Con la sentenza in esame le Sezioni Unite prendono posizione sulla questione fortemente dibattuta della sorte dei contratti di fideiussione omnibus in cui venga riprodotto il contenuto del contestato modulo A.B.I. La I sezione della Corte di Cassazione, con ordinanza n. 11486/2021, aveva chiesto l’intervento delle Sezioni Unite consapevole del contrasto giurisprudenziale esistente in materia sia quanto all’ammissibilità dell’azione di nullità verso i contratti a valle di intese antitrust sia quanto alla natura e, quindi, alla disciplina, di tale rimedio.
La vicenda da cui origina l’odierna sentenza è nota. L’attore (fideiussore) contesta la violazione dell’art. 2 della legge n. 287/1990 (c.d. legge antitrust) con riguardo agli artt. 2, 6 e 8 di taluni contratti di fideiussione predisposti dalla banca, in cui è prevista la rinuncia ai termini di cui all’art. 1957 c.c. e la sopravvivenza della fideiussione alla inefficacia dei pagamenti o all’invalidità dell’obbligazione principale. A fronte delle sentenze di merito che accolgono la domanda di nullità dei contestati articoli contrattuali, l’istituto di credito propone ricorso per Cassazione. La I sezione, ravvisando gli estremi di una questione di massima di particolare importanza, invita le Sezioni Unite a pronunciarsi su quattro questioni fondamentali: a) se la coincidenza (totale o parziale) con lo schema ABI giustifichi una dichiarazione di nullità o legittimi la sola azione risarcitoria; b) quale sia, in caso di risposta a favore della nullità, il regime applicabile alla relativa azione, tanto sotto il profilo del tipo di vizio, quanto sotto il profilo della legittimazione ad agire; c) se questa nullità possa operare in forme parziali, con sopravvivenza della restante parte del contratto; d) se l’indagine coinvolga anche la potenziale volontà delle parti di prestare ugualmente il proprio consenso al rilascio della garanzia ovvero l’esclusione di un mutamento dell’assetto di interessi derivante dal contratto.
Le Sezioni Unite sciolgono i dubbi interpretativi prospettando la nullità parziale delle fideiussioni omnibus a valle di intese illecite. Al fine di motivare la propria decisione, i giudici esaminano i vari orientamenti esistenti. A fronte di una tesi minoritaria, favorevole alla validità dei contratti a valle di intese antitrust e alla invocabilità della sola tutela risarcitoria, la teoria prevalente, in giurisprudenza e in dottrina, è quella della nullità. Sennonché, quest’ultimo orientamento si frantuma al suo interno in una pluralità di filoni interpretativi, che si differenziano sia per il fondamento di tale invalidità sia per la disciplina applicabile quanto alla legittimazione attiva e al grado di estensione degli effetti invalidanti.
Con riguardo al primo e centrale versante di indagine, le ricostruzioni proposte dagli interpreti sono molteplici. Secondo taluni, la nullità della fideiussione omnibus può essere ascritta alle nullità con funzione protettiva per l’esigenza di tutelare l’interesse (particolare) del garante, il quale si trova in posizione contrattualmente svantaggiata rispetto all’istituto di credito. Secondo altri, non sarebbe sempre possibile ravvisare una siffatta esigenza protettiva e, dunque, si tratterebbe di una nullità ordinaria, ma a carattere derivato: l’esistenza di un collegamento negoziale tra l’intesa a monte e la fideiussione a valle comporterebbe l’esigenza di una considerazione unitaria della fattispecie e la conseguente applicazione del principio simul stabunt simul cadent. Altri interpreti, invece, non ravvisando una ipotesi di collegamento, preferiscono radicare la nullità su un vizio contrattuale di tipo endogeno, benché poi essi si dividano quanto alla individuazione di tale vizio: accanto a coloro che invocano la illiceità della causa ex art. 1343 c.c. giacché il negozio a valle realizzerebbe una funzione illecita, vi sono coloro che ravvisano il profilo di illiceità nell’oggetto, o meglio, nel contenuto complessivo del contratto, che si rivelerebbe funzionale al perseguimento del risultato vietato cui l’intesa è finalizzata. In ultimo, vi è chi propone la tesi della nullità virtuale per violazione delle norme imperative dell’art. 2, comma 2, lett. a ), della legge antitrust e dell’art. 101 T.F.U.E.
In questo variegato quadro interpretativo, la giurisprudenza si è poi ulteriormente divisa quanto al carattere totale o parziale di tale invalidità. La tesi della nullità totale della fideiussione omnibus (cfr. Cass., n. 6523/2021) se, per un verso, è in linea con l’esigenza di sterilizzare tutte le conseguenze prodotte dall’intesa antitrust, la quale, ai sensi dell’art. 2, comma 2, lett. a), legge n. 287/1990, è nulla «a ogni effetto»; per altro verso, è avvertita come una soluzione non adeguata, in quanto in contrasto con il principio codicistico della conservazione del negozio giuridico, la cui deroga non può che essere relegata a ipotesi eccezionali. Per questo motivo, secondo la giurisprudenza maggioritaria, dovrebbe essere preferita, ove possibile, una invalidazione solo parziale del contratto a valle (cfr. Cass., n. 24044/2019; Cass., n 3556/2020).
Ricostruito il dibattito dottrinale e giurisprudenziale in materia, le Sezioni Unite reputano che la soluzione «più in linea con le finalità e gli obiettivi della normativa antitrust sia la tesi che ravvisa nella fattispecie in esame un’ipotesi di nullità parziale». A sostegno di tale decisione, i giudici richiamano, innanzitutto, il dato costituzionale: ai sensi dell’art. 41 Cost., l’iniziativa economica privata non deve svolgersi «in contrasto con l’utilità sociale o in modo da arrecare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana» e deve essere sottoposta a «programmi e controlli opportuni» che la indirizzino e la coordinino a «fini sociali». In tal senso si pone la stessa normativa antitrust, la cui ratio è diretta a realizzare un indispensabile bilanciamento tra la libertà di concorrenza e la tutela delle situazioni giuridiche dei soggetti diversi dagli imprenditori. D’altra parte, le stesse Sezioni Unite, con la sentenza n. 2207/2005, avevano affermato che la legge antitrust tutela non solo gli imprenditori, ma anche gli altri soggetti del mercato e, in particolare, i consumatori.
In questo quadro di principi, i giudici inquadrano la questione del rimedio invocabile dai contraenti delle fideiussioni a valle di intese illecite: l’art. 2, comma 3, della legge antitrust nello stabilire che «le intese vietate sono nulle ad ogni effetto» legittima la conclusione che anche i contratti concretizzanti l’intesa vietata siano nulli. D’altronde, la individuazione del rimedio azionabile dal singolo contraente – di là della possibilità di far valere la nullità dell’intesa a monte e di chiedere il risarcimento dei danni subiti – spetta ai diritti nazionali, i quali ben possono garantire una maggior tutela, quale è quella reale.
Nel contempo, la tutela individuata, oltre a dover essere adeguata allo scopo perseguito dalla legge antitrust, deve anche assicurare il rispetto degli altri interessi coinvolti, segnatamente quelli degli istituti di credito a mantenere in vita la garanzia fideiussoria – considerato l’elevato numero di contratti di tal fatta esistenti – una volta espunte le clausole illecite. Così ragionando, le Sezioni Unite configurano una nullità soggetta alle regole dell’art. 1419 c.c., cioè una nullità che solo eccezionalmente si estende dalla parte al tutto: chi ha interesse a far cadere in toto il contratto deve fornire la prova dell’interdipendenza del resto del contratto dalla clausola o parte nulla. La nullità totale richiede, infatti, la valutazione della potenziale volontà delle parti in relazione all’eventualità del mancato inserimento di tale clausola e, dunque, in funzione dell’interesse in concreto dalle stesse perseguito.
Nell’applicare tali principi al caso di specie, le Sezioni Unite osservano che la riproduzione nella fideiussioni delle clausole nn. 2, 6 e 8 dello schema A.B.I. produce l’effetto di rendere la disciplina più gravosa per il garante, imponendogli maggiori obblighi senza riconoscergli alcun corrispondente diritto. D’altro canto, però, quel garante, in quanto socio della società debitrice principale, avrebbe in ogni caso prestato la garanzia, anche senza le clausole predette, essendo portatore di un interesse economico al finanziamento bancario. Al contempo la banca ha interesse, a sua volta, al mantenimento della garanzia anche espunte le clausole ad essa favorevoli, atteso che l’alternativa sarebbe quella dell’assenza completa della fideiussione, con minore garanzia per i propri crediti. Ecco perché il rimedio della nullità parziale ben si presta a contemperare tutte queste esigenze.
È interessante evidenziare che le Sezioni Unite, nell’optare per la nullità parziale ex art. 1419 c.c., qualificano il rimedio in esame come una nullità derivata, aderendo – apparentemente – alla tesi del collegamento tra intesa antitrust a monte e fideiussione a valle. Ciò in quanto quest’ultima, costituendo lo sbocco dell’intesa vietata, è idonea a realizzarne e ad attuarne gli effetti. Sicché, il contratto a valle partecipa della stessa natura anticoncorrenziale dell’atto a monte e, quindi, è inficiato dalla medesima forma di invalidità. Alla base di tale ricostruzione, vi è l’idea che qualsiasi forma di condotta di mercato, anche meramente unilaterale o non negoziale, possa realizzare un ostacolo al gioco della concorrenza. Ciò che veramente rileva è che la combinazione di più atti, pure di natura diversa, determini una violazione della normativa antitrust, sussistendo un collegamento funzionale: «detta violazione è riscontrabile in ogni caso in cui tra atto a monte e contratto a valle sussista un nesso che faccia apparire la connessione tra i due atti “funzionale” a produrre un effetto anticoncorrenziale». In tale nesso funzionale viene, dunque, ravvisato il meccanismo distorsivo della concorrenza vietato dall’ordinamento.
È poi interessante segnalare la scelta delle Sezioni Unite di descrivere questa nullità come “speciale”, in quanto la sua ratio è da ravvisare nell’esigenza di salvaguardare un interesse pubblico, o meglio, il c.d. ordine pubblico economico”. Sicché, si tratterebbe di una «nullità ulteriore a quelle che il sistema già conosceva (Cass. n. 827/1999)». A conferma di tale qualificazione in termini di specialità i giudici individuano la circostanza che trattasi di nullità più ampia sia di quella codicistica ex art. 1418 c.c. sia delle altre nullità conosciute dall’ordinamento, come la nullità di protezione nei contratti del consumatore e la nullità nei rapporti tra imprese; ciò per la ragione che essa «colpisce anche atti, o combinazioni di atti avvinti da un “nesso funzionale”, non tutti riconducibili alle suindicate fattispecie di natura contrattuale».
Occorre, allora, interrogarsi se tale inquadramento in termini di specialità abbia delle ripercussioni in punto di regime giuridico applicabile. A riguardo, le Sezioni Unite affermano che tale nullità sia rilevabile d’ufficio da parte del giudice nel rispetto del principio processuale della domanda (ex artt. 99 e 112 c.p.c.). Sicché, a fronte di una domanda di nullità totale, il giudice può rilevare d’ufficio la nullità solo parziale, ma se le parti non chiedono un accertamento in tal senso, egli deve rigettare l’originaria pretesa. Inoltre, tale azione di nullità è imprescrittibile, ferma restando la proponibilità della domanda di ripetizione dell’indebito ex art. 2033 c.c. e della domanda di risarcimento dei danni. Quanto alla tutela risarcitoria, le Sezioni Unite svolgono un importante chiarimento: una tutela affidata al solo rimedio risarcitorio è inappagante e da respingere, in quanto priva di efficacia dissuasiva significativa per le imprese che hanno aderito all’intesa o che ne hanno recepito le clausole illecite nel contratto di cui sono parte, dal momento che non tutti i danneggiati agiscono in giudizio e e non tutti riescono a ottenere il risarcimento. Da questo punto di vista, la nullità si dimostra un adeguato strumento di tutela non solo dell’interesse del singolo, ma anche e soprattutto dell’interesse generale alla tutela del mercato in senso oggettivo. Tanto non esclude, tuttavia, che la tutela risarcitoria possa accompagnarsi a quella reale, costituendo anzi «la forma di tutela base da assicurare ai consumatori».
In conclusione, la sentenza in esame costituisce un prezioso chiarimento per gli operatori del settore, stante l’elevata diffusione di fideiussioni omnibus riproducenti lo schema A.B.I. La soluzione della nullità parziale consente, invero, di contemperare tutti gli interessi in gioco, garantendo sia l’adeguata protezione ai singoli contraenti sia le esigenze del sistema bancario, mediante la conservazione del contratto privato delle clausole espressive dell’intesa antitrust. È certo, tuttavia, che la decisione richiederà di essere maggiormente studiata al fine di comprendere a fondo l’inquadramento offerto nella parte in cui, per un verso, ricostruisce il rimedio in termini di invalidità derivata e, per l’altro, lo declina in un’accezione di specialità differente da quella tradizionalmente conosciuta.
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