La questione sempre attuale della sorte delle fideiussioni omnibus adottate a valle di intese illecite viene oggi portata all’attenzione delle Sezioni Unite, a fronte dell’ennesimo caso di contratto riproducente il contenuto del contestato modulo ABI.
Nel caso di specie, l’attore sostiene che gli artt. 2, 6 e 8 dei contratti di fideiussione stipulati, che prevedevano la rinuncia ai termini di cui all’art. 1957 c.c. e la sopravvivenza della fideiussione alla inefficacia dei pagamenti o all’invalidità dell’obbligazione principale, siano stati predisposti dalla banca in violazione dell’art. 2 della legge n. 287/1990, in quanto conformi al modulo ABI. Conseguentemente, egli propone opposizione avverso il decreto ingiuntivo della controparte bancaria. La Corte d’Appello, in parziale accoglimento della domanda, dichiara la nullità dei contestati articoli dei contratti di fideiussione, affermando che l’identità delle clausole ivi contenute rispetto a quelle predisposte dall’ABI ne comporta l’invalidità derivata per violazione dei principi inderogabili della libera concorrenza e del mercato, reputati parte integrante dell’ordine pubblico italiano. L’istituto bancario propone, allora, ricorso per Cassazione articolato in quattro motivi, con i quali contesta che le clausole dei contratti di fideiussione costituiscano il frutto di un’intesa anticoncorrenziale; in ogni caso, viene reputato che la nullità dell’art. 2 della legge 287/1990 colpisce esclusivamente l’intesa anticoncorrenziale e non comporti invalidità dei singoli contratti stipulati a valle.
La I sezione della Corte di Cassazione, investita del ricorso, rileva che la questione della sorte dei contratti stipulati in conformità di intese anticoncorrenziali ha già costituito più volte oggetto di esame, anche da parte delle Sezioni Unite. Queste ultime, in particolare, hanno riconosciuto anche al consumatore, nonostante la sua estraneità alla intesa anticoncorrenziale, la legittimazione a proporre azioni di nullità e di risarcimento non solo nei confronti dell’intesa, ma anche nei confronti dei contratti c.d. a valle (Cass., Sez. Un., n. 2207/2005). Alla base di tale principio vi è l’idea che la legge antitrust «non è la legge degli imprenditori soltanto, ma è la legge dei soggetti del mercato, ovvero di chiunque abbia interesse, processualmente rilevante, alla conservazione del suo carattere compettitivo, al punto da poter allegare uno specifico pregiudizio conseguente alla rottura o alla diminuzione di tale carattere». In effetti, il contratto a valle «costituisce lo sbocco dell’intesa, essenziale a realizzarne gli effetti» in quanto «oltre a estrinsecarla, la attua», frustrando la possibilità di scelta da parte del consumatore (cfr. Cass., n. 20929/2005; Cass., n. 11759/2006). Tali principi hanno trovato enunciazione non solo nella materia bancaria, ma anche in materia di polizze r.c.a., con una serie di pronunce che si sono inserite nel solco tracciato dalle Sezioni Unite del 2005. Tale giurisprudenza si è soffermata, in particolare, sul piano rimediale, confermando la concorrenza dell’azione risarcitoria con quella di nullità: la legittimazione del consumatore viene reputata esistente anche nel caso in cui sia stata proposta un’azione restitutoria ex art. 2033 c.c., in quanto il soggetto che chiede la restituzione di ciò che ritiene aver pagato per effetto di un’intesa nulla allega, pur sempre, quest’ultima, nonché l’impossibilità giuridica che essa produca effetti (cfr. Cass., n. 14238/2005; Cass, n. 14716/2005; Cass., n. 13896/2007; Cass., n.993/2010).
Ciò chiarito, l’ordinanza qui segnalata osserva che, nonostante i plurimi interventi giurisprudenziali, tutto’ggi rimane aperta tanto la questione dell’ammissibilità dell’azione di nullità esperibile verso i contratti c.d. a valle, quanto la questione del suo fondamento. In giurisprudenza e in dottrina non sono mancate posizioni contrarie alla esperibilità del rimedio della nullità da parte del consumatore. A sostegno delle quali viene invocato l’art. 1, comma 1, del d.lgs. n. 3/2017, il quale, nel dare attuazione alla Direttiva 2014/104/UE (sul risarcimento del danno per violazione delle disposizioni in materia di diritto alla concorrenza degli Stati membri e dell’UE), non fa alcun cenno alla tutela reale del consumatore finale pregiudicato da un’intesa restrittiva. L’orientamento prevalente, invece, fa osservare che «allorché [l’art. 2 della legge n. 287/1990] stabilisce la nullità delle “intese”, non abbia inteso dar rilevanza esclusivamente all’eventuale negozio giuridico originario postosi all’origine della successiva sequenza comportamentale, ma a tutta la più complessiva situazione – anche successiva al negozio originario la quale – in quanto tale – realizzi un ostacolo al gioco della concorrenza» (cfr. Cass., n. 29810/2017). Conseguentemente «la nullità delle intese antitrust si ridurrebbe a una sanzione meramente formale se si consentisse alla imprese di darvi ugualmente attuazione attraverso la stipulazione di validi contratti a valle».
L’illustrato orientamento, tuttavia, non è omogeneo e si divide, al suo interno, quanto alla individuazione del tipo di nullità invocabile. È dibattuto, infatti, se trattasi di nullità per contrarietà a norme imperative ovvero di nullità per illiceità della causa o dell’oggetto ovvero di nullità derivata (discendente dalla nullità dell’intesa antitrust funzionalmente collegata al contratto a valle) ovvero, ancora, di nullità di protezione (a tutela del contraente danneggiato dall’intesa). Ma vi è di più. A essere controverso non è soltanto il fondamento del rimedio, ma anche il suo regime giuridico. Si discute, invero, della configurabilità di una nullità parziale, limitata, cioè, a singole clausole del contratto c.d. a valle. A riguardo, si obietta da più parti che questa nullità potrebbe essere solo totale in ragione della diversità delle parti del contratto a valle rispetto a quelle dell’intesa a monte, nonché della conseguente difficoltà di stabilire se le prime avrebbero ugualmente presto il proprio consenso, in mancanza delle clausole riproduttive del contenuto dell’intesa.
Consapevole del dibattito illustrato, la prima sezione della Corte di Cassazione ravvisa gli estremi di una questione di massima di particolare importanza, invitando a una rimeditazione dei principi sinora enunciati dalla giurisprudenza di legittimità in materia di fideiussioni omnibus conformi allo schema ABI. Sicché, le Sezioni Unite vengono invitate a pronunciarsi su quattro questioni fondamentali: a) se la coincidenza (totale o parziale) con lo schema ABI giustifichi una dichiarazione di nullità o legittimi la sola azione risarcitoria; b) quale sia, in caso di risposta a favore della nullità, il regime applicabile alla relativa azione, tanto sotto il profilo del tipo di vizio, quanto sotto il profilo della legittimazione ad agire; c) se questa nullità possa operare in forme parziali, con sopravvivenza della restante parte del contratto; d) se l’indagine coinvolga anche la potenziale volontà delle parti di prestare ugualmente il proprio consenso al rilascio della garanzia ovvero l’esclusione di un mutamento dell’assetto di interessi derivante dal contratto.
Non vi è dubbio che, in considerazione della frequente ricorrenza di ricorsi aventi ad oggetto fideiussioni omnibus conformi allo schema ABI, le questioni in esame ricoprano uno spiccato rilievo nomofilattico che rende particolarmente atteso il chiarimento delle Sezioni Unite.
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