La sentenza n. 4030/2013 riguarda l’ennesimo caso di malpractice medica: essa afferma la responsabilità di due medici chirurghi di un’azienda ospedaliera per un’errata operazione di laparoisterectomia. La paziente aveva rilasciato uno specifico consenso informato basato su una informazione non esatta circa le proprie condizioni di salute: le era stato erroneamente diagnosticato un tumore conclamato e diffuso tale da rendere improrogabile un intervento chirurgico. Solo per effetto del ricorso in Cassazione, la paziente si vede riconosciuto il risarcimento del danno subito per i postumi invalidanti riportati dall’intervento rivelatosi non necessario, oltre che per la violazione del principio del consenso informato.
L’aspetto più importante per cui si segnala questa sentenza non attiene tanto al profilo della tutela dell’autodeterminazione terapeutica, quanto, piuttosto, a quello della responsabilità civile: nello svolgere il ragionamento sotteso alla decisione, la Corte pronuncia un interessante obiter dictum, nel quale viene ribadita la validità della giurisprudenza di legittimità e di merito sulla teoria del contatto sociale in tema di responsabilità civile del medico. Infatti, la presente pronuncia va inserita in quel filone giurisprudenziale chiamato a decidere casi di responsabilità medica all’indomani dell’entrata in vigore della Legge Balduzzi (legge n. 189/2012).
Come è noto, l’art. 3 di tale legge contiene una disposizione molto discussa: essa esclude la responsabilità penale del medico il quale si “attenga alle linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica” e versi, in astratto, in ipotesi di colpa lieve, mantenendo “comunque fermo l’obbligo di cui all’art. 2043 c.c.”. Il fatto che il legislatore richiami l’art. 2043 c.c. (che prevede la clausola del neminem laedere), anziché l’art. 1218 c.c. (in tema di responsabilità contrattuale) ha indotto taluni a mettere in discussione i tradizionali criteri di accertamento della responsabilità civile del medico dipendente, finora consolidati sullo schema contrattuale, o meglio, da contatto sociale (v. Cass., 22 gennaio 1999, n. 589).
Parte della giurisprudenza (v. Trib. Varese, 26 novembre 2012; Trib. Torino, 26 febbraio 2013) ritiene che il legislatore, esprimendosi nei suddetti termini, abbia inteso qualificare la responsabilità del medico come extracontrattuale, coerentemente – si sostiene – con la finalità di scongiurare i rischi legati alla medicina difensiva (in base allo schema della responsabilità aquiliana, è il paziente a soggiacere ad un onere probatorio e ad un regime prescrizionale più gravosi). Altra parte della giurisprudenza (v. Trib. Arezzo, 14 febbraio 2013) propugna, invece, l’idea che il rinvio all’art. 2043 c.c. vada letto semplicemente come un’imprecisione tecnica del legislatore, di per sé inidonea a mutare quell’orientamento giurisprudenziale costante che, a garanzia di una tutela più effettiva del paziente, predica la natura contrattuale della responsabilità del medico dipendente.
La sentenza di Cassazione n 4030/2013, sia pure in un obiter dictum, mostra di preferire la tesi contrattuale e dunque l’orientamento tradizionale. La Corte ritiene l’art. 3 della legge Balduzzi non intacca la responsabilità da contatto del medico dipendente. Anzi, essa precisa che “la materia della responsabilità civile segue le sue regole consolidate, e non solo per la responsabilità aquiliana del medico, ma anche per la cd. responsabilità contrattuale del medico e della struttura sanitaria, da contatto sociale”. Tanto che – secondo la Corte – si devono considerare “punto fermo, ai fini della nomofilachia, gli arresti delle sentenze delle Sezioni Unite del novembre 2008, n. 26973, ed in particolare il punto 4.3 del cd. preambolo sistematico, che attiene ai cd. contratti di protezione conclusi nel settore sanitario (…)”.
In definitiva, la legge Balduzzi non incide sulla fattispecie della responsabilità civile del medico dipendente, mutandone le regole di accertamento, semmai essa opera sull’effetto: nei casi in cui si possa escludere la responsabilità penale del medico, resta comunque fermo l’obbligo risarcitorio, la cui entità deve essere determinata tenendo conto di linee guida e buone pratiche.
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