Le Sezioni Unite si pronunciano sulla questione sottoposta alla loro attenzione dalla ordinanza n. 10447/2017 – qui già segnalata – in ordine al rilievo da ascrivere alla forma scritta nei contratti- quadro di intermediazione finanziaria. La sezione remittente aveva invocato l’intervento chiarificatore delle Sezioni Unite ex art. 374, comma secondo, c.p.c. per stabilire se la sottoscrizione del contratto-quadro da parte della banca sia necessaria “ad substantiam”, insieme a quella dell’investitore, al fine di garantire la valida conclusione dello stesso.
I giudici di legittimità oggi confermano l’orientamento prospettato dall’ordinanza del 2017, secondo il quale la sottoscrizione da parte del cliente sarebbe sufficiente a integrare il requisito della forma scritta, richiesto dall’art. 23 del d.lgs. n. 58/1998 (T.U.F.), mentre la sottoscrizione della banca non sarebbe necessaria affinché il contratto sia perfetto, potendo essere manifestata in qualsiasi forma ammessa dall’ordinamento.
Il ragionamento delle Sezioni Unite si fonda sull’analisi della ratio dell’art. 23 T.U.F., che prevede, inequivocabilmente, la redazione per iscritto del contratto relativo alla prestazione dei servizio di investimento e la consegna della scrittura al cliente, quale unico titolare del diritto di far valere la nullità per difetto della forma prescritta. Si rileva che la nullità per difetto di forma, così come la consegna del contratto, è una nullità relativa, cioè a legittimazione ristretta, e anche di protezione, poiché quei vincoli sono posti nell’interesse del cliente, allo scopo di soddisfare le esigenze informative dello stesso, quale parte debole del rapporto contrattuale (c.d. neoformalismo). Nel contempo, la forma protettiva è idonea a realizzare anche un interesse metaindividuale, in quanto, assicurando il riequilibrio tra le posizioni delle parti, garantisce, altresì, in via mediata, la regolarità e la trasparenza del mercato del credito.
L’assunto su cui si basa la decisione è che il vincolo di forma va inteso «secondo quella che è la funzione propria della norma e non automaticamente richiamando la disciplina generale sulla nullità». La specificità della disciplina consente, difatti, di scindere i due profili, quello del documento, come formalizzazione e certezza della regola contrattuale, e quello dell’accordo. Anzi, secondo i giudici, «proprio a fronte della specificità della normativa che qui interessa, correlata alla ragione giustificativa della stessa, è difficilmente sostenibile che la sottoscrizione da parte del delegato della banca, volta che risulti provato l’accordo (…) e che vi sia stata consegna della scrittura all’investitore, necessiti ai fini della validità del contratto-quadro».
Sicché, tale requisito di forma va inteso non in senso meramente strutturale, ma funzionale, avuto riguardo alla finalità propria della normativa. Se questa è la prospettiva dell’art. 23 T.U.F., allora, è la mancata sottoscrizione del solo cliente che contrasta con la ratio della norma, in quanto indice della mancata conoscenza delle condizioni contrattuali, facendo scattare la nullità del contratto. Mentre la mancata sottoscrizione dell’intermediario, che è il soggetto contro il quale è previsto il rimedio invalidante, non lede l’interesse tutelato dalla norma e, quindi, non giustifica la nullità del contratto.
In considerazione di ciò, i giudici statuiscono che il contratto-quadro deve essere redatto per iscritto, il suo perfezionamento deve essere sottoscritto dall’investitore e a questi deve essere consegnato un esemplare del contratto. Il consenso della banca, invece, può risultare aliunde, da comportamenti concludenti, non necessariamente dalla sottoscrizione del negozio.
A sostegno di questa tesi, le Sezioni Unite svolgono due ulteriori considerazioni.
In primo luogo, si riflette sul carattere relativo della fattispecie di nullità in esame: trattandosi di nullità relativa e di protezione, cioè volta a proteggere in via diretta e immediata non un interesse generale, ma l’interesse particolare della parte debole, all’interprete spetta il compito di «circoscrivere la tutela privilegiata nei limiti in cui viene coinvolto l’interesse protetto da quella invalidità».
D’altro canto, diversamente ragionando, cioè imponendo la sottoscrizione del contratto da parte dell’intermediario a pena di nullità, si produrrebbero conseguenze negative. Da una parte perché si sarebbe alla presenza di un mero formalismo posto a tutela di nessun interesse, che entrerebbe in contrasto con il dinamismo dei mercati finanziari. Dall’altra, l’uso selettivo della nullità per mancata sottoscrizione dell’intermediario si presterebbe a usi opportunistici da parte del soggetto tutelato, a seconda dell’andamento degli investimenti, in forza di una prospettiva «esasperatamente sanzionatoria» verso la banca, a cui seguirebbe «un risultato manifestamente sproporzionato rispetto alla funzione a cui la forma è qui preordinata».
In secondo luogo, le Sezioni Unite invocano la conformità della soluzione prospettata rispetto alla normativa di matrice europea. Il riferimento è, in particolare, tanto alla Mifid 1 (direttiva n. 2004/39/CE), quanto alla Mifid 2 (direttiva 2014/65/CE), che perseguono l’obiettivo della trasparenza e della tutela degli investitori attraverso lo strumento della registrazione del documento concordato, così che risulti la verificabilità di quanto concordato.
In conclusione, dunque, nei contratti di intermediazione finanziaria la legge pone un vincolo di forma “ad substantiam” a carattere unilaterale, non bilaterale, poiché lo scopo perseguito è unilaterale, ossia la tutela del solo investitore.
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