La Seconda Sezione Civile della Corte di Cassazione – in adesione all’orientamento prevalente degli ultimi anni – precisa quali siano le condizioni necessarie affinché un bene possa considerarsi escluso dalla comunione legale fra i coniugi.
La questione in esame ha origine da una domanda di divisione giudiziale avente a oggetto un bene immobile acquistato in regime di comunione legale.
All’atto di acquisto era intervenuto solo il marito, il quale aveva pagato interamente il prezzo utilizzando, in parte, denaro ottenuto a titolo di mutuo ipotecario, mentre l’altro coniuge figurava quale mero terzo datore di ipoteca e rimaneva estraneo alla vendita.
La restituzione delle somme ricevute a titolo di mutuo avveniva esclusivamente mediante l’utilizzo di proventi della attività separata del coniuge acquirente; inoltre, l’immobile acquistato veniva adoperato solo da quest’ultimo, non per scopi familiari, bensì per la propria attività professionale.
I giudici di legittimità, in linea con quanto affermato dai giudici di merito, ritengono che il bene sia caduto in comunione legale e, pertanto, confermano la divisione giudiziale dell’immobile disposta dal Tribunale. Ciò in quanto, nel caso di specie, non sono stati rispettati i requisiti, necessari per escludere la natura comune del bene, previsti dall’art. 179 cod. civ.
La Corte, innanzitutto, espone il principio generale in tema di acquisti in costanza del regime patrimoniale legale: qualsiasi bene acquistato dai coniugi entra ipso iure in comunione legale immediata, ai sensi dell’art. 177, lett. a), cod. civ.
La caduta automatica – precisano i giudici – si verifica:
i) anche se l’acquisto sia compiuto separatamente da parte di uno solo dei coniugi, e non soltanto in caso di acquisto congiunto (è testuale in tal senso l’art. 177 cod. civ.);
ii) indipendentemente dalla destinazione del bene a scopi estranei a quelli della famiglia;
iii) anche se il bene acquistato sia stato pagato, in via esclusiva o prevalente, con i proventi dell’attività separata di uno solo dei coniugi.
Ciò premesso, la Corte evidenzia che, per escludere la caduta in comunione immediata, è necessario il rispetto del disposto dell’art. 179 cod. civ.
In dottrina e in giurisprudenza si è lungamente discusso sul rapporto tra i due commi dell’articolo e, in particolare, su quale sia la rilevanza della partecipazione all’atto del coniuge non acquirente, nonché sulla natura della sua dichiarazione prevista dal secondo comma.
La Suprema Corte, richiamando due orientamenti precedenti (Cass. Sez. Un. n. 22755 del 2009; Cass. n. 1523 del 2012), statuisce che è necessario il rispetto di entrambi i commi dell’art. 179 cod. civ.: il primo comma, in ogni caso, e il secondo comma (solo) quando ricorrano le condizioni indicate dalla norma. Quindi, ove richiesta, la dichiarazione dell’altro coniuge è necessaria, ancorché non da sola sufficiente, a escludere la natura comune del bene.
Invero, devono sempre ricorrere in concreto i presupposti materiali e le condizioni di cui al primo comma, affinché i beni suscettibili di esclusione possano dirsi realmente personali. In particolare, è necessario che si tratti di:
– un bene di uso strettamente personale di ciascun coniuge (lett. c);
– un bene che serve all’esercizio della professione di uno dei coniugi (lett. d);
– un bene acquistato con il prezzo del trasferimento di uno dei beni personali indicati dalla norma o con il loro scambio e, inoltre, che vi sia la dichiarazione del coniuge acquirente della natura personale del bene acquistato e dei mezzi impiegati per l’acquisto (lett. f). La Cassazione respinge, quindi, l’orientamento (Cass. n. 24061 del 2008) secondo cui la dichiarazione ex art. 179, lett. f), cod. civ. sarebbe richiesta soltanto quando la natura dell’acquisto sia obiettivamente incerta.
In aggiunta, è altresì necessaria la dichiarazione del coniuge non acquirente in presenza di due congiunti presupposti:
i) che si tratti di beni immobili o mobili registrati ex art. 2683 cod. civ.;
ii) che si tratti di uno dei beni individuati dalle lettere c) d) e f) dell’art. 179 cod. civ.
Alla luce delle considerazioni esposte, nel caso de quo, la natura personale del bene è esclusa, giacché il bene acquistato è un immobile con le caratteristiche indicate da almeno una delle lettere del secondo comma dell’art. 179 cod. civ.; pertanto, per evitare la caduta in comunione, si rende obbligatoria (anche) la dichiarazione della moglie, la quale non è stata parte dell’atto di acquisto.
In conclusione, la pronuncia della Suprema Corte conferma, ai fini della esclusione di un bene dalla comunione legale, la necessità sia dei presupposti sostanziali di cui al primo comma dell’art. 179 cod. civ., sia, ove ricorrano le condizioni del secondo comma, della partecipazione al negozio e della dichiarazione del coniuge non acquirente.
Lascia un commento