ISSN 2239-8570

Assegno di divorzio e capacità lavorativa del coniuge beneficiario, di Chiara Sartoris


DOCUMENTI ALLEGATI

L’ordinanza in esame tratta il tema, sempre delicato, del rapporto tra assegno divorzile e capacità lavorativa del coniuge beneficiario.

Nel caso di specie, per effetto della sentenza di primo grado che pronuncia lo scioglimento del matrimonio, l’ex marito, assegnatario della casa familiare, è obbligato a mantenere il figlio e a corrispondere un assegno divorzile pari a 400 euro mensili all’ex moglie, una donna di cinquantadue anni non impiegata in alcuna attività lavorativa. A fronte del ricorso proposto dall’uomo, la Corte d’Appello, in parziale accoglimento, riduce l’assegno divorzile a 300 euro mensili con una motivazione che, come si vedrà, viene pienamente confermata dalla Corte di Cassazione. L’uomo decide, infatti, di proporre ricorso, per Cassazione per ottenere la revoca dell’assegno divorzile, affidandolo a due motivi. Ai presenti fini, rileva il primo motivo, con il quale viene lamento l’omesso esame di un fatto decisivo e oggetto di discussione tra le parti, quello della piena capacità lavorativa della moglie: a dire del ricorrente, la donna avrebbe sempre manifestato la propria indisponibilità a trovare un impiego, come dimostrerebbe il suo ripetuto rifiuto di effettuare colloqui di lavoro o presso centri per l’impiego, che lui stesso le avrebbe procurato. Talché, egli chiede di non essere più obbligato al mantenimento della moglie.

La Corte di Cassazione, tuttavia, dichiara il ricorso inammissibile, chiarendo, con riguardo all’illustrato motivo, che esso non solo non è decisivo, ma non sarebbe stato neppure omesso. La Corte aderisce alla lettera alla motivazione del giudice d’appello, reputando che non sia «realistico pensare che oggi, a 53 anni [la ex moglie] possa utilmente e proficuamente inserirsi nel mondo del lavoro, non vantando neppure alcuna specifica esperienza pregressa». I giudici, sia pure con una motivazione scarna, fondano il proprio convincimento sul dato anagrafico (cfr. Cass., 5 agosto 2020, n. 16705), unito alla circostanza che la donna non aveva mai lavorato fino a quel momento: da tali dati, si desumerebbe che la sua situazione lavorativa sia ormai cristallizzata e sia, quindi, difficilmente modificabile. Non solo, ma nell’accertare l’assenza della capacità lavorativa, la Corte valorizza anche un ulteriore dato fattuale, cioè la circostanza che la beneficiaria dell’assegno, dopo il divorzio, «si sia spontaneamente trasferita a Parigi, dove, pur potendo contare sugli aiuti di amici e parenti, è lecito supporre che abbia svolto anche saltuarie attività lavorative per provvedere al proprio sostentamento». Non ultimo, il ricorrente, ad avviso della Corte, non avrebbe neanche spiegato per quale ragione la mancata presentazione della donna a un colloquio lavorativo o a un centro per l’impiego devono ritenersi decisivi per dimostrare la capacità lavorativa dell’ex moglie.

Nel ragionare in questi termini, la Corte di Cassazione dimostra di seguire il proprio consolidato orientamento, in base al quale, la valutazione della capacità lavorativa del coniuge richiedente deve essere affidata a un’indagine complessa, basata su un analitico esame di una serie di dati, quali l’età, il sesso, la storia personale e lavorativa, il livello di istruzione/formazione. Alla luce di questi elementi, invero, gli odierni giudici di legittimità confermano l’accertamento dei giudici di merito e, quindi, la sussistenza di quelle oggettive ragioni di impossibilità di procurarsi mezzi adeguati a una esistenza dignitosa, a cui l’art. 5, comma 6, della legge n. 898/1970 subordina il riconoscimento del diritto all’assegno divorzile.

Taggato con: , , , , , , ,
Pubblicato in Famiglia e successioni, News

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*

Newsletter a cura di Giuseppe Vettori