La Corte costituzionale ritiene fondata la questione di legittimità sollevata dal Tribunale di Firenze e dal Tar del Lazio, in materia di procreazione assistita.
Oggetto della pronuncia è l’art. 14 della legge 40 del 2004 nella parte in cui il disposto impone il divieto della crioconservazione degli embrioni soprannumerati, la obbligatorietà della conservazione di un numero massimo di tre embrioni e dell’unico e contemporaneo impianto di embrioni comunque non superiore a tre (comma 2), consentendo, solo per grave e documentata causa di forza maggiore relativa allo stato di salute della donna, la crioconservazione fino alla data del trasferimento, da realizzare non appena possibile (comma 3). Infatti, a giudizio dei rimettenti, tali norme determinerebbero la “reiterata sottoposizione della donna a trattamenti che, in quanto invasivi e a basso tasso di efficacia, sarebbero lesivi del principio di rispetto della dignità umana; creerebbe disparità di trattamento fra situazioni che eguali fra loro non sono e richiedono trattamenti differenziati, in contrasto con il principio di eguaglianza sostanziale di cui all’art. 3 Cost., violando il diritto fondamentale alla salute per il forte rischio di reiterata sottoposizione della donna a trattamenti ad alto tasso di pericolosità per la salute fisica e psichica”.
Secondo la Consulta, la possibilità che l’impianto di embrioni possa concludersi con una gravidanza è sottoposta ad una serie di fattori variabili tra cui le caratteristiche degli embrioni, le condizioni soggettive delle donne che si sottopongono alla procedura di procreazione medicalmente assistita e, infine, all’età delle stesse, il cui progressivo avanzare riduce gradualmente le probabilità di una gravidanza. Pur essendo questa la situazione di fatto, si sottolinea come la previsione legislativa non sia adeguata nel dare il giusto rilievo a tali diversità, non offrendo la possibilità di una valutazione, sulla base delle più attuali ed avanzate conoscenze medico-scientifiche, del singolo caso sottoposto a trattamento, in conformità anche all’orientamento costituzionale (C. Cost. 338 del 2003 e C. Cost. 282 del 2002) che deve essere la autonomia e la responsabilità del medico, che, con il consenso del paziente, opera le necessarie scelte professionali.
Pertanto, in riferimento al secondo comma dell’art. 14 “la previsione della creazione di un numero di embrioni non superiore a tre, in assenza di ogni considerazione delle condizioni soggettive della donna che di volta in volta si sottopone alla procedura di procreazione medicalmente assistita, si pone, in definitiva, in contrasto con l’art. 3 Cost., riguardato sotto il duplice profilo del principio di ragionevolezza e di uguaglianza, in quanto il legislatore riserva il medesimo trattamento a situazioni dissimili; nonché con l’art. 32 Cost., per il pregiudizio alla salute della donna -ed eventualmente, come si è visto, del feto- ad esso connesso.
Coerentemente con quanto appena affermato, è pronunciata la declaratoria di illegittimità costituzionale anche del terzo comma nella parte in cui non prevede che il trasferimento degli embrioni, da realizzare non appena possibile, debba essere realizzato senza pregiudizio della salute della donna.
Clicca per scaricare la sentenza: Corte Costituzionale, 8 Maggio 2009, n. 151
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