La Sezione I della Corte di Cassazione, con l’ordinanza 16 maggio 2016, n. 9978 ha rimesso al Primo Presidente, per valutare l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, della questione «di massima di particolare importanza», sulla riconoscibilità delle sentenze straniere che abbiano comminato il risarcimento dei cd. “danni punitivi”, in ragione dei dubbi in merito ad un contrasto con il principio di ordine pubblico. Il giudizio della Suprema Corte era infatti stato invocato per cassare la sentenza con la quale, la Corte d’Appello di Venezia (nel giudizio di delibazione), aveva ritenuto la pronuncia della District Court of Appeal of the State of Florida efficace ed esecutiva nell’ordinamento italiano. I fatti che avevano dato origine alla vicenda concernevano la richiesta di risarcimento da parte di un motociclista per i danni subiti durante un’incidente in gara, a causa dei vizi di fabbricazione di un casco prodotto da una società italiana e commercializzato da una americana.
L’attenzione delle Sezioni Unite viene convogliata, per il tramite dell’ordinanza in commento, su due profili indissolubilmente legati fra loro, per i quali si richiede la messa in discussione dell’orientamento tradizionalmente sostenuto. Viene posto infatti l’accento sulla interpretazione del limite di ordine pubblico (art. 64, lett. g), lg. 31 maggio 1995, n. 218 – Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato), in ragione dell’evoluzione che lo ha caratterizzato, segnando un «progressivo e condivisibile allentamento del livello di guardia tradizionalmente opposto dall’ordinamento nazionale all’ingresso di istituti giuridici e valori estranei, purché compatibili con i principi fondamentali». Da ciò consegue che «il giudice della delibazione (…) dovrà negare il contrasto in presenza di una mera incompatibilità (temporanea) della norma straniera con l’assetto normativo interno, quando questo rappresenti una delle diverse modalità di attuazione del programma costituzionale». La prospettiva entro cui ci si muove è quella di una linea di apertura, sostenuta dal judicial activism, verso la creazione di un perimetro comune di tutela dei diritti dell’individuo e dei rimedi di carattere sovranazionale.
È entro quest’ottica che deve essere pertanto configurata la questione di ammissibilità della liquidazione di danni punitivi. Risulta difatti in dubbio «se la funzione riparatoria – compensativa, seppur prevalente nel nostro ordinamento, sia davvero l’unica attribuibile al rimedio risarcitorio» o se, anzi, il riconoscimento di una ulteriore dimensione sanzionatoria del danno non sia il «segno della dinamicità o polifunzionalità del sistema della responsabilità civile», in un orizzonte di «circolazione delle regole giuridiche, non della loro frammentazione tra i diversi ordinamenti nazionali».
La forza innovativa dirompente dell’ordinanza, in attesa della definitiva presa di posizione da parte delle Sezioni Unite, risiede nel contrasto portato avanti con l’orientamento tradizionale della giurisprudenza della Corte. I casi più recenti ed emblematici di rigetto nel riconoscimento dei danni punitivi sono state Cass. 1183/2007 (Foro.it, 2007, I, 1460, con nota di Ponzanelli, Danni punitivi: no grazie), Cass. 1781/2012 (Foro.it, 2012, I, 1449); di importanza centrale, inoltre, la presa di posizione delle S.U. 15350/2015 (Foro.it, 2015, I, 2682), secondo cui «la progressiva autonomia della disciplina della responsabilità civile da quella penale ha comportato l’obliterazione della funzione sanzionatoria e di deterrenza e l’affermarsi della funzione reintegratoria e riparatoria».
A sostegno dell’apertura nei confronti dei punitive damages si è invece schierata Cass. 7613/2015 (Foro.it, 2015, I, 3951, con nota di Mondini, Astreintes, ordine pubblico interno e danno punitivo), secondo la quale «si riscontra l’evoluzione della tecnica di tutela della responsabilità civile verso una funzione anche sanzionatoria e deterrente (…) specialmente a fronte di un animus nocendi», nonché parte della dottrina (cfr. Pardolesi, Contratto e nuove frontiere rimediali. Disgorgement v. punitive damages, Bari, 2012, 129 ss.; di avviso contrario invece, Castronovo, Del non risarcibile aquiliano: danno meramente patrimoniale, cd. perdita di chance, danni punitivi, danno cd. esistenziale, in Europa e diritto privato, 2008, 315). A fondamento, sono infatti richiamati i diversi indici normativi dai quali si evince l’ampliamento delle funzioni della responsabilità risarcitoria: l’art. 96, comma 3 c.p.c. (abuso del processo), l’art. 125 d.lgs. 30/2005 (violazioni in materia di proprietà industriale), art. 12 lg. 47/1948 (diffamazione a mezzo stampa), d.lgs. 7/2016 (depenalizzazione di fattispecie e riconoscimento di sanzioni pecuniarie con finalità sanzionatoria).
L’ordinanza conclude, dunque, in ordine all’opportunità di una presa di posizione da parte delle Sezioni Unite per risolvere un evidente contrasto all’interno della giurisprudenza di legittimità e per delimitare con maggior precisione quali siano le funzioni che, alla luce dell’attuale contesto normativo, debbano essere riconosciute al meccanismo risarcitorio.
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