ISSN 2239-8570

La discussa questione della natura della nullità per irregolarità urbanistica, di Chiara Sartoris


DOCUMENTI ALLEGATI

La seconda sezione della Corte di Cassazione ha rimesso alle Sezioni unite la questione del corretto inquadramento della natura della nullità degli atti negoziali di trasferimento di immobili irregolari sotto il profilo della legge urbanistica.
La questione appare particolarmente delicata non solo per la complessità della materia e per l’incertezza del dato normativo, ma anche perché involge il necessario bilanciamento tra due esigenze contrapposte: il contrasto all’abusivismo edilizio, da una parte, e l’esigenza di tutela dell’acquirente di immobile difforme dal titolo concessorio, dall’altra parte.

Nello spiegare le ragioni per le quali ritiene necessario un intervento chiarificatore delle Sezioni Unite, la seconda sezione svolge un interessante e approfondito excursus circa l’evoluzione della normativa in materia di atti relativi a costruzioni abusive.
La prima disciplina è quella introdotta dalla legge n. 765/1967 (c.d. legge ponte), poi sostituita dalla legge n. 10/1977 (c.d. legge Bucalossi). In entrambi i testi normativi veniva contemplata la nullità (relativa) degli atti aventi a oggetto immobili realizzati in assenza di concessione, laddove l’acquirente non fosse a conoscenza di tale irregolarità. In tal modo, tramite la previsione di una nullità relativa, l’ordinamento mirava a tutelare la posizione dell’acquirente.

La disposizione in commento è stata, poi, abrogata dalla legge n. 47/1985, i cui artt. 17, comma 1, e 40, comma 2, prevedono la nullità non di qualunque atto negoziale, ma dei soli atti inter vivos di trasferimento o costituzione o scioglimento della comunione di diritti reali immobiliari, che risultino privi della dichiarazione dell’alienante circa l’esistenza della concessione edilizia. Si è così passati da un regime di nullità relativa, posto a protezione dell’acquirente, a un regime di nullità assoluta, dettato a tutela dell’interesse pubblico al contrasto all’abusivismo edilizio.

La disciplina in commento, oggi contenuta nel d.p.r. n. 380/2001, se, da un lato, mira a realizzare tale finalità di interesse pubblico, dall’altro, tuttavia, tenta anche di non pregiudicare i traffici giuridici immobiliari. Tale risultato viene perseguito sia restringendo il novero dei negozi passibili di nullità, sia contemplando il rimedio della conferma dell’atto nullo.

Le illustrate ambiguità del dato normativo hanno portato la giurisprudenza a dividersi sul modo di intendere la fattispecie di nullità per irregolarità urbanistica.
Un orientamento più risalente prospetta una interpretazione letterale della norma, ritenendo che, ai fini della nullità dell’atto di trasferimento, sia sufficiente accertare la mancanza della dichiarazione degli estremi della concessione edilizia; del tutto superflua sarebbe, invece, l’irregolarità sostanziale del bene sotto il profilo urbanistico, rilevando la conformità alla concessione solo sul piano dell’adempimento del venditore, non su quello della validità dell’atto (cfr. Cass., n. 14025/1999; Cass., n. 8147/2000; Cass., n. 5898/2004; Cass., n. 26970/2005).

In tempi più recenti, invece, la seconda sezione della Cassazione ha prospettato una lettura meno formalistica del dato normativo (cfr. Cass., n. 23591/2013; Cass., n. 28194/2013).
Due gli argomenti a sostegno di questo mutamento interpretativo.
Da un lato, la tesi della natura formale contrasterebbe con la ratio stessa della disciplina di contrasto al fenomeno del trasferimento di immobili abusivi: si finirebbe per sanzioanre con la nullità un atto avente a oggetto un immobile regolare sul piano urbanistico, privo soltanto della formale menzione del titolo concessorio, mentre si dovrebbe considerare valido un atto avente a oggetto un immobile difforme dal titolo ivi regolarmente indicato.

Dall’altro lato, la necessità di distinguere due ipotesi diverse di nullità. Un conto sarebbe la nullità sostanziale che colpisce i contratti difformi dalla normativa urbanistica, altro conto sarebbe la nullità formale dei contratti conformi alla predetta normativa, ma privi di ogni indicazione circa il titolo concessorio.

Se si applicasse questa seconda ricostruzione interpretativa al caso di specie, si dovrebbe concludere per la sussistenza di una ipotesi di nullità sostanziale del contratto di compravendita, riconducibile alla nullità virtuale ex art. 1418, comma 1, c.c..
Questa soluzione viene rigettata dalla ordinanza qui segnalata per due ragioni fondamentali.

In primo luogo, per via dell’ambiguità della nozione di “irregolarità urbanistica”, alla quale la giurisprudenza, in passato, avrebbe ricondotto una pluralità di significati che non consentono di stabilire con certezza come vada qualificata la relativa nullità.
In secondo luogo, si evidenzia come la tesi sostanzialistica non solo non troverebbe un solido aggancio normativo, ma condurrebbe anche al risultato, paradossale, di far dipendere la validità del contratto da valutazioni opinabili, connesse alla verifica in concreto della gravità dell’irregolarità urbanistica da parte delle amministrazioni comunali.

La necessità di un intervento chiarificatore da parte delle Sezioni Unite appare, dunque, evidente, venendo in gioco il necessario bilanciamento tra due esigenze contrapposte. Propendere per la tesi della nullità formale consentirebbe di realizzare l’obiettivo del contrasto all’abusivismo, ma a scapito della tutela dell’acquirente. Mentre optare per la tesi della nullità sostanziale significherebbe, senz’altro, garantire una concreta tutela per l’acquirente di un immobile difforme dal titolo concessorio, benché questo sia formalmente menzionato nell’atto; ma, nel contempo, la conseguente perdita del diritto di proprietà sull’immobile appare una sanzione sproporzionata rispetto alla finalità pubblicistica che la legge intende tutelare.

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