ISSN 2239-8570

Patto fiduciario: le Sezioni Unite risolvono il problema della forma, di Chiara Sartoris


DOCUMENTI ALLEGATI

Con l’ordinanza interlocutoria del 4 agosto 2019, n. 20934, la II sezione della Corte di Cassazione ha trasmesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite al fine di risolvere la dibattuta questione della forma del patto fiduciario con oggetto immobiliare. Si tratta di stabilire se debba avere o meno forma scritta la dichiarazione unilaterale con la quale un fiduciario assuma l’impegno a trasferire la proprietà di un immobile ad altro soggetto in esecuzione di un patto fiduciario non scritto.

L’occasione per riflettere su questo tema è rappresentata da una controversia originata dall’assunto inadempimento dell’obbligo della fiduciaria di trasferire la proprietà dell’immobile acquistato a favore di altro soggetto, odierno attore in giudizio. A fronte delle due sentenze di merito favorevoli a quest’ultimo, la fiduciaria ricorre in Cassazione per censurare la sentenza di appello nella parte in cui, una volta riconosciuta l’equiparazione del patto fiduciario al contratto preliminare, non ne ha dichiarato la nullità per mancanza di forma scritta secondo le regole sulla forma ad relationem di cui all’art. 1351 c.c.. La II sezione della Corte di Cassazione, investita del ricorso, rileva l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale in ordine al requisito formale dell’impegno di trasferimento assunto dal fiduciario. È, infatti, dibattuto «se valida fonte dell’obbligazione di ritrasferire sia soltanto un atto bilaterale e scritto, coevo all’acquisto del fiduciario, o se sia sufficiente un atto unilaterale, ricognitivo, posteriore e scritto del fiduciario, a monte del quale vi sia un impegno espresso oralmente dalle parti».

Al fine di risolvere l’illustrata questione, le Sezioni Unite muovono da un analitico inquadramento del fenomeno fiduciario. Preme evidenziare, innanzitutto, che il negozio fiduciario non si presenta come una fattispecie, ma come una “casistica”, nella quale rientrano operazioni diverse per struttura, funzioni ed effetti pratici. Quanto alla struttura, le parti possono costituire la situazione di titolarità fiduciaria sia attraverso un atto di alienazione dal fiduciante al fiduciario, sia mediante un acquisto compiuto dal fiduciario in nome proprio presso un terzo con denaro fornito dal fiduciante (come nel caso di specie). Quanto alle funzioni, in giurisprudenza si distingue tra una fiducia c.d. dinamica, caratterizzata dal compimento di un atto di trasferimento, e una fiducia c.d. statica, che si ha quando il fiduciario è già investito ad altro titolo di un determinato diritto e si dichiari disposto a esercitare quel diritto non più nel proprio esclusivo interesse, bensì nell’interesse altrui in attuazione del pactum fiduciae. Quanto, infine, agli effetti pratici, si distingue tra la figura della fiducia cum amico e la figura della fiducia cum creditore. Mentre nel primo caso la proprietà fiduciaria è funzionale alla gestione del bene nell’interesse del fiduciante in vista del successivo trasferimento della proprietà a suo favore (o a favore di un terzo); nel secondo caso il patto fiduciario si ammanta di una causa di garanzia, intercorrendo tra debitore e creditore: conseguentemente, quest’ultima figura è da ritenersi nulla qualora, nel caso concreto, integri un contratto in frode alla legge per violazione del divieto di patto commissorio (art. 2744 c.c.).

Le Sezioni Unite proseguono poi nella ricostruzione del fenomeno ricordando come sia da sempre dibattuta, in dottrina e in giurisprudenza, anche la questione della natura giuridica del patto fiduciario. Un certo orientamento ricostruisce il patto fiduciario come un negozio indiretto in cui il negozio realmente voluto dalle parti viene posto in essere in vista di un fine pratico diverso da quello suo tipico (cfr. Cass., n. 8024/2009; Cass., n. 10163/2011; Cass., n. 23093/2019). Secondo una diversa impostazione, invece, il fenomeno fiduciario si compone di due contratti separati, quello traslativo e quello obbligatorio (quest’ultimo sarebbe il patto fiduciario vero e proprio, rappresentando la causa del primo), tra loro collegati da un’unica finalità economica (cfr. Cass., n. 4438/19827; Cass., n. 4886/2003; Cass., n. 17785/2015).

Un volta richiamate le principali teorie ricostruttive, le Sezioni Unite affrontano poi la questione specifica sottoposta al loro esame, dando luogo a un inatteso revirement. Secondo l’orientamento tradizionale e maggioritario, il pactum fiduciae avente ad oggetto un bene immobile sarebbe assimilabile a un contratto preliminare, sia sotto il profilo strutturale (obbligatorietà del futuro contrahere), sia sotto il profilo effettuale, con la conseguente necessità di rispettare la forma vincolata per relationem prevista dall’art. 1351 c.c.. Quest’ultima disposizione, difatti, non riguarderebbe soltanto il contratto preliminare, ma ogni negozio fonte di successivi obblighi a contrarre, tra cui, quindi, il patto fiduciario (cfr. Cass., n. 6024/1993; Cass., n. 5663/1988; Cass., n. 9489/2000; Cass., n. 8001/2011; Cass., n. 11757/2014; Cass., n. 13216/2017; Cass., n. 239ì093/2019). Sicché, graverebbe sul fiduciante l’onere di dimostrare l’esistenza dell’accordo scritto fiduciario con cui il fiduciario ha assunto l’obbligo di retrocessione del bene; solo un atto bilaterale scritto, infatti, non una semplice dichiarazione unilaterale del fiduciario, potrebbe essere ritenuta una valida fonte dell’obbligazione gravante sul fiduciario.

Secondo un diverso e minoritario orientamento, che trae origine dalla prassi di assumere un impegno orale, l’accordo fiduciario non necessiterebbe, indefettibilmente, della forma scritta ad substantiam: sarebbe sufficiente una dichiarazione unilaterale redatta per iscritto e sottoscritta dal fiduciario munita di expressio cause, cioè da cui risulti l’esplicito impegno a ritrasferire il bene al fiduciante in attuazione del pactum fiduciae orale (cfr. Cass., n. 10633/2014). L’illustrato orientamento muove dal raffronto con la fattispecie del mandato senza rappresentanza all’acquisto di beni immobili (art. 1706, comma 2, c.c.). Secondo la giurisprudenza, due sono le caratteristiche di quest’ultimo contratto: da un lato, non sarebbe necessaria la forma scritta, dall’altro, il mandante potrebbe tutelarsi contro l’inadempimento del mandatario mediante il rimedio dell’esecuzione specifica dell’obbligo di concludere il contratto, sempre che la dichiarazione unilaterale scritta del mandatario contenga un impegno preciso e una sufficiente indicazione degli immobili da trasferire (cfr. Cass., n. 560/1985; Cass., n. 14654/2012; Cass., n. 20052/2013).

Le Sezioni Unite, analizzati entrambi gli orientamenti, ritengono necessario rimeditare l’impostazione tradizionale, poiché non condividono l’idea che il patto fiduciario sia riconducibile allo schema del contratto preliminare, preferendo, piuttosto, assimilarlo al mandato senza rappresentanza. Difatti, già da tempo la giurisprudenza ha osservato che quest’ultima figura «costituendo lo strumento tipico dell’agire per conto (ma non nel nome) altrui, non solo può piegarsi alle esigenze di un pactum fiduciae che contempli l’obbligo del fiduciario di ritrasferire al fiduciante un diritto, ma si pone anzi come figura negoziale praticamente meglio idonea ad assorbire, senza residui e senza necessità di ulteriori combinazioni, (…) quel determinato intento”. In effetti, dal punto di vista strutturale, anche la dottrina evidenzia le affinità tra le due figure, essendo entrambe espressione del fenomeno di interposizione reale di persona, e precisamente del soggetto che abbia acquistato un bene utilizzando la provvista di altri per seguire le istruzioni ricevute; talché, le regole sul mandato senza rappresentanza bene potrebbero applicarsi al pactum fiduciae.

In adesione all’impostazione da ultimo illustrata, le Sezioni Unite trovano la risposta al problema della forma dell’impegno del fiduciario. Secondo un orientamento giurisprudenziale consolidato, il mandato senza rappresentanza avente a oggetto l’acquisto di immobili è un contratto a struttura debole, non richiedendo, ai fini della sua valida stipulazione, alcun requisito di forma (cfr. Sez. Un., n. 3861/1954; Cass., n. 20051/2013; Cass., n. 21805/2016). A sostegno di questa tesi vengono evocati tre argomenti: la forma scritta si impone per i soli atti che costituiscono titolo per la realizzazione dell’effetto reale in capo alla parte del negozio, non per il rapporto interno tra mandante e mandatario; dal rapporto interno non sorgono effetti reali, ma meramente obbligatori, che non giustificano il requisito della forma scritta; l’art. 1351 c.c. è norma eccezionale non applicabile analogicamente, derogando al principio generale di libertà delle forme desumibile dall’art. 1325, n. 4, c.c.. Conseguentemente, «se le parti non hanno formalizzato il loro accordo fiduciario in una scrittura, ma lo hanno concluso verbalmente, potrà porsi un problema di prova, non di validità del pactum». La forma scritta è, invece, richiesta per il contratto di acquisto dell’immobile da parte del fiduciario e per il successivo atto di ritrasferimento da parte di quest’ultimo a favore del fiduciante. D’altra parte, tale conclusione appare coerente con la ratio stessa del patto fiduciario: «condizionare all’osservanza della forma scritta la validità del patto fiduciario significherebbe praticamente escludere la rilevanza pratica della fiducia di molte ipotesi di fiducia cum amico, dato che la formalità del patto finirebbe quasi sempre per incidere sulla dimensione pratica del comportamento, escludendone la fiduciarietà dal punto di vista della morfologia del fenomeno empirico».

Per quanto riguarda, invece, la tutela del fiduciante contro l’inadempimento dell’obbligazione di ritrasferimento gravante sul fiduciario, le Sezioni Unite ritengono che il patto fiduciario (anche non scritto) è il titolo che giustifica l’accoglimento della domanda giudiziale di esecuzione specifica di quell’obbligo. La tutela costitutiva di cui all’art. 2932 c.c., infatti, è pacificamente invocabile non solo nelle ipotesi di inadempimento del preliminare, ma anche di qualsiasi altra fattispecie fonte dell’obbligazione di prestare il consenso per il trasferimento o la costituzione di un diritto. In questa prospettiva, la dichiarazione scritta del fiduciario assume rilevanza e significato solo sotto il profilo probatorio, coerentemente con le regole proprie della promessa di pagamento (art. 1988 c.c.). Essa produce l’effetto di determinare la relevatio ad onere probandi a favore del fiduciante, il quale è sollevato dall’onere di dimostrare il rapporto fondamentale, trattandosi di un’ipotesi di astrazione processuale. Sicché, rendendo la dichiarazione, il fiducario assume l’onere di dare l’eventuale prova contraria dell’esistenza, validità, efficacia, esigibilità o non avvenuta estinzione del pactum, nonché dei suoi limiti e del suo contenuto.

Alla luce delle considerazioni svolte, nel caso di specie, i giudici rigettano il ricorso dalla fiduciaria perché ritengono dimostrata in giudizio l’esistenza dell’accordo fiduciario, in forza della dispensa dalla prova del rapporto fondamentale derivante dalla promessa (scritta) di trasferimento; e riconoscono, altresì, la validità di quel patto fiduciario immobiliare intercorso tra le parti, benché stipulato verbalmente; conseguentemente, reputano tale accordo idoneo a giustificare l’accoglimento della domanda attorea di esecuzione specifica dell’obbligo di ritrasferimento gravante sulla fiduciaria.

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