Con sentenza 12326 del maggio 2009, la Cassazione conferma il proprio orientamento in materia di danno tanatologico o da morte immediata: la lesione dell’integrità fisica alla quale sia seguito il decesso dopo breve tempo non si configura come la massima lesione possibile del diritto alla salute ma inerisce ad un bene giuridico diverso, la vita.
Come già enunciato dalle note sentenze delle sezioni unite del novembre 2008 sul danno non patrimoniale, si prevede che il danno tanatologico debba essere ricondotto nella dimensione del danno morale, da leggersi come sofferenza patita dalla vittima che consapevolmente assiste allo spegnersi della propria vita.
Secondo la Cassazione, “non è risarcibile la domanda di risarcimento del danno da perdita del diritto alla vita, (…), proposta iure hereditatis dagli eredi del de cuius, in quanto la lesione dell’integrità fisica con il verificarsi dell’evento letale immediatamente o a breve distanza di tempo dall’evento lesivo non è configurabile come danno tanatologico, in quanto comporta la perdita del bene giuridico della vita in capo al soggetto, che non può tradursi nel contestuale acquisto al patrimonio della vittima di un corrispondente diritto al risarcimento, trasferibile agli eredi, attesa la funzione non sanzionatoria ma di reintegrazione e riparazione degli effettivi pregiudizi svolta dal risarcimento del danno, e la conseguente impossibilità che, con riguardo alla lesione di un bene intrinsecamente connesso alla persona del suo titolare e da questi fruibile solo in natura, esso operi quando la persona abbia cessato di esistere, non essendo possibile un risarcimento per equivalente che operi quando la persona più non esiste”.
Di seguito il testo della sentenza: Cass., 5 maggio 2009, n. 12326
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