ISSN 2239-8570

RECENSIONE AL VOLUME “ATTI DI DESTINAZIONE E TRUST. ART. 2645-TER DEL CODICE CIVILE”, a cura di Giuseppe Vettori, Padova, 2008 (di Serena Meucci)

 Il Volume raccoglie in forma di saggio le relazioni svolte in occasione del Convegno organizzato dal Consiglio Notarile dei Distretti Riuniti di Firenze, Pistoia e Prato nel settembre 2006. Risale infatti al 2005 la novella che ha introdotto nel codice civile l’art. 2645 ter ai sensi del quale “gli atti risultanti da atto pubblico, con cui beni immobili o beni mobili iscritti in pubblici registri sono destinati, per un periodo non superiore a novanta anni o per la durata della vita della persona fisica beneficiaria, alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela riferibili a persone con disabilità, a pubbliche amministrazioni, o ad altri enti o persone fisiche ai sensi dell’articolo 1322, secondo comma, possono essere trascritti al fine di rendere opponibile ai terzi il vincolo di destinazione; per la realizzazione di tali interessi può agire, oltre al conferente, qualsiasi interessato anche durante la vita del conferente stesso. I beni conferiti e i loro frutti possono essere impiegati solo per la realizzazione del fine di destinazione e possono costituire oggetto di esecuzione, salvo quanto previsto dall’articolo 2915, primo comma, solo per debiti contratti per tale scopo”.La novità e l’assoluta rilevanza dell’istituto hanno dato vita ad un dibattito fecondo, tutt’altro che sopito, il quale si muove in molteplici direzioni e linee di indagine. Le ragioni sono chiare e lucidamente segnalate nella Presentazione del Prof. Giuseppe Vettori: “il sistema di circolazione dei beni è oggetto di un ripensamento radicale in ogni ordinamento e la nuova disciplina dell’atto di destinazione è una risposta nuova ma in parte inefficiente per la necessità di precisare la meritevolezza dell’interesse del disponente … La verità è che l’uso e la destinazione delle cose è oggetto di un laboratorio ove la legge, il giudice e la prassi sono alla ricerca di un difficile equilibrio fra l’interesse dei privati alla fruizione più ampia delle utilità che possono derivare dalla res, e la tutela dei creditori e dei terzi di fronte ad una frantumazione del dominium e alle limitazioni di responsabilità che le nuove forme comportano”.In questo contesto, fatto ancora di incertezze e di problemi aperti, si inserisce il volume, e gli autorevoli contributi che vi si leggono forniscono significativi riferimenti e spunti di analisi. Del resto, la ricchezza delle prospettive di indagine schiuse dalla novella trova corrispondenza nella struttura del volume stesso. Accanto ai saggi delle voci più attente della letteratura, infatti, vi è un’analisi del dato normativo rivolta al profilo disciplinare, con l’obiettivo di verificare il concreto atteggiarsi dell’atto di destinazione ed individuare gli interessi tutelati in specifici settori di applicazione:  la protezione di soggetti disabili e svantaggiati, la destinazione di beni per la realizzazione di interessi meritevoli relativi alla famiglia di fatto, nonché il problema della sistemazione dei rapporti patrimoniali in occasione della crisi della famiglia.Punto di partenza è il saggio  del Prof. Giuseppe Vettori il quale, nel riferirsi alla novella quale espressione di nuovi bisogni e nuovi diritti, fa propria una chiave di lettura attenta al sistema ed agli indici che ne emergono, a partire dall’esigenza di elaborare uno strumento concettuale “capace di organizzare una disparità di fonti all’interno di un insieme organizzato di principi fino al consapevole superamento di un sistema rigido nell’uso delle cose”. A tal fine occorre uno sforzo costruttivo nuovo che sappia evitare i costi sociali dello smembramento della proprietà attraverso un controllo di legittimità degli atti e un apparato di tutele dei terzi tramite un sistema di pubblicità che assicuri la protezione degli affidamenti incolpevoli. Una significativa estrinsecazione di tale sforzo riguarda l’estensione dell’autonomia privata nella selezione dell’interesse destinatorio: il richiamo alla meritevolezza di tutela ex art. 1322 co. 2 c.c., infatti, ha dato vita a posizioni assai eterogenee.  Alcuno distingue la destinazione obbligatoria e la fattispecie trascrivibile sicchè l’interesse è meritevole solo quando appartenga alla stessa classe di interessi rispetto ai quali la legge consente la costituzione di un vincolo di destinazione; altri fanno ricorso al concetto ormai superato di utilità sociale quale funzione che conforma l’autonomia privata. Tali orientamenti, invero, mostrano di trascurare l’attuale natura del giudizio causale e l’evoluzione della proprietà e della circolazione dei beni.In questo contesto si inserisce la riflessione di Gianfranco Palermo. L’A. mette in evidenza i limiti di quegli orientamenti che hanno adottato una interpretazione restrittiva del riferimento all’art. 1322 secondo comma c.c., rispolverando così “la vecchia teorica della “debolezza causale”, per lungo tempo in auge nella nostra civilistica, prima che l’art. 2 Cost. penetrasse nella coscienza del giurista”. Tra le possibili ragioni di tale idea, vi è l’equivoco di porre sullo stesso piano la ragionevolezza del disporre con l’arbitrio dell’atto dispositivo, nonché il falso convincimento che la destinazione allo scopo e l’effetto vincolativo siano stati contemplati nella novella come il prodotto di un atto unilaterale a titolo gratuito. Di contro, l’onere di indicare ex art. 2645 ter l’interesse destinatorio (inteso come interesse patrimoniale o non patrimoniale, purché oggettivamente apprezzabile) è sufficiente a tipicizzare in concreto il negozio stesso, considerato altresì il rigoroso regime formale. Pertanto, mediante l’art. 2645 ter il legislatore ha definitivamente riconosciuto l’ammissibilità di un negozio impositivo di un vincolo reale e suscettibile di produrre un frazionamento del patrimonio, in deroga dall’art. 2740 cod. civ., opponibile a terzi in forza della trascrizione. La generalità della previsione, inoltre, induce l’A. a ritenere legittima l’estensione dell’opponibilità del vincolo anche a quei negozi aventi ad oggetto beni mobili non registrati, non essendo fondatamente giustificata la loro esclusione, soprattutto in costanza della solennità di forma  (l’atto pubblico) tale da assicurare, nel modo più ampio, l’esigenza di certezza.Le pagine di Paolo Spada, poi, autorevolmente richiamano la dottrina sul significato di fondo della destinazione e la sua origine nell’impostazione  della Pandettistica tedesca quale variante della disposizione. La destinazione patrimoniale, invero, trova nell’ambito imprenditoriale terreno fertile nel dare vita a forme di articolazione del patrimonio mediante lo strumento della soggettività o meno. Di qui la ricostruzione dell’atto ex art. 2645 ter quale coelemento di un procedimento di separazione patrimoniale che si perfeziona con la trascrizione: una formalità omnibus ricostruita dall’A. in parallelo con l’iscrizione dell’ipoteca piuttosto che con la trascrizione di un’alienazione.In una diversa prospettiva si pone il saggio di Ubaldo La Porta. L’A. affronta le problematiche ricostruttive di fondo poste dalla novella nonché  analizza le situazioni soggettive facenti capo alle parti ed ai beneficiari dell’atto, fino alle conseguenze della violazione delle regole di impiego dei beni.Quanto al primo aspetto, si rileva come la norma, seppure collocata nell’area di disciplina dello specifico fatto di opponibilità della trascrizione, esprima un precetto giuridico sostanziale individuando la rilevanza formale dell’effetto destinatario. La consapevolezza del valore  sistematico della novella è forte, “investendo in pieno il rapporto tra il contratto … il diritto reale e la circolazione”; del pari, l’evoluzione del concetto di proprietà ed il suo rapporto con il contratto. Da tale analisi, estrinsecata in una serie di indici normativi, l’A. trae la rifluenza dell’impianto causale sull’assetto del diritto e dunque “la diretta incidenza della causa negoziale sull’investitura del soggetto nella situazione di vantaggio”. Ebbene, tramite la novella il legislatore riconosce l’effetto giuridico della destinazione a rilevanza reale e non tipizza uno specifico contratto sotto il profilo causale, lasciando all’autonomia privata il più ampio spazio tramite la verifica della meritevolezza di tutela dell’interesse del disponente. Tale giudizio si radica sulla verifica di compatibilità tra l’effetto di destinazione e l’interesse concreto ed è limitato in negativo dalla futilità e/o il capriccio del disponente. D’altra parte, la valutazione  de qua non si sovrappone alla liceità né esprime un interesse economico-sociale generale, quanto assurge a strumento atto a comparare e misurare gli interessi toccati dall’atto di autonomia (sicurezza della   circolazione dei beni e tutela del credito).Da non trascurare, inoltre, è la differenza strutturale e funzionale che si ricostruisce tra atto di destinazione unilaterale (c.d. auto destinazione o, anche, destinazione statica) e destinazione traslativa (definita anche “dinamica”). A questo aspetto dedica diffusa parte della propria riflessione Rolando Quadri, il quale evidenzia sin da subito la legittima configurazione di ipotesi di destinazione dinamica, avvalorata tra l’altro dal sistema normativo complessivamente inteso. “Punto centrale” della discussione è, anche in questo caso, la rilevanza causale della destinazione e, dunque, il significato del rinvio all’art. 1322, comma 2°, c.c. La novità della novella, infatti, è ravvisata nell’aver reso in astratto configurabili ipotesi atipiche di destinazione patrimoniale. Nel tentativo di dare un contenuto al giudizio di meritevolezza, si dice cosa “sicuramente” questo presuppone: la piena compatibilità, alla luce di una valutazione operata in concreto, della singola fattispecie con i principi che l’ordinamento pone in relazione alla specifica tipologia di interesse perseguito (l’esempio utilizzato è quello dei vincoli nell’interesse della famiglia).Ma l’atto atipico di destinazione, come è qualificato da ampia dottrina, solleva altresì l’esigenza di delineare ed ordinare il rapporto con le figure destinatorie tipiche che il nostro ordinamento già conosce e, pertanto, individuare gli strumenti ermeneutici da adottare. Ad essi fornisce una lucida risposta il saggio di Raffele Lenzi. La novella, si osserva, assolve ad una “funzione ermeneutica in senso retrospettivo”, palesando che il nostro ordinamento ammette negozi che mirano ad imporre vincoli di destinazione a determinati beni e regolandone gli effetti e gli strumenti di opponibilità. L’art. 2645 ter assurge a figura generale rispetto alla quale si valutano i criteri di risoluzione delle antinomie rispetto alle figure speciali e gli strumenti atti a costruire la disciplina degli atti di destinazione atipici. A tal fine, si adotta un sistema interpretativo che supera la rigidità dei criteri gerarchici attribuendo rilevanza alle clausole generali (la meritevolezza degli interessi) atte a realizzare una oggettivizzazione del giudizio sulla fattispecie concreta. Il rapporto tra regole generali e regole speciali è tratteggiato in termini di complementarietà e di confronto a vantaggio di un sistema duttile ed aperto. In questo contesto, rilevanti elementi di riflessione sono tratti dal raffronto con la disciplina del fondo patrimoniale e del patrimonio destinato ad uno specifico affare ex artt. 2447 bis ss. c.c.. D’altra parte, l’ampliamento dell’autonomia privata fa sì che la meritevolezza assurga a canone valutativo del bilanciamento degli interessi coinvolti idoneo a consentire un efficace controllo da parte dell’ordinamento.Raffaele di Raimo sollecita poi l’attenzione intorno all’effetto di destinazione, inteso quale incidenza sullo statuto dei cespiti patrimoniali in funzione del perseguimento di interessi differenti rispetto a quelli che presiedono la loro regolazione generale, ed alla possibilità di ricostruirne l’essenza tramite schemi concettuali noti, quali la rappresentanza, l’impresa commerciale individuale e la persona giuridica fondazionale. Da un punto di vista strutturale, in considerazione dell’idoneità dell’atto ad incidere sulla funzione e sullo statuto giuridico di un bene, se ne ricostruisce la natura unilaterale (più precisamente, recettizia), nonostante lo stesso possa essere inserito in forme negoziali complesse. Infatti, elemento essenziale dell’istituto è ravvisato nell’estrinsecare una regola che formalizza la funzione del patrimonio; al contempo, la destinazione di per sé neutra, in questa prospettiva, è rilevante se e quando assistita da separazione.Di qui il nodo problematico costituito dal rapporto tra atto di destinazione e separazione patrimoniale e, dunque, lo spazio lasciato all’autonomia privata per la creazione di patrimoni destinati con effetto di separazione; a tali aspetti dedica la propria riflessione Mirzia Bianca. Tratteggiati i diversi orientamenti dottrinari, si pone in evidenza la distinzione tra le due figure: la prima (destinazione) opera sul piano dell’atto; la seconda, invece, riguarda il profilo dell’opponibilità  del vincolo ai creditori, la cui competenza è del legislatore. Sullo sfondo vi è l’esigenza di rileggere il principio di responsabilità patrimoniale universale di cui all’art. 2740 c.c. alla luce dell’evoluzione del sistema e degli spazi concessi oggi all’autonomia privata. Sicchè ciò che rileva non è tanto la sanzione della violazione del principio quanto, in concreto, la violazione dell’affidamento dei creditori in ordine alla consistenza del patrimonio ed alla responsabilità del debitore.Su tutti questi aspetti è poi interessante verificare il punto di vista della giurisprudenza di merito. Ne fornisce una chiara estrinsecazione Arturo Picciotto. Vero è che la novità dell’istituto e le divergenze interpretative hanno di fatto limitato l’utilizzo nella prassi, sicchè il riferimento è a casi specifici e, comunque, legati alla sensibilità del soggetto giudicante. Ad ogni modo, si rileva come l’art. 2645 ter abbia introdotto una tipologia di effetti nuova, complementare rispetto a quella traslativa od obbligatoria propria delle singole figure: la destinazione, in altri termini, da vita ad un  effetto negoziale che può essere partecipe delle fattispecie causali traslative tipiche. Nell’ordinamento già sono contemplate pattuizioni tese a delimitare e funzionalizzare il diritto di proprietà per il perseguimento di determinati fini, ed a consentire la trascrizione di questi effetti: la novella ha dato definitivamente atto della legittima trascrivibilità e della opponibilità dell’effetto segregativo. Sul versante dell’ampiezza dell’autonomia privata, abbandonata l’ottica della utilità sociale, il sindacato dell’autorità giudiziaria (e prima quello del notaio rogante) in ordine alla meritevolezza di tutela si concretizza nella liceità in concreto dello strumento. Ciò presuppone una valutazione ampia e complessa che tenga conto degli effetti del programma negoziale, per verificare se essi siano rapportabili a quelli previsti dall’ordinamento. Siffatto orientamento è in tutto analogo al metodo di giudizio adottato da questa giurisprudenza con riferimento alla legittimità del trust interno.Il rapporto tra atto di destinazione e trust, istituto che, come è noto, da tempo si è imposto sulla scena della dottrina e della giurisprudenza di merito, è affrontato con chiarezza da Daniele Muritano,  il cui saggio evidenzia la problematicità del rapporto nonché la necessità di un’analisi rigorosa dei dati normativi interni e convenzionali. Ci si interroga in ordine alla  possibilità di ricondurre l’atto di destinazione ex art. 2645-ter – in presenza di collegamento con un ordinamento straniero – nell’ampia nozione di trust fornita dall’art. 2 della Convenzione dell’Aja. A ciò ostano una serie di perplessità difficilmente superabili non foss’altro per la scarna disciplina fornita dalla novella e, dunque, la difficile riconduzione agli indici richiesti dalla Convenzione (v. art. 8). Di grande interesse, invero, è il confronto con il c.d. trust interno, preso atto dell’orientamento che ne riconosce l’ammissibilità. Il problema di fondo investe la natura dell’art. 2645-ter e degli indici ivi contenuti (dalla forma, alla tipologia di beni fino al giudizio di meritevolezza degli interessi perseguiti) in termini di filtro e sbarramento rispetto al trust. Quale che sia l’interpretazione che si accolga della novella, il dato sicuro – e condivisibile – è l’autonomo ruolo mantenuto dal trust, dotato senza dubbio di una più intensa articolazione quanto alle regole del rapporto fiduciario e dell’apparato rimediale.In questa prospettiva si inserisce il saggio di Serena Meucci. Delineato l’atto di destinazione nella dimensione strutturale, esclusa – con riguardo alla meritevolezza – ogni idea solidaristica e di utilità sociale e ricostruite le posizioni giuridiche dei soggetti coinvolti, si sposta l’attenzione sull’apparato rimediale e la relativa efficacia. Per fare questo, si osserva, occorre evitare ogni generalizzazione e prendere le mosse dalle concrete esigenze di tutela, ricondotte a tre ambiti: la tutela dei creditori, articolata poi con riferimento alle “classi” che derivano dalla stipula dell’atto (a partire dai creditori del conferente a fronte del pregiudizio subito dal compimento dell’atto di destinazione); la tutela dei creditori c.d. involontari; i meccanismi atti a garantire la corretta ed effettiva realizzazione dell’interesse destinatorio e, quindi, i rimedi in caso di gestione infedele e compimento di atti dispositivi illegittimi dei beni destinati.Il quadro si completa con le riflessioni di Philip Laroma Jezzi relative all’aspetto tributario e, segnatamente, al ruolo della destinazione di beni nella fiscalità diretta ed indiretta, in rapporto altresì al trust. Dato di fondo è il parallelismo tra l’autonomia concettuale del possesso di redditi e la previsione di una disposizione generale sulla soggettività tributaria passiva delle organizzazioni di beni e/o di persone.

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