ISSN 2239-8570

Funzione della casa familiare e interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 155 quater comma 1 cod. civ., di Antonio Gorgoni

SOMMARIO: 1. La funzione della casa familiare e la questione di legittimità costituzionale dell’art. 155 quater co. 1 c.c. – 2. I motivi di incostituzionalità e l’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 155 quater co. 1.

1. La funzione della casa familiare e la questione di legittimità costituzionale dell’art. 155  co. 1 c.c.

L’art. 155 quater sull’assegnazione della casa familiare, introdotto dalla legge 8 febbraio 2006, n. 54, non ha eliminato i dubbi interpretativi suscitati dall’abrogato art. 155 co. 4 c.c. Segnatamente, il testo della nuova norma continuerebbe a non chiarire se la casa familiare possa essere assegnata al coniuge debole non proprietario in assenza di prole minorenne o maggiorenne non economicamente autosufficiente. Il co. 1, infatti, stabilendo quale criterio dell’assegnazione la priorità dell’interesse dei figli, consentirebbe al tribunale di valutare, secondariamente, in assenza di prole, la possibilità di attribuire il godimento della casa al coniuge non proprietario in funzione sostitutiva o integrativa del diritto al mantenimento.
La giurisprudenza di legittimità ha giustamente rigettato questa interpretazione sia quando era vigente l’art. 155 co. 4 (1) sia dopo l’introduzione della nuova disposizione (2). Vediamo, in sintesi, come si arriva ad affermare l’illegittimità dell’assegnazione della casa familiare al coniuge non proprietario in mancanza di prole.
L’istituto nasce con lo scopo di tutelare l’interesse dei figli a permanere nell’ambiente domestico in cui sono cresciuti, evitando loro un secondo trauma derivante dalla perdita del domicilio.
La norma riformata conferma e rafforza questa funzione stabilendo che “il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli”. Con queste parole il legislatore non ha inteso affermare implicitamente che, “secondariamente”, la casa può essere assegnata, in assenza di figli, al coniuge non titolare di diritti sul bene. Egli piuttosto ha regolato il conflitto d’interessi, sussistente in occasione della separazione, tra il coniuge proprietario dell’immobile, non “domiciliatario”  del figlio, il quale vorrebbe continuare a godere della propria casa, il figlio il quale rischia di subire un danno dal cambiamento dell’abitazione, e l’altro genitore presso il quale il figlio permarrà per più tempo. In questa situazione il diritto del proprietario di godere in modo pieno ed esclusivo del bene può legittimamente essere sacrificato per realizzare un interesse superiore, in ossequio alla funzione sociale della proprietà.
E’ vero – si potrebbe replicare – la norma non esclude espressamente l’assegnazione in mancanza di prole, ma neppure la contempla, anzi, la lettura combinata di entrambi i commi dell’art. 155 quater corrobora la tesi dell’assegnazione quale istituto volto a tutelare esclusivamente la prole. Vediamo perché.
Il comma 1 non raffronta la situazione giuridica del coniuge non proprietario con quella del consorte titolare della proprietà, tant’è che il legislatore non ha attribuito al primo il diritto all’assegnazione. Ciò trova conferma nella prescrizione secondo cui “Dell’assegnazione il giudice tiene conto nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori”. Difatti, qualora il legislatore avesse voluto prevedere, pur mancando la prole, l’assegnazione della casa al coniuge non proprietario quale modalità del mantenimento, non vi sarebbe stata necessità di stabilire che il diritto assegnato incide sui rapporti economici tra i coniugi. Sarebbe stato ovvio.
La precisazione normativa, invece, è opportuna e si spiega proprio perché il coniuge domiciliatario del figlio non è il beneficiario del provvedimento giudiziale di assegnazione. Altrimenti poteva sorgere il dubbio che il beneficio, di tipo indiretto, rappresentato dal godimento della casa familiare non incidesse sulla determinazione della misura dell’assegno (3).
Il comma 2, nuovamente, non mette in relazione i due coniugi contrapponendo opposti interessi ma fa dipendere le sorti dell’assegnazione non da una semplice condotta del non proprietario ma dall’incidenza di questa sulle modalità di affidamento. Dunque è sempre la sfera giuridica della prole a influire sul diritto di proprietà. Il coniuge proprietario, privato del godimento della casa, può chiedere “la ridefinizione degli accordi o dei provvedimenti adottati”, se il cambio della residenza o del domicilio dell’altro abbia interferito “con le modalità di affidamento”. La valutazione spetta al tribunale.
Se l’art. 155 quater non ha previsto l’assegnazione qualora non vi sia prole, l’autorità giudiziaria non può emettere il relativo provvedimento poiché i limiti al godimento della proprietà sono determinati dalla legge (art. 42 co. 2 Cost.).
Questa interpretazione restrittiva della norma rischia di entrare in crisi se si esaminano i casi di estinzione del diritto di godimento della casa familiare; in particolare interessano, il nuovo matrimonio o l’inizio della convivenza more uxorio da parte dell’assegnatario. L’effetto estintivo è, secondo la lettera della norma, automatico perché tali casi determinano di per sé la cessazione dell’assegnazione, limitandosi il tribunale ad accertare il loro verificarsi. Il tribunale non ha, sempre interpretando letteralmente, il potere discrezionale di valutare se la nuova situazione (matrimonio o convivenza) pregiudichi l’interesse del minore e, qualora ciò non accada, di confermare il provvedimento di assegnazione.
L’estinzione di diritto sembra però inconciliabile con la funzione protettiva svolta dall’istituto in parola, perché essa non consente la conservazione del godimento della casa familiare qualora l’ingresso di un nuovo soggetto nello spazio domestico lasci intatto l’interesse della prole a conservarlo (4). In conseguenza dell’estinzione si aprono per il figlio alcune possibilità: continuare a vivere nella casa familiare con il genitore proprietario, o avere il domicilio nella casa del nuovo coniuge o del convivente dell’ex assegnatario se il cambio di residenza o di domicilio di quest’ultimo non interferisca con le modalità di affidamento (art. 155 quater co. 2).
Alcuni tribunali di merito (5), non accogliendo interpretazioni correttive né tesi integrative della funzione dell’assegnazione (6), hanno sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 155 quater co. 1 nella parte in cui prevede la revoca di diritto del provvedimento di assegnazione nel caso di nuovo matrimonio o di convivenza.

 

2. I motivi di incostituzionalità e l’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 155 quater co. 1

Alcuni tribunali di merito, ritenendo insuperabile con un’interpretazione costituzionalmente orientata la prescrizione normativa dell’estinzione ipso iure dell’assegnazione, hanno sollevato questione di legittimità costituzionale (7).
I motivi dei ricorsi, senza distinguere tra le varie ordinanze di rimessione, possono essere sintetizzati nel modo seguente. Due attengono alla posizione dei figli e uno a quella del coniuge assegnatario. Cominciamo dai primi.
L’automatica estinzione del diritto di godere della casa familiare contrasta con l’esigenza di protezione dell’interesse del minore sancita dalla Costituzione. Al concetto di mantenimento dei figli, dovere sancito dall’art. 30 Cost., è riconducibile anche la predisposizione e la conservazione di un adeguato ambiente domestico in cui crescere. In linea con questa interpretazione, la legge sull’affidamento condiviso ha introdotto il mantenimento diretto della prole prevedendo l’assegno periodico soltanto “ove necessario” (art. 115 co. 4 c.c.). A dimostrazione del più alto valore del rapporto personale con i genitori rispetto alla corresponsione di somme di denaro. In questo disegno normativo, attento alle relazioni tra la persone e con le case, si colloca anche l’assegnazione della casa familiare quale modalità indispensabile del mantenimento del figlio.
Un altro motivo d’incostituzionalità fa leva sull’irragionevole disparità di trattamento tra i figli a seconda che il genitore “domiciliatario” decida o no di contrarre un nuovo matrimonio o di intraprendere una stabile convivenza. Nel primo caso, l’assegnazione si estingue sebbene il figlio conservi ugualmente l’interesse a permanere nella propria abitazione familiare. Nel secondo, invece, il godimento continua regolarmente. A fronte di ciò, situazioni e interessi uguali (continuare a vivere nel luogo consueto) ricevono un trattamento giuridico diverso.
Si potrebbe evidenziare la sussistenza della diversità di situazione se solo si guardi all’interesse del proprietario a riottenere il pieno godimento del bene, qualora un nuovo soggetto entri stabilmente nella propria casa. Ma abbiamo osservato come l’unico interesse giuridicamente rilevante sia quello della prole. E sotto questo profilo, in punto di estinzione dell’assegnazione, non vi può essere una regola diversa in dipendenza di fatti attinenti al genitore assegnatario, pena la violazione dell’art. 3 Cost.
L’ultima ragione d’illegittimità costituzionale attiene, invece, al coniuge assegnatario la cui libera volontà di esercitare libertà fondamentali, quali il matrimonio (art. 29 co. 1 Cost.) o la convivenza more uxorio (art. 2 Cost.), sarebbe compromessa. Egli è costretto a fronteggiare la scelta tra rinunciarvi oppure perdere il godimento della casa coniugale, arrecando peraltro al figlio un grave pregiudizio.
La Corte costituzionale, con la sentenza in commento (8), concorda con i motivi sopraesposti, ma dichiara infondata la questione di legittimità costituzionale, applicando il principio secondo cui per dichiarare l’incostituzionalità di una norma non è sufficiente attribuirle un significato contrastante con un parametro della Costituzione, bensì occorre accertare l’impossibilità di un’interpretazione che renda la norma conforme alla Carta fondamentale (9).
La Consulta compie alcune pregnanti affermazioni, ricordando innanzitutto che, secondo il diritto vivente formatosi nella vigenza dell’art. 115 co. 4, sostituito dall’art. 155 quater, l’assegnazione della casa coniugale era strettamente legata all’affidamento della prole. Orientamento confermato dalla stessa Consulta in due sentenze (10) nelle quali si rileva la centralità, quale manifestazione dell’obbligo di mantenimento, dell’ambiente domestico per la formazione e lo sviluppo della personalità del minore. In più, la nuova norma ha eliminato, quale “criterio preferenziale” per l’assegnazione, l’affidamento della prole – ciò in coerenza col superamento dell’affidamento monogenitoriale – collegando più chiaramente l’attribuzione dell’alloggio all’interesse dei figli.
Poste queste notazioni preliminari, la Corte Costituzionale compie il passaggio più delicato asserendo che, “anche per l’assegnazione della casa familiare, vale il principio della modificabilità in ogni tempo del provvedimento per fatti sopravvenuti” (11). Ciò naturalmente al verificarsi dei fatti previsti dalla legge.

In verità le norme di riferimento (artt. 155 quater, art. 6 l. n. 898/1970) non sono proprio lo specchio di questo principio, ma si deve convenire sull’utilità di riformulare i provvedimenti concernenti la prole per una migliore tutela del loro interesse (art. 710 c.p.c.) (12).
Così – continua la Consulta – non solo l’assegnazione ma anche la cessazione dell’assegnazione è “subordinata, pur nel silenzio della legge, ad una valutazione, da parte del giudice, di rispondenza all’interesse della prole”. Ne consegue l’incoerenza della regola dell’estinzione automatica rispetto ai “fini di tutela della prole, per i quali l’istituto è sorto”. Ma la ragionevolezza della disciplina e la sua costituzionalità possono essere recuperate negando l’estinzione di diritto dell’assegnazione, estinzione invece subordinata ad un giudizio di conformità di essa all’interesse del minore.

 

Note
(1)    La norma stabiliva che “L’abitazione della casa familiare spetta di preferenza, e ove sia possibile, al coniuge cui vengono affidati i figli”. Secondo un’interpretazione dottrinale la norma non impediva l’assegnazione al coniuge non proprietario, economicamente più debole, privo della qualifica di affidatario.
(2)     Cass., Sez. un. 28 ottobre 1995, n. 11297, in Foro it., 1996, I, c. 121 ss.; Cass. civ. 18 settembre 2003, n. 13747, in Arch. civ., 2004, p. 943 ss.; Cass., 1 marzo 2005, n. 4300, in Fam. pers. e succ., 2005, p. 113 ss.; Cass. 22 marzo, 2007, n. 6979, in Giur. it., 2008, 2, p. 329 ss., con nota di E. Arcioni; Cass., 14 maggio 2007, n. 10994, in Giur. it., 2008, 1, p. 56 ss., con nota di O. Marotta; Cass., 23 novembre, 2007, n. 24407, in Corr. giur., 2008, 1, p. 15 ss., in cui si conferma l’orientamento consolidato, ma si ammette, stante la maggiore consistenza del patrimonio immobiliare del marito e l’impossibilità di corrispondere l’assegno, la “sistemazione” della moglie nella casa familiare quale “contributo di natura immobiliare”; Cass. 18 febbraio 2008, n. 3934, in Fam. pers. succ., 2008, 8-9, p. 693 ss. con nota di F. Romana Fantetti, La non assegnabilità della casa coniugale in assenza di prole. Contra Trib. Viterbo, 12 ottobre 2006, in Fam. e dir., 2007, 4, p. 371 ss. con nota di M. Acierno.
In dottrina ammettono l’assegnazione solo in presenza di prole minorenne o maggiorenne non economicamente autosufficiente: …….
(3)    Il tribunale, invece, deve tener conto, come già affermato in giurisprudenza, nella quantificazione dell’assegno dovuto alla prole e al coniuge assegnatario, del beneficio economico derivante dal godimento della casa familiare. Qualora il coniuge assegnatario succeda nel contratto di locazione (art. 6 co 2 l. n. 392/1978) egli dovrà corrispondere il canone, onere da valutarsi da parte del giudice nella determinazione dell’assegno di mantenimento.
(4)    Con l’estinzione automatica il legislatore, probabilmente, ha voluto evitare che l’assegnazione potesse realizzare l’esigenza abitativa di un soggetto (il nuovo coniuge o il convivente), estraneo all’originario nucleo familiare, e portatore di un interesse potenzialmente configgente con quello del figlio a non subire un’ulteriore alterazione del proprio ambiente domestico. In tal modo il legislatore avrebbe ignorato o sottovalutato la possibilità che la prole, nonostante la nuova situazione dell’assegnatario, conservi l’interesse a rimanere nella casa familiare con il genitore “domiciliata rio”.
(5)    Il Trib. Firenze, ord. 13 dicembre 2006, in Foro it., 2007, I, c. 2049 ss., con note di G. Casaburi, M. G. Civinini e G. De Marzo, ma anche la Corte d’App. di Bologna e il tribunale di Ragusa.
(6)    L’estinzione di diritto si applicherebbe soltanto al caso in cui la casa familiare sia stata assegnata al coniuge non proprietario in assenza di figli; invece, qualora vi sia prole l’estinzione sarebbe comunque soggetta ad una valutazione da parte del giudice. Questa interpretazione non è condivisibile perché presume, senza addurre convincenti argomenti a sostegno, che l’assegnazione possa essere disposta quale modalità integrativa o sostitutiva del mantenimento. Il tenore dell’art. 155 quater, invece, sostiene adeguatamente la conclusione secondo cui l’assegnazione è subordinata al presupposto dell’affidamento (condiviso o esclusivo) della prole minorenne o della convivenza con figli maggiorenni non economicamente autosufficienti.
(7)     Effettua, invece, un’interpretazione costituzionalmente orientata il Trib. Modena, decr. 18 aprile 2007, in Nuova giur. civ. comm., 2008, p. 512 ss., con nota adesiva di G. Ferrando, La convivenza more uxorio della madre non fa cessare il diritto di abitare nella casa familiare. Secondo il trib. la convivenza del genitore affidatario non determina decadenza automatica, ma impone al giudice una nuova valutazione in ordine all’effettiva sussistenza dell’interesse del figlio a continuare ad abitare presso la propria dimora. L’automatismo – continua il trib. – contrasta con il principio costituzionale di riferimento del preminente interesse del minore.
(8)    Corte Cost. 30 luglio 2008, n. 308.
(9)    Corte Cost., sent. 4 novembre 2007, n. 379, in Foro it., 2008, I, c. 1405 ss., con nota di D. Longo, Procedimento sommario e liquidazione delle spese; Corte cost., ord., 16 marzo 2007, n. 87, in  Giur. costit., 2007, p. 845 ss.
(10)    Corte cost., 13 maggio 1998, n. 166, in Fam. e dir., 1998, 3, p. 205 ss., con nota di V. Carbone, La consulta non riconosce la famiglia di fatto, ma tutela il diritto dei figli all’abitazione; Corte cost., 21 ottobre 2005, n. 394, in Fam. pers. succ., 2006, 5, p. 416 ss., con nota di M. Dossetti, La disciplina unitaria dello status di figlio: un adempimento che non può essere rinviato.
(11)     Principio affermato da Cass., 18 settembre 2003, n. 13736, in Arch. civ., 2004, p. 943 ss., sentenza richiamata dalla Consulta. Il caso era il seguente. A seguito della separazione, il figlio veniva affidato alla madre ma la casa familiare restava al padre-proprietario. Successivamente, la madre chiedeva ed otteneva l’assegnazione, ma il provvedimento, reso in sede di reclamo, è cassato in quanto motivato esclusivamente sulla base delle accresciute spese della madre, mentre l’immobile, negli anni, aveva perso il carattere di casa familiare, perché il figlio e il genitore affidatario vivevano altrove. Anche in sede di modifica, quindi, si ha riguardo all’affidamento e all’interesse prioritario della prole.
(12)     Ci si può chiedere se il proprietario della casa coniugale possa pretendere la revoca dell’assegnazione se  versi in grave difficoltà economica tanto da non poter più pagare il canone di locazione. Non sembra corretta una risposta assolutamente negativa, motivata in base alla mancata previsione del caso in parola tra quelli di revoca dell’assegnazione.  Piuttosto è possibile svolgere un altro ragionamento. L’art. 155 quater co. 1 c.c. stabilisce che il giudice nell’assegnazione della casa tiene “prioritariamente conto dell’interesse dei figli”. Se, come abbiamo asserito, tale locuzione non può essere interpretata nel senso di legittimare l’assegnazione a favore del coniuge non proprietario, in assenza di prole, essa potrebbe tuttavia consentire di preferire al figlio il genitore proprietario qualora questi versi in stato di grave difficoltà economica. Certo – si potrebbe obiettare – la norma pone il criterio della priorità solo in sede in assegnazione, ma se, in tale momento, il diritto del proprietario di conservare il godimento è confrontato con quello della prole, sembrerebbe illogico negare che esso possa riemergere ove muti il quadro in cui il provvedimento è stato assunto.

Pubblicato in Famiglia e successioni

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