ISSN 2239-8570

Contratti: recesso ad nutum ed obbligo di buona fede

Cass., 18 settembre 2009, n. 20106 

Secondo la Cassazione, anche qualora nel contratto sia presente una clausola di recesso ad nutum, questo non deve essere contrario a buona fede.

La fattispecie riguarda l’abusivo esercizio di una clausola contrattuale che aveva consentito ad una grossa multinazionale di recedere liberamente dai contratti cui era legata con i propri concessionari.

Nonostante le autorità di merito avessero negato la rilevanza della questione sostenendo che la previsione del recesso ad nutum rendeva di per sè superfluo ogni controllo causale sull’esercizio di tale potere, la Cassazione è di diverso avviso.

Dopo aver ribadito la rilevanza che la buona fede ha nel nostro ordinamento, si precisa che uno dei criteri rivelatori della sua violazione è l’abuso del diritto, il quale si articola nel seguente modo:

– la titolarità di un diritto soggettivo in capo ad un soggetto;

– la possibilità che il concreto esercizio di quel diritto possa essere effettuato secondo una pluralità di modalità non rigidamente predeterminate;

– la circostanza che tale esercizio concreto, anche se formalmente rispettoso della cornice attributiva di quel diritto, sia svolto secondo modalità censurabili rispetto ad un criterio di valutazione, giuridico od extragiuridico;

– la circostanza che, a causa di una tale modalità di esercizio, si verifichi una sproporzione ingiustificata tra il beneficio del titolare del diritto ed il sacrifico cui è soggetta la controparte.

Pertanto, mettendo in relazione l’abuso del diritto e la buona fede, “i due principii si integrano a vicenda, costituendo la buona fede un canone generale cui ancorare la condotta delle parti, anche di un rapporto privatistico e l’interpretazione dell’atto giuridico di autonomia privata e, prospettando l’abuso, la necessità di una correlazione tra i poteri conferiti e lo scopo per i quali essi sono conferiti. Qualora la finalità perseguita non sia quella consentita dall’ordinamento, si avrà abuso.”

Andando oltre, “il criterio della buona fede costituisce, quindi, uno strumento, per il giudice, finalizzato al controllo – anche in senso modificativo o integrativo – dello statuto negoziale; e ciò quale garanzia di contemperamento degli opposti interessi.
In questo significato la buona fede diventa uno strumento per il giudice volto a (ri)stabilire un equilibrio fra interessi contrapposti, che una condotta abusiva è andata a turbare.
Ed è sulla scorta di queste osservazioni che la Cassazione accoglie il ricorso e rinvia la decisione alla Corte di appello invitandola a valutare ed interpretare le clausole del contratto – in particolare quella che prevede il recesso ad nutum – anche al fine di riconoscere l’eventuale diritto al risarcimento del danno per l’esercizio di tale facoltà in modo non conforme alla correttezza ed alla buona fede.

Di seguito il testo della sentenza: Cass., 18 settembre 2009, n. 20106

Pubblicato in Contratto

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