Con l’ordinanza in esame la Corte di Cassazione torna sul problema della sorte di un contratto preliminare di compravendita immobiliare in caso di mancata o ritardata consegna della polizza fideiussoria in violazione dell’art. 2 del d.lgs. n. 122/2005.
Nel caso di specie, la controversia sorge nel momento in cui il promissario acquirente, successivamente a un primo rinvio della data per la stipula del contratto definitivo di compravendita, decide di non procedere più all’acquisto dell’immobile in costruzione sia perché non è riuscito a vendere la propria casa, sia perché la controparte ha rilasciato tardivamente la polizza fideiussoria dovuta e con un importo non congruo. Sicché, il promissario acquirente agisce in giudizio per chiedere la nullità del contratto e la restituzione delle somme versate a titolo di caparra. Tanto il giudice di primo grado, quanto il giudice d’appello dichiarano la nullità del preliminare, accertando il ritardato rilascio della garanzia. Il promittente venditore decide, allora, di ricorrere in Cassazione, sostenendo che la fideiussione sia stata prestata nei termini e sia congrua, e lamentando, piuttosto, che non si sia addivenuti alla conclusione del definitivo per la mancata vendita dell’abitazione del promissario acquirente, a cui la stipula di quel contratto era condizionata. Anzi, ad avviso del ricorrente, il comportamento del promissario acquirente di rifiutare la conclusione del definitivo deducendo (strumentalmente) la nullità della garanzia integrerebbe una forma di abuso del diritto, avendo come unico scopo quello di sottrarsi all’obbligazione di acquisto dell’immobile.
Sennonché, la Corte di Cassazione non accoglie il ricorso, non ravvisando gli estremi dell’abuso lamentato. Di là della soluzione del caso di specie, la presente ordinanza si segnala per l’approfondimento svolto riguardo l’ambito di applicazione di una fattispecie di nullità molto discussa e studiata, quale è quella dell’art. 2 del d.lgs. n. 122/2005 in materia di immobili da costruire. Si tratta, infatti, come affermano apertis verbis i giudici, di una nullità di protezione a carattere relativo, essendo comminata nell’esclusivo interesse del solo acquirente, reputato «soggetto debole nell’ambito dell’operazione contrattuale di compravendita immobiliare». Sicché, occorre interrogarsi se tale contraente vanti effettivamente un interesse meritevole di tutela a far valere quella nullità, qualora la fideiussione venga comunque rilasciata e non si sia manifestata l’insolvenza del debitore.
Per rispondere al quesito, la Corte ragiona – anche in questo caso – sul principio di buona fede nell’esecuzione del contratto, quale canone generale a cui ancorare la condotta delle parti di un rapporto privatistico, compreso l’esperimento dell’azione di nullità di protezione; il richiamo alla buona fede appare, infatti, indispensabile «al fine di evitare che lo strumento [di tutela] si presti a forme di abuso che consentano al promittente acquirente di sciogliersi dal vincolo contrattuale con il preteso mancato rilascio della fideiussione». Nel concretizzare questa enunciazione di principio, i giudici richiamano un proprio recente precedente con cui hanno precisato che per valutare la meritevolezza dell’interesse dell’acquirente a far valere la nullità occorre verificare se l’immobile oggetto del preliminare sia stato ultimato e sia agibile, perché al ricorrere di tali circostanze non sussisterebbe alcuna necessità di garantire la sua tutela (Cass., n. 30555/2019). In tale situazione, invero, l’acquirente non avrebbe più ragione di temere alcun pregiudizio per l’essersi realizzato l’obiettivo del contratto; sicché, la domanda di nullità non sarebbe più funzionale ad attuare il fine di protezione perseguito dalla legge, bensì mirerebbe al «diverso fine di sciogliere il contraente da un contratto che non reputa più conveniente o di aggirare surrettiziamente gli strumenti di reazione che l’ordinamento specificamente appronta avverso condotte di inadempimento della controparte».
Tali considerazioni trovano sostegno, oltretutto, nelle argomentazioni con le quali le Sezioni Unite hanno risolto anche la diversa questione della validità del contratto finanziario c.d. monofirma. In quella occasione, infatti, i giudici hanno richiamato l’attenzione sulla necessità che, stante la natura ancipite degli interessi tutelati, la protezione privilegiata garantita dalle nullità sia circoscritta «nei limiti in cui è davvero coinvolto l’interesse protetto» dal rimedio, pena il rischio che si determinino «conseguenze distorte o anche opportunistiche» (Sez. Un., n. 898/2018). Conseguentemente, qualora si accerti che l’azione di nullità sia proposta per finalità non consentite dall’ordinamento e si traduca in uno sproporzionato e ingiustificato sacrificio della controparte, si sarebbe di fronte a un comportamento contrario a buona fede, assumente le vesti di un abuso del diritto (cfr. Cass., n. 20106/2009).
Nel caso di specie, tuttavia, la Corte non ravvisa gli estremi di un abuso del diritto per due ragioni: la garanzia fideiussoria è stata rilasciata oltre il termine previsto per la conclusione del contratto definitivo e nonostante le reiterate richieste del promissario acquirente; l’immobile oggetto del preliminare non è risultato ultimato al momento della sottoscrizione dell’accordo integrativo volto a posticipare la stipulazione del definitivo. Sicché, si versa, pacificamente, nella ipotesi di nullità (insanabile e integrale) del contratto preliminare di cui all’art. 2 del d.lgs. n. 122/2005, a prescindere dalle ragioni per le quali è stato rinviato il termine per la conclusione del contratto definitivo.
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