di validità: i nuovi sviluppi della responsabilità precontrattuale, FI, 2006, c. 1105 ss.(44) V. già Cass. 7 marzo 2007, n. 5273 e la massima riferita nella nt. 21(45) GOODE R., Il diritto commerciale del terzo millennio, Milano, Giuffrè, 2003, p. 23 ss. e ROPPO V., L’informazione precontrattuale: spunti di diritto italiano e prospettive di diritto europeo, RDP, 2004, 4, p. 747 ss.(46) CASTRONOVO C., La responsabilità civile in Italia al passaggio del millennio, EDP, 2003, p.167 ss.(47) CASTRONOVO, op. cit., 2003, 168-169.(48) MATTEI U., I Rimedi, in Il diritto soggettivo, nel Trattato di diritto civile, 2. voll. R. Sacco (diretto da), Torino, Utet, 2001, p. 105 ss; DI MAJO A., Il linguaggio dei rimedi, EDP, 2005, 2, p. 341 ss.; Id. 2007, 2 ss.; MESSINETTI D., Sapere complesso e tecniche rimediali, in Europa e dir. priv., 2005, p. 605 ss.; MONATERI P.G., Ripensare il diritto civile, Giappichelli, Torino, 2006.(49) MATTEI, op. cit., 2001, p. 108.(50) V. da ultimo NAVARRETTA, La complessità del rapporto fra interessi e rimedi nel diritto europeo dei contratti, Intervento, al Convegno svolto a Firenze il 30 marzo 2007, dal titolo Remedies in contract. The common rules for a european law, Cedam, Padova, 2008; ed ivi il richiamo di VAN GERWEN, Of rights, remedies and procedures, C.M.L.R., 2000, p. 526 ss.(51) Cass., S.U., 10 gennaio 2006 n. 141, in Foro it., 2006, I, 704.(52) NOGLER, op. cit., 2008, p. 21.(53) DEL PUNTA R., Diritti della persona e contratto di lavoro, DLRI, 2006, p. 195 ss.(54) Cass., S.U., 24 marzo 2006 n. 6572 cit. 1344.(55) Cfr. in particolare la giurisprudenza sul «principio di precauzione» di cui all’articolo 174, paragrafo 2 del Trattato CE (sostituito dall’art. III-233 della Costituzione): sentenza del TPG, 11.9.2002, Pfizer c. Consiglio, causa T-13/99, con numerosi rinvii ai precedenti giurisprudenziali e una serie di sentenze sull’articolo 33 (ex 39) in merito ai principi della normativa agricola, ad es.: sentenza Cgce, Van den Berg, causa C-265/85, Racc. 1987, 1155: analisi del principio della stabilizzazione del C 310/458 IT Gazzetta ufficiale dell’Unione europea 16.12.2004 mercato e delle aspettative ragionevoli.(56) V. da ultimo VETTORI 2007b, 5 ss. Da cui traggo queste osservazioni.(57) Nelle conclusioni del Consiglio europeo svolto a Bruxelles il 21 e 22 giugno 2007 si è deciso che la Carta dei diritti assume valore giuridico con il richiamo dell’art.6 dei Trattati, richiamando il Titolo VII sulla interpretazione e applicazione. Salvo la dichiarazione unilaterale della Polonia e il protocollo aggiuntivo voluto dal Regno Unito.(58) Alcuno legge, nel testo dell’articolo e nella sua spiegazione, un chiaro tentativo di limitare l’ambito dell’interpretazione giudiziaria che richiama il lungo dibattito «sulle norme programmatiche della Costituzione italiana e sul loro valore normativo». La critica evoca istituti post-rivoluzionari come il réferé législatif e lamenta un ingiustificato timore per un gouvernement des juges come un «vecchio spettro che si aggira per l’Europa e per il mondo».Altri osserva che la distinzione non è così terribile, purché la si intenda bene. E analizzando a fondo il testo si sottolinea che l’art. 52 ex 112.5 vuol escludere che «dalla enunciazione di un principio (non di un diritto) si possano ricavare conseguenze immediate e dirette circa posizioni soggettive azionabili in giudizio, se non passando attraverso la interpositio legislationis. Tali principi sono conoscibili giudizialmente solo ai fini della interpretazione delle leggi e degli altri atti europei e ai fini della decisione sulla loro legalità, cioè sulla loro costituzionalità». Sicché, si osserva, la norma non si discosta da ciò che normalmente accade «con riguardo ai principi espressi nella costituzione italiana».(59) ZAGREBELSKY G., Diritto per: valori, principi o regole?, QF, 2002, p. 887 ss.(60) ZAGREBELSKY , op. cit., 2002, p. 888.(61) Causa C-26/62, 5.2.1963, Racc., 1963, 1.(62) Corte europea dei diritti umani, Bosphorus Hava Yollari Turizm Ve Ticaret Anonim Sirketi c. Irlanda, 30.6.2005, n. 45036/98, citata in Sciarra 2007, 121; V. sul punto anche Bisogni, Bronzini, Piccone 2006, 118.(63) SCIARRA S., Diritti fondamentali, principi generali di diritto europeo: alcuni esempi nella recente giurisprudenza della Corte di Giustizia, in La Carta e le Corti, Chimienti, 2007, p. 103 ss.(64) SCIARRA, op. cit., 2007, 105 e il richiamo del caso Bectu Cgce, 26.6.2001, The Queen v. Secretary of State for Trade and Industry, ex parte Broadcasting, Entertainment Cinematrographic and Theatre Union, Causa C-173/99 Racc. 2001, I-4881 ove si afferma che i diritti sociali non sono affatto subordinati ai diritti economici. V. anche le conclusioni dell’Avvocato Generale Tizzano, 8.2.2001, punti 26 e 27 in C-133/00, 8.5.2001.(65) C-397/01, 5.10.2004, Racc., 2004, I-8835. 2 «La corte sostiene che il diritto alla salute, configurato dalla Direttiva come diritto soggettivo che fa capo al singolo lavoratore, non può essere indebolito da deroghe individuali» così: SCIARRA, op. cit.,  2007, p. 109.(66) SCIARRA, op. cit.,  2007, p. 118-119.(67) SCIARRA, op. cit.,  2007, p. 108.(68) SCIARRA, op. cit.,  2007, p. 119. Sul punto v. ancora VETTORI G., La lunga marcia della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, RDP, 2007, 4, p. 5 ss.(69) LANDO O., Lo spirito dei Principi del diritto contrattuale europeo, in Il codice civile europeo, Materiali dei seminari 1999-2000, raccolti da G. Alpa e E.M. Buccico, Milano, 2001, p. 41 ss.(70) CASTRONOVO C., Un contratto per l’Europa, in Principi di diritto europeo dei contratti, Edizione italiana a cura di C. Castronovo, Milano, Giuffré, 2001, p. XXX ss.; V. altresì l’ampia nota di commento all’art. 1:201, in Principi di diritto europeo dei contratti, 119 ss., ove si descrivono due modelli diversi: la Germania che ha riconosciuto da tempo un obbligo generale di rispetto della buona fede e l’Inghilterra ove manca una tale previsione generale. Fra i due estremi gli altri ordinamenti «oscillano tra questi due opposti. Riconoscono la buona fede e la correttezza come un principio generale, ma tali principi non hanno attinto il medesimo livello di penetrazione nella disciplina del contratto» (p. 119). V. da ultimo ANTONIOLLI DEFLORIAN L., L’interazione del diritto inglese con il diritto comunitario: l’esempio della Direttiva sulle clausole abusive nei contratti con i consumatori ed il principio di buona fede, RDC, 2002, I, p. 452 ss.(71) GOODE R., The concept of «Good Faith» in English Law, Roma, Centro studi e ricerche di diritto comparato e straniero, 1992; ID., Commercial Law, 2a ed, London, Butterworths, 1997.; TREITAL G.H., An outline of the Law of contract, 6° ed., Oxford, Oxford University Press, 2004.(72) ANTONIOLLI DEFLORIAN, op. cit., 2002, p. 452 ss.(73) BROWNSWORD R. (ed.), Good faith in contract: concept and context, Aldershot, Ashgate, 1999, reputa che la teoria delle aspettative ragionevoli possa essere utilizzata per recepire il concetto di buona fede nel diritto inglese; v. LORDI. Su uno dei pochi precedenti giurisprudenziali in tema di clausole abusive e di contrarietà alla buona fede v. ancora ANTONIOLLI DEFLORIAN, op. cit., 2002, p. 461, ove si riferisce sul caso (Director General of Fair Trading – First National Bank) deciso (nel 2000) in primo grado dalla Chancery division della High Court e in secondo grado dalla Court of Appel la quale applica il criterio di contrarietà alla buona fede tenendo conto della «gravità degli obblighi» della «sorpresa» e della «superiorità del potere contrattuale della banca» (p. 463). La pronuncia della House of Lords è improntata alla massima cautela sul requisito della buona fede. Si reputa non necessario un intervento chiarificatore della Corte di Giustizia e si mostra piena consapevolezza della emersione della clausola nel contesto europeo. La Corte tuttavia «non riesce a dissipare la sensazione che i giudici inglesi siano restii a sfruttare a fondo le potenzialità dello strumento», così ANTONIOLLI DEFLORIAN, op. cit., 2002, p. 466.(74) Cass. 11 febbraio 2005, n. 2855.(75) Cass. 11 febbraio 2005, n. 2855.

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