ISSN 2239-8570

Nullità e patto di maggiorazione del canone di locazione, di Chiara Sartoris.


DOCUMENTI ALLEGATI

La sentenza in esame tratta della questione della validità o meno della controdichiarazione intervenuta rispetto alla stipula di un contratto di abitazione di immobile a uso non abitativo, recante un ammontare del canone diverso (maggiorato) da quello in quest’ultimo indicato.
Come noto, questo tema è stato affrontato funditus da una recente sentenza delle Sezioni Unite (cfr. Sez. Un., n. 23601/2017) – qui segnalata -, in attesa della quale, il caso di specie è stato rinviato a nuovo ruolo.

Difatti, la decisione viene pronunciata muovendo dai principi di diritto enunciati dalle Sezioni Unite: «è nullo il patto con il quale le parti di un contratto di locazione di immobili a uso non abitativo concordino occultamente un canone superiore a quello dichiarato; tale nullità vitiatur, sed non vitiat, con la conseguenze che il solo patto di maggiorazione del canone è insanabilmente nullo, a prescindere dalla avvenuta registrazione».

La Corte rileva come, nel caso di specie, i giudici di merito abbiano disatteso questi principi, laddove hanno affermato che il canone di locazione di immobili destinati a uso commerciale sia nella completa disponibilità delle parti, le quali possono liberamente concordarlo; con la conseguenza che l’eventuale pattuizione collaterale di un canone maggiore rispetto a quello indicato nel contratto non incorrerebbe nella sanzione della nullità di cui all’art. 79 della legge n. 392/1978. in considerazione di ciò, la prima sezione osserva come la pattuizione in esame persegua la chiara finalità di eludere i limiti quantitativi posti dalla legge sull’equo canone e di conseguire un risparmio fiscale per il locatore.

A tale conclusione si perviene alla luce della natura “sostanziale” della finalità perseguita dalla controdichirazione, della quale sicuro indice rivelatore è anche la causa concreta di quel negozio, stipulato dalle parti coevamente o successivamente rispetto al contratto scritto e registrato.
In virtù di questa analisi sullo scopo pratico perseguito dalle parti (in particolare, dal locatore) è, dunque, possibile accertare che lo strumento negoziale sia piegato dal locatore al solo conseguimento di un risparmio di imposta, da cui non può che derivare la nullità per violazione dell’interesse pubblicistico sotteso alla normativa fiscale elusa.

È pacifico, infatti, che gli interessi pubblicistici non sono disponibili da parte dei privati, «cui non può ritenersi concesso di vanificarli mediante l’adozione di schemi negoziali idonei a pervenire in concreto ad un risultato corrispondente a quello vietato dal legislatore» (cfr. Cass., n. 247769/2008; Sez. Un., 5520/1996; Cass., n. 1155/1992; Sez. Un., n. 6600/1984).

La riscontrata finalità di elusione fiscale della controdichiarazione risulta, peraltro, in contrasto anche con il più generale principio antielusivo già desumibile dall’art. 53 Cost..
Dalla pacifica nullità del solo patto di maggiorazione del canone, discende, quindi, che l’imposta dovuta deve essere determinata con riferimento all’importo del canone indicato nel contratto scritto e registrato.

Ad avviso della Corte, l’unica possibilità che le parti hanno di determinare il canone di locazione in misura differenziata e crescente per frazioni successive di tempo nell’arco del rapporto ovvero con variazione in aumento in relazione ad eventi oggettivi predeterminati è solamente quella di stipulare un successivo nuovo accordo, avente carattere novativo rispetto al precedente contratto scritto e registrato. Attraverso la stipulazione di un nuovo accordo, infatti, verrebbe meno la finalità di elusione fiscale, manifestando le parti la loro reale volontà, rivelata dalla causa concreta, che non è quella di realizzare un mero risparmio di imposta, ma è quella, diversa, di modificare il precedente assetto negoziale.

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