Recentemente è intervenuta una sentenza delle Sezioni Unite con la quale è stato superato il contrasto rilevato nella giurisprudenza di legittimità dall’ordinanza n. 9316/2017 – già segnalata in questa rivista – .
La questione di diritto riguarda l’operatività o meno del principio di accessione di cui all’art. 934 c.c. rispetto all’edificio realizzato da uno soltanto dei comproprietari pro indiviso del fondo in comunione su cui sorge, in modo da poter affermare l’acquisto della proprietà dell’opera anche da parte dell’altro comunista.
A fronte di un più risalente indirizzo giurisprudenziale di segno positivo, l’opposto e oggi prevalente orientamento sostiene che, nel caso di costruzione eseguita su suolo comune da uno dei proprietari, dovrebbe trovare applicazione la disciplina dettata in materia di comunione. Tale disciplina opererebbe in deroga al principio di accessione poiché, nella fattispecie in esame, non ricorre la condizione di alterità tra costruttore e dominus soli che costituirebbe presupposto indefettibile per l’operatività dell’art. 934 c.c..
Pertanto, secondo tale tesi ermeneutica, la nuova costruzione sarebbe di proprietà comune a tutti i comunisti solo se eseguita nel rispetto delle regole prescritte per l’uso delle cose comuni ex art. 1102 c.c.. Invece, sarebbe di proprietà solo del comproprietario costruttore se realizzata in violazione delle regole dettate con riguardo alla comunione.
Le Sezioni Unite sottopongono ad una scrupolosa analisi critica quest’ultimo orientamento, sviluppando due ordini di considerazioni con i quali intendono smentire gli assunti su cui esso si fonda. Il primo di questi riguarda l’affermazione secondo cui la fattispecie di cui all’art. 934 c.c. si riferirebbe soltanto alle opere eseguite su terreno altrui. Di tal ché, l’operatività del principio di accessione sarebbe subordinata alla qualità di terzo del costruttore rispetto al proprietario del fondo.
La premessa teorica esposta risulta insostenibile alla luce della disciplina dettata in materia di accessione. Da una interpretazione letterale dell’art. 934 c.c. i Giudici di legittimità rilevano come essa non contenga alcun riferimento soggettivo al costruttore. La disposizione descrive unicamente il fatto materiale e obiettivo della incorporazione, quale unione stabile di una cosa con un’altra, da cui discende l’effetto giuridico dell’acquisto della proprietà a prescindere dalla volontà dei soggetti coinvolti.
L’art. 934 c.c., quindi, si riferisce ad un “meccanismo oggettivo” di acquisto della proprietà che, in astratto, non esclude l’accessione nel caso di costruzioni realizzate dallo stesso proprietario del suolo.
La nozione ampia di accessione contemplata nella disposizione in esame viene sostenuta anche alla luce di una interpretazione sistematica del complesso delle norme relative a tale istituto. Il codice civile prevede e regola specificamente le fattispecie di accessione in cui il costruttore è terzo rispetto al proprietario del suolo. Poiché sono fatte oggetto di una espressa disciplina agli artt. 936 e 937 c.c., è possibile escludere che tali ipotesi ricadano nell’ambito di applicazione dell’art. 934 c.c..
Inoltre, la possibilità che ricorra una coincidenza tra costruttore e dominus soli è ammessa all’art. 935 c.c. che applica il principio dell’accessione anche nel caso in cui l’opera sia stata realizzata dallo stesso proprietario del fondo con materiali altrui.
Infine, le Sezioni Unite richiamano la giurisprudenza elaborata dalla Corte di Cassazione in tema di “comunione legale tra i coniugi” dalla quale si desume come venga dato per pacifico che l’accessione non presupponga l’alterità soggettiva tra proprietario del suolo e costruttore. Infatti, in caso di costruzione realizzata durante il matrimonio da entrambi i coniugi sul terreno appartenente ad uno solo di essi, è applicata la regola dell’accessione per affermarne l’acquisto in capo al proprietario del fondo.
Il secondo assunto posto a fondamento della giurisprudenza criticata è quello secondo cui la disciplina della comunione integrerebbe una deroga all’istituto dell’accessione quando il suolo su cui sono eseguite le opere appartiene a più soggetti.
In proposito, i Giudici di legittimità rilevano come tra accessione e comunione non esista alcun rapporto tra genus ad speciem. La disciplina giuridica della comunione è diretta a regolare i rapporti tra comproprietari nell’uso e godimento della cosa comune, senza incidere sui modi di acquisto della proprietà.
Peraltro, le norme che indicano le facoltà e fissano i limiti nel rispetto dei quali i comproprietari possono servirsi della cosa comune e compiere rispetto ad essa atti di gestione (artt. 1102, 1108, 1120 c.c.) escludono che il singolo comunista, senza il consenso degli altri partecipanti alla comunione, possa cambiare destinazione al suolo comune e realizzare su di esso un’opera di cui poter diventare proprietario esclusivo.
Il Collegio, in ultimo, afferma di non condividere la conclusione cui giunge l’orientamento in esame allorché riconosce, in favore di tutti i comproprietari del suolo, l’acquisto della proprietà della costruzione realizzata da uno solo di essi soltanto quando eseguita in conformità delle regole che disciplinano la comunione. Di converso, invece, ne diventerebbe proprietario esclusivo il solo comproprietario costruttore quando l’opera è eseguita in violazione della stessa disciplina.
Infatti, esclusa l’applicabilità del principio di accessione nei casi di comunione del suolo su cui è edificata l’opera, non è possibile comprendere in base a quale diverso principio essa venga acquisita in comunione da tutti i comproprietari. Ugualmente, non è ricavabile alcun fondamento normativo nell’ipotesi inversa, non essendo giustificato l’acquisto della proprietà esclusiva dell’opera da parte del comproprietario del suolo che l’ha realizzata, pur avendo agito in violazione delle norme in materia di comunione.
Le Sezioni Unite rilevano come, nella sostanza, la giurisprudenza criticata è venuta a creare, per via pretoria, una nuova figura di “acquisto della proprietà a titolo originario” che non ha alcuna base legale, in aperta violazione della riserva di legge relativa ai modi di acquisto della proprietà prevista dall’art. 922 c.c..
Ma, sopratutto, consentire che i comproprietari non costruttori possano perdere la proprietà della cosa realizzata sul fondo comune in violazione dell’art. 1102 c.c. darebbe luogo ad una espropriazione della proprietà privata in assenza di un interesse generale e di un indennizzo, in contrasto con la Carta fondamentale (art. 42 Cost.) e con lo stesso Codice Civile. (art. 834 c.c.).
L’orientamento giurisprudenziale oggetto di disamina non può, quindi, che essere censurato, denunciandone la contrarietà “ad ogni logica e al comune senso di giustizia perché finisce per premiare, piuttosto che sanzionare, il comproprietario che commette un abuso in danno degli altri comproprietari”.
Secondo il Collegio, in mancanza di un valido titolo contrario, la costruzione edificata sul suolo comune, non solo da terzi, diviene per accessione, ex art. 934 c.c., di proprietà comune di tutti i comproprietari del suolo in proporzione alle rispettive quote dominicali. Di tal ché, sorge in capo al comproprietario costruttore un diritto di credito nei confronti degli altri comunisti, i quali saranno tenuti a rimborsargli le spese sopportate per la realizzazione dell’opera in proporzione alle rispettive quote di proprietà.
A questo punto, viene chiarito quale sia il regime giuridico che deve disciplinare i rapporti tra il comproprietario costruttore e gli altri comunisti che hanno acquisito ope legis la comproprietà della costruzione. Per fare ciò, occorre distinguere due casi. L’ipotesi in cui il costruttore ha agito contro l’esplicito divieto o all’insaputa dell’altro comproprietario del suolo è una ipotesi nella quale, poiché l’opera realizzata rappresenta una innovazione, è ravvisabile la violazione delle regole dettate dagli artt. 1108 c.c., in materia di comunione e 1120, 1121 c.c., in materia di condominio. L’altra ipotesi, invece, ricorre quando egli ha agito senza opposizione da parte dell’altro che, assumendo un atteggiamento di tolleranza, ha fatto sorgere l’affidamento del costruttore nel consenso implicito del comproprietario.
Nel primo caso, se sono state violate le norme in tema di comunione o di condominio, il comproprietario non costruttore può esercitare lo ius tollendi e pretendere la demolizione dell’opera lesiva del suo diritto ottenendo il ripristino dello status quo ante. Nel secondo caso, ricorrendo un consenso implicito o esplicito del comproprietario non costruttore viene fatta prevalere la tutela della buona fede e dell’affidamento del costruttore impedendo al primo di conseguire la demolizione dell’opera.
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