ISSN 2239-8570

Un passo avanti verso l’ampliamento della genitorialità fondata sull’assunzione della responsabilità nella procreazione medicalmente assistita, di Antonio Gorgoni


DOCUMENTI ALLEGATI

La Corte costituzionale, con la sentenza n. 32/2021, ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 8 e 9 della legge n. 40/2004 («procreazione assistita») e dell’art. 250 c.c., nella parte in cui, sistematicamente interpretati, non consentono la costituzione dello stato di figlio nei confronti del genitore cosiddetto d’intenzione (ossia non legato geneticamente al nato), pur avendo egli prestato il consenso al progetto procreativo medicalmente assistito effettuato all’estero da una coppia di donne. Si tratta, dunque, di una genitorialità per assunzione di responsabilità.

La Consulta non ha semplicemente ripreso orientamenti consolidati sul fondamento della filiazione, ma li ha ulteriormente sviluppati. Da un lato, infatti, essa ha riaffermato la rilevanza della genitorialità sociale, dall’altro – qui sta la novità – ha sottolineato come gli strumenti attualmente disponili per far assurgere la realtà di fatto (una filiazione sostanziale) a quella di diritto (status filiationis) siano inefficienti o, come nel caso di specie, inapplicabili. Perciò, continua la Corte costituzionale, pur non potendosi accogliere la prospettata questione di costituzionalità per le «disarmonie nel sistema» che si determinerebbero in caso di accoglimento, il legislatore dovrà intervenire prontamente. La sua inerzia «non sarebbe più tollerabile tanto è grave il vuoto di tutela del preminente interesse del minore riscontrato» con riguardo alla fattispecie concreta.

Il legislatore – si badi – è chiamato dalla Corte ad approntare una soluzione che consenta la costituzione dello stato di figlio anche nei confronti del genitore d’intenzione e non già una mera regolamentazione delle visite.

Prima di riprendere i passaggi più significati della pronuncia qui segnalata, è necessario sintetizzare il fatto e richiamare le norme nel quale esso si inquadra, per comprendere la genesi del vulnus alla tutela del nato mediante procreazione medicalmente assistita.

Una coppia di donne, conviventi di fatto, condivide un progetto di genitorialità per attuare il quale si reca all’estero, stante il divieto di accedere alla procreazione medicalmente assistita contenuto nella legge italiana per le coppie dello stesso sesso (art. 5. l. 40/2004). Una delle due donne, tramite una donazione di gameti maschili, acconsente alla fecondazione dei propri ovuli e inizia la gravidanza. In Italia nascono due gemelle, le quali sono considerate figlie soltanto di colei che ha partorito, nei cui confronti sono legate geneticamente (art. 269 co. 3 c.c.). Negli anni della vita familiare, l’altra donna – la madre intenzionale – si comporta come fosse il secondo genitore giuridico, adempiendo a tutti i doveri di cui agli artt. 30 co. 1 Cost., cui corrispondono i diritti del nato indicati dall’art. 315-bis c.c.

Dopo circa cinque anni dalla nascita delle gemelle, la coppia entra in crisi; la madre intenzionale vorrebbe adottare, nella forma dell’adozione in casi particolari, la figlia della ex partner, ma quest’ultima nega il suo assenso; elemento, quest’ultimo, imprescindibile ai fini del perfezionamento dell’adozione (art. 46 legge n. 184/1983). Qualora l’assenso sia negato, come nel caso de quo, dal genitore esercente la responsabilità genitoriale, non vi è un potere sostitutivo del tribunale per i minorenni (art. 4 comma 2 l. n. 184/1983). Perciò l’adozione in casi particolari non è pronunciabile.

È evidente che, in tal caso, non vi è alcuna possibilità per il genitore d’intenzione (o sociale) di ottenere la costituzione dello stato di figlio nei suoi confronti. Vi sarebbe soltanto la disponibilità dello strumento, suggerito da un’altra sentenza della Corte costituzionale (n. 225/2016), operante però su piano diverso dallo stato di figlio, dell’art. 333 c.c. In forza di quest’articolo si potrebbe chiedere al tribunale per i minorenni, a fronte di una condotta pregiudizievole del genitore (giuridico), di regolamentare gli incontri con chi, nella sostanza, è un genitore di fatto; col risultato di recuperare una relazione significativa per il minore, ingiustificatamente avversata dal genitore.

Questa soluzione, tuttavia, oltre ad essere insoddisfacente perché non coglie la complessità dell’essere genitore che si invera nella titolarità della responsabilità genitoriale, presenta oltretutto l’inconveniente di non annoverare l’ex convivente tra i legittimati all’esercizio dell’azione, non essendo quest’ultimo «l’altro genitore» di cui fa menzione l’art. 336 co. 1 c.c.

In siffatto contesto giuridico, inadatto, quindi, a valorizzare compiutamente il rapporto tra il genitore sociale e il figlio dell’ex convivente, il Tribunale di Padova, valutata l’impraticabilità dell’interpretazione costituzionalmente orientata dei citati articoli, ne ha sollevato correttamente, e con argomenti pregnanti, questione di legittimità costituzionale. La cui inammissibilità non deve oscurare quanto la Corte costituzionale ha posto in risalto con piena padronanza dell’evoluzione legislativa e giurisprudenziale in materia: se la genitorialità di fatto esiste in concreto a seguito del progetto procreativo condiviso dalla coppia, è contrario al principio del preminente interesse del minore negare la costituzione dello stato di figlio nei confronti del genitore d’intenzione. Scrive, infatti, la Consulta che «la tutela del preminente interesse del minore comprende la garanzia del suo diritto all’identità affettiva, relazionale, sociale, fondato sulla stabilità dei rapporti familiari e di cura e sul loro riconoscimento giuridico»; diritto invocato da diverse pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo, opportunamente richiamate nella sentenza.

Vi è, in altre parole, una stretta dipendenza tra la salvaguardia dell’identità del minore e la continuità dei rapporti con i suoi genitori, i quali sono tali a prescindere dal legame genetico con il nato. A tal proposito la Corte costituzionale, ripreso il noto orientamento della Corte europea dei diritti dell’uomo sull’art. 8 Cedu – id est: la vita familiare è anche una condizione di fatto – e richiamate due fondamentali fonti sovranazionali (Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo del 1959 e la Convenzione sui diritti del fanciullo del 1989 ratificata e resa esecutiva con legge n. 176/1991) in cui si prevede l’impegno degli Stati a dare effettiva attuazione al diritto del minore alla stabilità dei legami e delle relazioni, trae una conclusione ineccepibile: è proprio l’art. 8 Cedu a «fonda[re] l’obbligo degli Stati di prevedere il riconoscimento legale del legame di filiazione tra il minore e i genitori intenzionali. Pur lasciando agli stessi un margine di discrezionalità circa i mezzi da adottare – fra cui anche l’adozione – per pervenire a tale riconoscimento, li vincola alla condizione che essi siano idonei a garantire la tutela dei diritti dei minori in maniera piena».

Va sottolineato che i mezzi evocati dalla Corte, essendo volti a tutelare in pieno i diritti del minore nato da procreazione medicalmente assistita, devono essere costitutivi dello stato di figlio. Tant’è che nella sentenza vi sono due suggerimenti al legislatore in questa direzione: «riscrittura delle previsioni in materia di riconoscimento, ovvero introduzione di una nuova tipologia di adozione, che attribuisca, con una procedura tempestiva ed efficace, la pienezza dei diritti connessi alla filiazione». Questa prospettiva, oltre che necessaria in diritto è assolutamente ragionevole, perché la genitorialità d’intenzione esprime l’essenza dell’essere genitore, perciò ad essa deve corrispondere una filiazione piena.

Se, invece, rileva la Corte costituzionale, nel caso de quo, si nega lo stato di figlio nei confronti del genitore d’intenzione, si avrà una discriminazione dei nati rispetto ad altre situazioni (finanche rispetto ai nati da incesto dove pure è ammesso il riconoscimento ai sensi e nei limiti nell’art. 251 c.c.), basata «solo sull’orientamento sessuale delle persone che hanno posto in essere il progetto procreativo».

Insomma, i Giudici costituzionali, muovendo dal principio del preminente interesse del minore che trova attuazione nei diritti del nato all’identità personale nelle sue plurime sfaccettature e ad avere due genitori non necessariamente biologici entrambi, richiama il legislatore ad attuare il «fine costituzionalmente necessario» della tutela del miglior interesse del nato da procreazione medicalmente assistita.

La strada è stata autorevolmente tracciata e passa dalla costituzione dello stato di figlio nei confronti del genitore d’intenzione che fonda la sua qualifica su un’assunzione di responsabilità.

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Pubblicato in Famiglia e successioni, News, Persona e diritti

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