NOTA REDAZIONALE A CASS., 18 NOVEMBRE 2014, N. 24475
Il caso è il seguente: un minore aggredisce uno dei frequentatori della discoteca che, proprio a causa dell’aggressione, perde quasi completamente la vista all’occhio destro.
Al termine del processo penale che termina con una sentenza di non doversi procedere e la concessione del beneficio del perdono giudiziale, la vittima conviene in giudizio i genitori per sentirli condannare al risarcimento del danno.
Il caso arriva fino in Cassazione la quale conferma la pronuncia di condanna della Corte d’Appello.
Due sono gli aspetti toccati dalla sentenza: il rapporto tra giudizio penale e giudizio civile; l’onere della prova che grava sui genitori convenuti in giudizio per atti illeciti commessi dal figlio.
Secondo i genitori ricorrenti, vi sarebbe stata violazione dell’art. 651 c.p.p. in quanto la C.A. avrebbe assegnato valore di giudicato all’accertamento dei fatti contenuto nel processo penale.
I giudici di Piazza Cavour, invece, rigettano la censura. L’art. 651 c.p.p., come del resto l’art. 652 c.p.p., prevede una eccezione al principio di autonomia e separazione del giudizio penale e civile. Ne consegue che, trattandosi di norma eccezionale, non è suscettibile di applicazione analogica (art. 14 preleggi). Non si può tuttavia escludere che, pur trattandosi di sentenza di non luogo a procedere e quindi esclusa dall’art. 651 c.p.p., l’accertamento ivi contenuto potrà comunque avere una valenza persuasiva che, unitamente alla C.T.U. ed al referto medico, concorrono alla formazione della decisione del giudice.
Sulla prima questione, si afferma quindi il seguente principio: “nell’ipotesi di sentenza di condanna non definitiva e di sentenza definitiva di non doversi procedere (…), il giudice civile deve interamente rivalutare il fatto ma può tenere conto di tutti gli elementi di prova acquisiti, nel rispetto del contraddittorio tra le parti in sede penale, e non gli è vietato ripercorrere lo stesso iter argomentativo del giudice penale e giungere alle medesime conclusioni”.
In estrema sintesi, anche con riferimento all’art. 651 c.p.p. vale il medesimo principio affermato dalle Sezioni unite nel 2011 in riferimento all’art. 652 c.p.p. Trattasi di Cass., sez. un., 26 gennaio 2011, n. 1768 che ricostruisce l’intera querelle del rapporto tra azione civile ed azione penale. Vedila in Foro it., 2011, I, c. 2411 con nota di richiami di Casoria; in Corr. giur., 2011, p. 644, con nota di Di Majo; in Corr. Merito, 2011, p. 273 con nota di Travaglino; in Riv. dir. proc., 2011, p. 984 con nota di Sandulli; in Resp. civ. e prev., 2011, p. 2069, con nota di Macrì.
Nello stesso senso e con esclusivo riferimento all’art. 651 si era già pronunciata anche Cass., sez. lav., 5 agosto 2005, n. 16559, in Notiz. Giur. Lav., 2006, p. 215 e Cass., 25 marzo 2005, n. 6478, in Iusexplorer; più di recente, Cass., 17 giugno 2013, n. 15112, in Foro it., 2014, I, c. 2202;
In dottrina cfr. Vanacore, Efficacia extrapenale del giudicato di assoluzione: il punto delle Sezioni Unite, in La resp. civ., 2011, p. 380; Bastia (cur.), Azione civile nel processo penale e rapporti con il giudizio civile, in Ventiquattrore avvocato, 2010, fasc. 5; Iacobacci, Sull’efficacia esterna del giudicato penale, in Giust. pen., 2010, III, p. 371; Caruso – Rapisarda, Rapporti tra sentenza penale di proscioglimento per amnistia e processo civile, in Ventiquattrore Avvocato, 2009, fasc. 11; Cantarella, Efficacia del giudicato penale di assoluzione nel giudizio civile di danno, in Ventiquattrore avvocato, 2005, fasc. 5.
Accertata la condotta del minore, la seconda parte della sentenza si concentra sulle conseguenze civili e si fa applicazione dell’art. 2048 c.c., condannando i genitori del responsabile al pagamento: pur essendo il minore capace di intendere e volere, difetta della capacità di agire, presupposto per essere titolare di una obbligazione risarcitoria.
Sull’onere della prova, la sentenza contiene una affermazione che potrebbe generare perplessità. Si richiede, infatti, di offrire “non la prova legislativamente predeterminata di non aver potuto impedire il fatto (atteso che si tratta di prova negativa), ma quella di aver impartito al figlio una buona educazione e di aver esercitato su di lui una vigilanza adeguata”.
In breve, il genitore sarebbe responsabile sia per colpa in vigilando sia per colpa in educando, connessa alla violazione dell’art. 147 c.c. che sancisce l’obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole. Tale ultimo obbligo deve essere adempiuto conformemente alle condizioni sociali, familiari, età, carattere ed indole del minore.
In dottrina si rileva un contrasto sulla natura dell’art. 2048 c.c.
Secondo una prima ricostruzione trattasi di una responsabilità diretta per fatto proprio colposo. La tesi è sostenuta da De cupis, Il danno, II, Milano, 1979, p. 135 e ss.; Corsaro, Funzione e ragioni della responsabilità civile per fatto illecito del figlio minore, in Giust. It., 1988, IV, p. 288; Alpa, La responsabilità civile, in Tratt. Dir. civ, IV, Milano, 1999, p. 968; Bonvicini, La responsabilità civile, I, Milano, 1971, p. 473; Forchielli, La responsabilità civile, Padova, 1973, p. 48
Un’altra ricostruzione pone a fondamento della responsabilità genitoriale un criterio esterno a quello della colpa, lo status che li lega ai figli: Rodotà, Il problema della responsabilità civile, Milano, 1964, p. 156; Giardina, La condizione giuridica del minore, Napoli, 1984, p. 132; Patti, Famiglia e responsabilità civile, Milano, 1984, p. 273; in termini simili v. Scognamiglio, voce Responsabilità per fatto altrui, in Noviss. dig. it., p. 694 il quale desume la responsabilità dalla relazione qualificata intercorrente tra i genitori ed i figli minori coabitanti.
La giurisprudenza, invece, sembra estranea al dibattito e quello che rileva sono gli interventi in punto di prova liberatoria che, come pacificamente ammesso anche dalla sentenza annotata, hanno mutato la struttura dell’art. 2048 c.c.: la prova negativa di non aver potuto impedire il fatto si è sostanzialmente trasformata nella prova positiva di aver sorvegliato adeguatamente ed aver ben educato. In dottrina v. M. Franzoni, L’illecito, in Trattato sulla responsabilità civile, Milano, 2011, p. 705 che per approfondimenti richiama gli scritti di Visintini, La responsabilità civile nella giurisprudenza, Padova, 1967, p. 334 e Mantovani, Responsabilità dei genitori, dei tutori, dei precettori e dei maestri d’arte, in La responsabilità civile, diretto da Alpa e Bessone, II, 1, Milano, 1999, p. 5. Tra le sentenze più significative cfr. Cass., 6 dicembre 2011, n. 26200, in Foro it., 2012, I, c. 448; in Fam. dir., 2012, p. 722, con nota di Toscano; in Giur. it., 2012, con nota di Tavan; Cass., 28 agosto 2009, n. 18804, in Foro it., 2010, I, c. 1563, con nota di Palmieri e in Danno e resp., 2010, p. 358 con nota di Arnone nonché in Resp. civ., 2011, p. 361 con nota di Mastroianni; Cass., 18 gennaio 2006, n. 831, in Resp. civ., 2006, p. 1071, con nota di Gavazzi; Cass., 28 marzo 2001, n. 4481, in Danno e resp., 2001, p. 498 con nota di Carbone e in Giust. civ., 2001, I, p. 1799.
Culpa in vigilando e culpa in educando stanno tra loro in una relazione inversamente proporzionale: quanto maggiore sarà l’educazione impartita e la maturità tanto minore sarà l’obbligo di vigilare, e viceversa.
Per fornire tale dimostrazione, la giurisprudenza ammette anche la prova per presunzioni: “l’inadeguatezza della educazione impartita e della vigilanza esercitata su un minore, fondamento della responsabilità dei genitori per il fatto illecito dal suddetto commesso, può ben essere desunta, in mancanza di prova contraria, dalle modalità dello stesso fatto illecito”.
Al contempo, non è ritenuta conforme a diritto, per incompatibilità logica, la valutazione che dalle modalità dello stesso fatto illecito possa desumersi l’adeguatezza dell’educazione impartita e della vigilanza esercitata.
In termini analoghi v. anche Cass., 6 dicembre 2011, n. 26200, in Dir. famiglia, 2012, p. 1023, con nota di Ludovici e in Giust. civ., 2013, I, p. 1526; Cass., 20 apirle 2007, n. 9509, in Rass. dir. civ., 2008, p. 236, con nota di Parini; Cass., 20 ottobre 2005, n. 20322, in Fam e dir., 2006, p. 135, con nota di Facci; in Nuova giur. civ. comm., 2006, I, p. 990, con nota di Quarticelli, Cass., 29 maggio 2001, n. 7270, in Nuova giur. civ. comm., 2002, I, p. 326, con nota di Solinas.
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