Ordinario di Diritto Civile – Università di FirenzeSOMMARIO: 1. I tratti dell’ordinamento comunitario. 2. Il Trattato di Lisbona, la Carta di Nizza e la Cedu. Le sentenze n. 348 e 349 del 2007 della Corte Costituzionale. 3. La proprietà. 4. Il contratto e la circolazione dei beni. 5. Contratto e responsabilità patrimoniale. 6 . Uno sguardo al futuro.1. I tratti dell’ordinamento comunitario.La Carta costituzionale ha rafforzato progressivamente il suo valore nel sistema delle fonti secondo una sequenza nota.Anzitutto la sua approvazione nel 1948 e l’avvio della giurisprudenza costituzionale nel 1957 hanno determinato la fine del positivismo giuridico e dell’assolutismo della legge e, da allora, si è instaurato un doppio livello di legalità e si è sgretolata la logica di un centro unico e assoluto per avviarsi verso una pluralità che trova nella Carta un nuovo centro e un nuovo ordine con caratteri precisi. La rinunzia ad individuare, entro la struttura della democrazia sociale, un solo fine da perseguire come l’unico giusto e la scelta forte del pluralismo che affida all’indirizzo politico di determinare, a volta a volta, le scelte da compiere entro un quadro di regole condivise ove le diversità devono essere composte (1).La riforma del Titolo V nel 2001 ha prodotto ancora una profonda novità su cui, sinora, non si è riflettuto a sufficienza .L’art. 117 1° comma afferma che la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione e dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali. Sicché si attribuisce rilievo costituzionale ad una serie nuova di fatti che traggono vita da una formale limitazione della sovranità dello Stato italiano e degli Stati dell’Unione, disposti “in una sorta di raggiera” verso un centro (2) che concorre a definire il regime giuridico del diritto dei privati dalle situazioni fondamentali al contratto, dalla proprietà alla circolazione dei beni. Per iniziare un’analisi attenta di questa a nuova fonte si deve ,anzitutto, ricordare che l’ordine giuridico comunitario è formato dai Trattati, dai regolamenti, dalle direttive, dalle decisioni della Corte di Giustizia e , in mancanza o in subordine, dai principi generali comuni ai diritti degli Stati membri nonché dalle tradizioni costituzionali comuni come principi generali del diritto comunitario . A ciò si deve aggiungere la Carta dei diritti fondamentali e la Convenzione europea dei diritti dell’uomo su cui sono opportuni alcuni chiarimenti.2. Il Trattato di Lisbona, la Carta di Nizza e la CEDULa carta di Nizza. Dopo la proclamazione solenne del 2000 e l’inserimento del testo nel Trattato costituzionale del 2004, la Conferenza intergovernativa del 2007 e il Trattato di Lisbona hanno operato scelte radicali (3).Il progetto costituzionale che intendeva abrogare le norme esistenti e sostituirle con un unico testo denominato Costituzione è stato abbandonato. Il trattato di Lisbona ha modificato il Trattato sull’Unione europea (TUE) e il Trattato che istituisce la Comunità europea (TCE) che sarà denominato Trattato sul funzionamento dell’Unione, la quale acquisirà personalità giuridica. La Carta dei diritti fondamentali ha assunto lo stesso valore giuridico dei trattati per effetti della sostituzione dell’art. 6 (TUE).Tutto ciò al termine del processo di ratifica che dovrebbe avvenire entro il 2009, prima dell’elezione del nuovo Parlamento e se si ricorda come quel testo si è formato è più semplice comprenderne il valore (4).La convenzione costituita nel 1999 non si proponeva di eliminare un precedente ordine, ma un effetto diverso (5) . Seguire la traccia dell’art. 6 del Trattato e operare un “grande atto di ricognizione storica” delle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri sul tema dei diritti fondamentali (6) di cui avrebbero tratto beneficio la giurisprudenza comunitaria e le istituzioni nel loro complesso (7) .E’ facile constatare come negli anni seguenti si sia verificato proprio questo e da tutto ciò si può trarre una conseguenza chiara. La Carta ha un valore ricognitivo e interpretativo sino alla ratifica del Trattato di Lisbona e pieno valore formale dopo, con un effetto diretto tutto da ricostruire.La CEDU e le sentenze della Corte Costituzionale 348 e 349 del 2007. Sul valore della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle sentenze della Cedu, si è espressa di recente la Corte costituzionale con due importanti sentenze (8) che occorre esaminare da vicino.L’art. 117 distingue i vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario da quelli riconducibili agli obblighi internazionali con una differenza non terminologica ma sostanziale. “ Con l’adesione ai Trattati,osserva la Corte, l’Italia è entrata a far parte di un “ordinamento” più ampio,di natura sopranazionale, cedendo parte della sua sovranità, anche in riferimento al potere legislativo, nelle materie oggetto dei Trattati medesimi, con il solo limite dell’intangibilità dei principi e dei diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione.La Convenzione CEDU, invece, è riferibile ad una soggettività più ampia dell’Unione europea (il Consiglio d’Europa). Non crea un ordinamento giuridico sopranazionale e non produce norme applicabili negli Stati contraenti. Essa è configurabile come un Trattato internazionale multilaterale da cui derivano “obblighi” per gli Stati contraenti”. Ne segue che il giudice nazionale non può disapplicare il diritto interno non compatibile con tale testo, stante anche la natura pattizia delle norme della CEDU che esulano dalla portata normativa dell’art. 10 della nostra costituzione.Resta da chiarire il senso di tali norme, sino alla ratifica del Trattato di Lisbona.Prima dell’art. 117 la CEDU, come norma pattizia era inserita nel sistema delle fonti del diritto italiano in base alla legge di adattamento che era legge ordinaria, non utilizzabile come parametro di legittimità costituzionale. In presenza del nuovo articolo, invece, “il dovere di rispettare gli obblighi internazionali incide globalmente e univocamente sul contenuto della legge statale” con un aspetto peculiare per quanto concerne la CEDU. L’art. 32 istituisce una Corte che ha competenza sull’applicazione e interpretazione della Carta, sicché fra gli Obblighi assunti dall’Italia “vi è quello di adeguare la propria legislazione alle norme di tale Trattato, nel significato attribuito dalla Corte specificamente istituita per dare ad esso interpretazione e applicazione”.Ciò non significa, continua ancora la Corte, che tali norme acquistino forza di norme costituzionali perché rimangono sempre ad un livello a queste subordinato e sono soggette così ad un controllo da operare attraverso un “ragionevole bilanciamento tra il vincolo derivante dagli obblighi internazionali, quale imposto dall’art. 117, 1°comma, e la tutela degli interessi costituzionalmente protetti contenuta in altri articoli della costituzione” (9) .Questa novità nell’assetto delle fonti induce ad esaminare come incida il sistema di norme ,principi e regole sulla proprietà e la circolazione dei beni e di grande attualità sono le recenti sentenze costituzionali in tema di esproprio.3. La proprietà.Sulla base dei parametri offerti dalla CEDU la Corte costituzionale ha controllato la legittimità della normativa interna sui criteri dell’indennità di esproprio fissati dalla legge (art. 5 bis del Decreto legge n. 333 del 1992 convertito con modificazioni dalla Legge n. 359 del 1992) e valutati in modo positivo da una giurisprudenza costituzionale (Corte Cost. n. 283 del 1993) consolidata negli ultimi anni (10) .L’ordinanza di remissione ha richiesto una nuova verifica di costituzionalità in presenza del mutato quadro normativo ribadito dalla CEDU nella causa Scordino (del 29 marzo 2006) ove si sono fissati alcuni orientamenti netti: un atto che incida sul diritto di proprietà deve realizzare un giusto equilibrio tra l’interesse generale e la salvaguardia dei diritti fondamentali dell’individuo; l’indennizzo deve porsi in rapporto ragionevole con il bene e può mancare in caso di circostanze eccezionali, anche se non è garantito dalla CEDU una riparazione integrale; in caso di espropriazione isolata solo una riparazione integrale può essere considerata in rapporto ragionevole con il bene, mentre obbiettivi di utilità pubblica o di giustizia sociale possono giustificare un indennizzo inferiore al valore di mercato effettivo.In base a tali orientamenti i criteri adottati dal legislatore italiano sono risultati palesemente illegittimi e la Corte europea ha dichiarato che l’Italia aveva il dovere di porre fine alla violazione dell’art. 1 del Protocollo. Da qui l’intervento della Corte costituzionale (11) , che ha ritenuto l’indennità dovuta al proprietario inferiore alla soglia minima accettabile sia dalla nostra Costituzione sia dalla CEDU e ha sollecitato nuovo intervento legislativo (12) che potrà discostarsi, ma in modo ragionevole e rigoroso, dal valore di mercato del bene in ossequio all’art. 42 della Costituzione.Analogamente in altra parallela sentenza, in tema di occupazione acquisitiva, si è precisato che la CEDU garantisce la legalità dell’azione amministrativa ed il principio di responsabilità dei pubblici dipendenti per i danni arrecati al privato mentre l’art. 42 della Costituzione esige un giusto equilibrio fra interesse privato e interesse pubblico che non può dirsi soddisfatto “da una disciplina che permetta alla pubblica amministrazione di acquisire un bene in difformità dallo schema legale e di conservare l’opera pubblica realizzata, senza che almeno il danno cagionato corrispondente al valore di mercato del bene, sia integralmente risarcito” (13) . Da qui la contrarietà del criterio agli obblighi internazionali sanciti dall’art. 1 del Protocollo CEDU e per ciò stesso la violazione dell’art. 117, 1° comma, della Costituzione.Potremo chiederci se da tale indirizzo possa trarsi qualche elemento per individuare i tratti di un diritto europeo della proprietà, ma il discorso è complesso e non può essere semplificato. Si può solo isolare qualche aspetto del percorso da compiere.Nei Trattati o in altre fonti non è presente una disciplina organica della proprietà. Non ci sono né una definizione e un’indicazione dei modi di acquisto né altri profili di ordine generale. Anzi l’art. 295 dispone che “il trattato lascia del tutto impregiudicato il regime di proprietà esistente negli stati membri” e non è difficile comprendere il perché di tale atteggiamento. Un istituto centrale come questo “non può essere disciplinato ex novo o comunque in modo unitario a livello europeo … in presenza di modi (alquanto) diversi di concepire la materia nell’ambito dei singoli paesi… mentre occorre che si realizzi preventivamente nella cultura giuridica dei vari Paesi un comune sentire, un modo se non identico, almeno compatibile di concepire l’istituto, considerato sul piano della tecnica legislativa” (14) . La verità è che l’assenza di una cultura giuridica uniforme ha reso difficile la formulazione di una normativa europea, anche se non mancano “indicazioni o linee di tendenza” che si possono brevemente riassumere (15) .a) L’art 295 va interpretato anzitutto alla luce del principio di sussidiarietà “nel senso che le istituzioni sono autorizzate ad intervenire e quindi a legiferare quando dati obbiettivi da perseguire possono essere meglio realizzati a livello europeo piuttosto che a livello nazionale…ed è sufficiente richiamare lo “ sviluppo armonioso equilibrato e sostenibile delle attività economiche”, “l’ elevato livello di protezione dell’ambiente”, “l’elevato livello di occupazione e di protezione sociale”, “il miglioramento del tenore della qualità della vita”, le politiche e le legislazioni in materia di moneta, beni culturali, commercio, libera circolazione, trasporti, agricoltura, concorrenza, ambiente, salute, consumatori” (16) .b) La Carta di Nizza offre un quadro discusso e discutibile. L’art. 17 prevede il diritto di godere dei beni, di usarli, di disporne e di lasciarli in eredità, richiede in caso di esproprio una giusta indennità, rinvia alla legge per l’imposizione di limiti nell’interesse generale e trova collocazione nel titolo secondo (Libertà) dedicato alla tutela di valori, interessi e diritti aventi prevalentemente natura personale quali fra gli altri, il diritto alla protezione dei dati personali, il diritto di costituire una famiglia, la libertà di pensiero, la libertà di religione la libertà di associazione, il diritto all’istruzione e al lavoro.Tutto ciò è stato oggetto di critica per il collegamento tra proprietà e libertà (17) , per la collocazione (fra i diritti civili e non fra i diritti economico-sociali) che si reputa impropria e antistorica (18) , sino a lamentare un ritorno all’idea ottocentesca di proprietà (19) perché molto diversa dall’art. 42 della Costituzione e come tale non idonea “a comportare limitazioni o compressioni importanti del diritto … come invece è stato possibile … attraverso il principio della funzione sociale”. (20) Credo che queste critiche siano eccessive e provo a spiegare il perché.La norma non contiene, se interpretata in modo sistematico, un equazione proprietà-libertà, nè prevede una libertà assoluta di godere e disporre, né opera rinvii al diritto naturale o innato. Afferma il potere di un soggetto di porre in essere comportamenti in ordine ai beni e garantisce la libertà di scelta senza configurare arbitri o poteri incondizionati (52.3, 53, 54) (21) .Essa “delinea la struttura della situazione proprietaria quale diritto (e quindi potere) di godere, usare, disporre e lasciare in eredità beni …ma non accoglie una concezione individualistica e ottocentesca della proprietà” (22) non fosse altro perché “i poteri del proprietario non possono espandersi o esercitarsi in modo tale da ledere diritti e valori di singoli, gruppi o dell’intera collettività quali ad es. la tutela dell’ambiente, della salute, del lavoro, dell’abitazione o di libertà fondamentali”.Ma c’è di più.“La proprietà non può che essere riconosciuta e regolata in funzione degli scopi perseguiti dall’Unione europea e dei valori su cui essa si fonda.” Gli art. 1, 2 e 6 del Tr. UE e 2, 3, 4 del Tr. CE delineano un “ordinamento basato in campo economico sociale sul principio di un’ economia di mercato aperta e in libera concorrenza ed al tempo stesso proteso al conseguimento di obbiettivi solidaristici quali la tutela dei diritti fondamentali dell’uomo, l’occupazione, la protezione sociale, l’ambiente, la cultura, il tenore e la qualità della vita.” (23) . Compare insomma “la doverosità e il limite, con una sostanziale differenza rispetto al nostro modello proprietario.L’idea di funzione è tanto ambigua che si era sostenuto in passato che gli art. 41,42 e 43 della nostra Costituzione avrebbero legittimato anche una disciplina legislativa ispirata al piano, svincolata dal rispetto di un contenuto essenziale della proprietà. L’interpretazione sistematica dell’art. 17 esclude senza ambiguità tale conclusione e con essa un’evoluzione non conforme ad un assetto fondato su un’economia sociale di mercato” (24) . Al diritto del proprietario pubblico o privato si contrappongono in funzione di limite i valori della concorrenza e dei diritti individuali e collettivi.Esempio emblematico è la recente sentenza della Corte di Giustizia (25) in materia di frequenze televisive ove si afferma che il riordino dei monopoli nazionali deve escludere qualsiasi discriminazione fra i cittadini. Nella specie si osserva che i Trattati esigono trattamenti paritari, trasparenza e rispetto dei diritti dei singoli mentre contrasta con tale ordine la legge italiana che “ ha consentito a soggetti eccedenti i limiti antitrust di continuare la loro attività, escludendo operatori che pur in possesso di concessione non hanno potuto svolgere la loro attività per mancanza di assegnazione di frequenze già tutte impegnate da altri”.La rottura con il passato è evidente. La proprietà transita da centro di doveri finalizzati ad un preciso obbiettivo politico ad un nuovo rapporto fra interesse generale e individuale. Tutto da costruire.c) La verità è che il modo di procedere delle Istituzioni comunitarie non è diverso da quello dei legislatori nazionali. Non un inquadramento sistematico ma “la previsione di poteri e obblighi funzionali di volta in volta al conseguimento di determinati obbiettivi. È difficile individuare se non in modo approssimativo uno statuto della proprietà mobiliare e uno statuto della proprietà immobiliare perché non c’è nei Trattati la distinzione fra beni mobili e immobili”.“Il riferimento di gran lunga più importante è alle merci e ai beni di consumo” attraverso “una vasta normativa incidente sul regime giuridico e sulle situazioni aventi come punto di riferimento oggettivo tali beni”. Per quanto riguarda gli immobili, in particolare, “non esiste a livello comunitario uno schema tecnico-definitorio di base … anche se esistono disposizioni che incidono su tale categorie di beni come la normativa sull’ambiente o il patrimonio culturale che riguarda il territorio, il suolo, gli edifici”.Insomma a ben vedere il diritto comunitario “tratta la materia dalla prospettiva della circolazione del bene e cioè regolando il contratto che ha per oggetto il trasferimento (26) (es. la multiproprietà o garanzia per la vendita dei beni di consumo)”.Da qui la necessità di esaminare tale aspetto.4. Il contratto e la circolazione dei beni.Dico subito che l’ordinamento comunitario induce a ripensare molte idee espresse da chi pensava di aver fissato i limiti invalicabili e certezze assolute sui “ valori che si connettono alla circolazione dei beni” (27) . Provo a spiegare in che modo distinguendo il momento di trasferimento della proprietà e i limiti al potere di godimento e di disposizione.a) Il contratto e il trasferimento della proprietà . Sul primo aspetto se dalle codificazioni emerge un quadro d’insieme fra i più complessi (28) , le novità sul piano interno e comunitario sono molte.La derogabilità del principio consensualistico (29) è ammessa ora senza ambiguità dalla giurisprudenza e il legislatore, sotto l’impulso comunitario e internazionale deroga in vari campi alla regola dell’art. 1376. Basta pensare alla Convenzione di Vienna per la vendita internazionale di merci e la vendita di cose mobile ai consumatori (ove l’obbligo di consegnare cose conformi è esteso sino alla consegna) alla trascrizione del preliminare e alla vendita di cose da costruireE altresì noto che il modello seguito dalla Convenzione di Vienna ha avuto un grande successo.Quel testo evita di prendere posizione sui diversi regimi nazionali e disciplina non il momento traslativo ma la consegna come “atto semplificato nella struttura e idoneo nella sua analitica previsione a dettare regole agli interessi vari dei contraenti”. La legge scompone in maniera diversa il comportamento delle parti e precisa i fatti cui seguono gli effetti fondamentali della liberazione del venditore dal suo obbligo e dal passaggio dei rischi. La mancata scelta di una delle soluzioni vigenti è stato un segno di rispetto della storia e una abilità indubbia del legislatore uniforme che si è così aperto alle adesioni senza operare fratture insanabili (30) .Tale scelta è confermata nel Draft del Common Frame of Reference (DCFR), appena pubblicato e costituisce un possibile punto di arrivo per il diritto europeo (31) che dovrà contemperare due esigenze diverse: la successione nel diritto reale che riproduce nell’acquirente la posizione dell’alienante e l’opponibilità del titolo.Per la prima vicenda non vi sono da tutelare interessi generali sicché le parti possono graduare, secondo i loro interessi, il prodursi dell’effetto reale. Diverso il problema della rilevanza erga omnes di tali accordi. Sorge in tal caso un esigenza di tipicità e di sicurezza della circolazione e saranno opponibili quei titoli a cui un criterio legale e uniforme attribuirà prevalenza (32) . Una tale soluzione può coniugarsi con le scelte nazionali senza fratture, insanabili e opzioni prive di un consenso generale. b) Il contratto e l’assetto dei beni. L’analisi del potere che l’ordinamento riconosce ai privati nell’ordinare l’assetto dei beni è condizionata da un’incertezza di sistemazione che ha radici nella storia del pensiero giuridico.Le parti avvertono spesso la necessità di disporre vincoli con efficacia estesa oltre le parti originarie e le“ esigenze del mercato sospingono verso una frammentazione come verso una ricompattazione delle situazioni di appartenenza“. E’ interesse del proprietario frazionare la situazione reale con convenzioni opponibili, perché in tal modo si accresce l’utilità economica del bene; ma il riconoscimento di questa libertà incide sulla circolazione del bene che subirà un aumento considerevole di prezzo (33) .Da qui un’esigenza di equilibrio del sistema verso una “controllata ricomposizione delle situazioni dominicali nel mercato” che segue linee incerte e contraddittorie anche nella dottrina che si è occupata in modo sistematico del tema. Proviamo ad indicare quali.Le diffidenze verso ricostruzioni unitarie sono scontate ma l’idea che gli “equilibri sanciti dal diritto positivo” siano diversificati e si possano rincorrere a volta a volta, legge per legge non convince affatto. Se non altro perché risolve il problema nel constatare una diversità non ordinabile se non attraverso criteri generici e opinabili come la ricomposizione della situazione di appartenenza.In tal modo si rinunzia a priori a riflettere su un ordine in evoluzione e si rifiuta l’unico metodo irrinunciabile per il giurista: essere in sintonia con il proprio tempo e con i caratteri della propria scienza che nasce dai fatti e ad essi torna per ordinarli. Ciò in particolare per la circolazione dei beni in virtù di una ragione evidente.La conformazione delle situazioni soggettive in ordine alla res è il terreno più sensibile alle variazioni di interessi collettivamente rilevanti. Finchè esiste una forma di potere sufficientemente organizzata non può non spettare ad essa la determinazione del contenuto delle posizioni soggettive” (34) .Questa esigenza di ordine e la sua esatta comprensione va oggi riconsiderata in un contesto nuovo posto in luce dal nuovo sistema delle fonti indicato dall’art. 117 Cost. e dall’ordinamento comunitario in particolare ove emergono segni diversi da una sola ricomposizione della proprietà.Ciò risulta chiaro da indici positivi interni e comunitari in ordine ai limiti al potere di godimento e di disposizione. Vediamoli.c) I vincoli a potere di destinazione e di disposizione . E’ sufficiente ricordare le vicende dell’atto di destinazione e del trust e rimarcare che la rilevanza dei vincoli di destinazione, confinata per secoli nel solo ambito obbligatorio, diviene oggi opponibile entro i limiti previsti dall’art. 2645 ter .Il contenuto della norma deve essere precisato senza confondere ancora realità ed opponibilità, che non dipendono dalla natura del diritto, ma dalla rilevanza del titolo. In base ad essa l’ordinamento isola e potenzia alcune situazioni soggettive che, pur non reali, hanno acquisito un accentuato valore sociale. Nel nostro caso è accaduto proprio questo. La norma individua nell’atto di destinazione meritevole un titolo che assume una rilevanza prevalente su altri atti incompatibili ed è perciò opponibile, e ciò ha conseguenze importanti sui limiti al potere di godimento. Iniziamo da queste ultime situazioni.Alcuni autori vorrebbero escludere, in base ad un’asserita tipicità, la possibilità di consentire la destinazione, quindi l’opponibilità di esse ai sensi di questa norma. Ma con ciò si trascura l’ambiguità storica delle obbligazioni reali, che è risolta dalla norma.Sui limiti al potere di disposizione è possibile ancora spingersi più avanti. Qualcuno aveva ritenuto ripugnante l’idea di una opponibilità o esecuzione specifica di tali pattuizioni (in particolare la preferenza) (35). Ciò che è accaduto in questi anni sul piano normativo e giurisprudenziale smentisce nettamente tale visione.Come si è osservato (36) l’art. 2645 ter “prevede un vero e proprio divieto convenzionale di alienazione opponibile ai terzi se trascritto. Gli atti posti in essere in violazione del vincolo trascritti successivamente non possono essere opposti al beneficiario del vincolo di destinazione”. Ciò pone un problema di confronto con l’art 1379 c.c. che va coordinato con il testo dell’art. 2645 ter che indica termini di efficacia e di trascrivibilità. La norma sui divieti di alienazione, come è noto, era già stata derogata in modo espresso o indiretto in una serie di ipotesi: per le prelazioni e i divieti negli statuti societari (artt. 2355, 2470, 2530 c.c.), per i limiti alla cessione dell’usufrutto (art. 980 c.c.), per i “vincoli di indisponibilità contenuti nei regolamenti della comunione” (37) . Ebbene, l’art. 2465 ter c.c. in termini più generali attribuisce maggior rilievo alla destinazione.Il che riapre e dà argomento maggiore al riesame dell’efficacia relativa o assoluta di alcuni vincoli come l’opzione e la prelazione che già la legge sulla trascrizione del preliminare, secondo alcuni, avrebbe consentito di trascrivere (38) .Il dibattito è tuttora in corso, ma c’è qualcosa di nuovo.La Corte di Cassazione francese ha di recente stabilito che “il beneficiario di un patto di prelazione ha il diritto di esigere l’annullamento del contratto intercorso tra il promittente ed un terzo in violazione dei propri diritti e di ottenere in proprio favore la sostituzione dell’acquirente, a condizione che il terzo fosse a conoscenza, al momento della contrattazione, dell’esistenza del patto di prelazione e della volontà del beneficiario di avvalersene” (39) . La decisione è ripetuta più volte ribadendo il revirement giurisprudenziale (40) .Secondo la nuova soluzione giurisprudenziale, il preferito può ottenere l’esecuzione forzata della prestazione dedotta nel patto di prelazione nel momento in cui ne constata la violazione, che si consuma con la conclusione del contratto, oggetto del patto, con un terzo in mala fede: oltre all’annullamento del contratto gli viene riconosciuto il diritto di subentrare nella posizione giuridica del terzo acquirente, subentrando a quest’ultimo nel rapporto contrattuale. A ciò era di ostacolo sin ora l’articolo 1142 del c.c. (41) e la pacifica impossibilità di esecuzione in forma specifica di una obbligazione di fare o di un contratto (42) .La giurisprudenza innova invece profondamente e prevede oltre all’annullamento del contratto concluso in violazione del patto di prelazione anche la sostituzione del preferito nella posizione giuridica del terzo acquirente in mala fede (43) . La perentorietà dei giudicati lascia presumere una estensione di tale rimedio ad altre figure seppure con una precisa limitazione probatoria della conoscenza da parte del terzo del patto al momento della conclusione del contratto e della volontà del beneficiario di avvalersene. Ed è opportuno ricordare che l’articolo 1106, comma 3 dell’avant-projet , prevede l’inopponibilità al preferito del contratto concluso con il terzo.d) Validità dell’atto di disposizione e responsabilità. Ma la vera novità che emerge anche dall’ordine comunitario è la possibilità coesistenza di un atto di circolazione valido ed efficace con un’azione di responsabilità per i contegni in mala fede. Ciò richiede un’attenzione particolare. Sempre un’autorevole dottrina aveva bollato come “trappola nominalistica” la distinzione fra atto e comportamento e l’idea che in presenza della validità di un atto fosse possibile formulare un giudizio di responsabilità e di eventuale esecuzione in forma specifica per un comportamento in male fede di una parte. Si era arrivati a dire che se un paese avesse disposto un tale rimedio “nessun organo comunitario, compresa la Corte di Giustizia si sarebbe lasciata incantare dalla distinzione in esame” e solo “la loro cortesia avrebbe evitato sanzioni corporali a carico di chi argomentasse (ero stato io – nda) in tal modo la compatibilità della legge nazionale con i Trattati Istitutivi” (44) .Ebbene la Corte di Cassazione a Sezione unite (45) ha di recente deciso che è esperibile l’azione di responsabilità pre-contrattuale in presenza di un contratto valido, ma concluso a seguito di un comportamento scorretto di un contraente. D’altra parte la Corte di Giustizia Europea, nel caso Courage, in presenza della domanda di risarcimento di una parte di un contratto affetto da nullità ha ritenuto possibile cumulare le due azioni superando la tradizione di civil law ove “l’invalidazione è destinata a prevenire e sostituire il risarcimento” (46) . Ancora, nel testo di Common Frame of Reference si afferma con chiarezza la cumulabilità dei rimedi che non siano fra loro incompatibili (art. III- 3:102), secondo una logica che ammette, in caso di lesione di un interesse protetto, tutte le tutele che sia possibile esperire salvo le ipotesi di incompatibilità logica. Infine, anche il recentissimo testo degli Acquis Principles mostra di percorrere questa strada (art. 2:207) (47) , non ancora completata: i lavori del Research group sono infatti da ultimare, in particolare per quanto concerne le rules on remedies.Da tutto ciò emerge che, nell’ordinamento comunitario, il principio della libertà di circolazione va contemperato con una valutazione dei contegni delle parti e con le conseguenze risarcitorie o specifiche in caso di violazione delle regole di correttezza.5. Contratto e responsabilità patrimoniale.Sulla funzione del patrimonio nelle codificazioni l’ordine è chiaro.Si ricompongono “i diritti di proprietà in un’unica situazione di appartenenza per liberare le cose da vincoli e balzelli e per incentivare una più rapida e sicura circolazione della ricchezza” (48) . Nello stesso tempo si attribuisce piena autonomia alla disciplina delle obbligazioni e della responsabilità patrimoniale che assumono una chiara funzione ordinante.“L’obbligazione è un prodotto dell’ordinamento e rappresenta un elemento coercitivo di carattere imperativo o suppletivo che ha “lo scopo di completare ed integrare quanto enunciato dalle parti“ (49) . Il patrimonio è colto in una dimensione statica ed è posto a presidio della stessa definizione di obbligazione in quanto sintesi di debito e responsabilità che non tiene conto del comportamento del debitore ma solo dei suoi beni presenti e futuri. Si comprende così la riserva di legge per ogni limitazione che è assoluta come assoluto è il principio della generale e totale soggezione dei beni alle pretese dei creditori.Qualcosa di diverso accade nei paesi anglosassoni ove l’obbligazione segue un ordine concettuale diverso: si privilegia la grande distinzione fra contratto e torto e non si elabora una categoria generale. Dal contratto o dal torto si passa direttamente agli effetti conseguenti (inadempimento o tort) senza il medio dell’obbligazione e del patrimonio come garanzia di esistenza e effettività di essa.L’ordine comunitario innova profondamente rispetto a entrambe le esperienze avvicinate dalla evoluzione storica e da scelte di politica economica che incidono profondamente sul ruolo del contratto nella circolazione beni e sulla garanzie per i creditori. “Non esiste una disciplina complessiva del diritto delle obbligazioni così come codificato nella tradizione di civil law e le ragioni sono evidenti. Il diritto delle obbligazioni è tendenzialmente un prodotto delle codificazioni mentre le fonti comunitarie si preoccupano di regolare singoli aspetti dei contratti in generale o di singoli contratti o della responsabilità connessa alla messa in circolazione di prodotti difettosi. Ciò in particolare nel settore dei contratti del consumatore” (50) .Si supera, invece, la visione statica del patrimonio collegato all’obbligazione in funzione di rimedio. “La sua sottoposizione in termini generali all’azione dei creditori rimanda alla teoria del soggetto apparendo una proiezione di esso ed è a tale ideologia che si riconnette la regola fondamentale esistente nel codice civile italiano” nell’art. 2740.L’evoluzione è chiara e “il passaggio significativo, sul piano metodologico e su quello sistematico”, sta nel superare “una concezione abituata a leggere le vicende del patrimonio in termini di imputazione … e non anche in termini di attività e destinazione così da consentire uno sfruttamento di tutte le potenzialità …di cui il patrimonio potrebbe essere suscettibile” (51) .E’noto che gli “esempi di collegamento patrimonio-attività si moltiplicano … sollecitati dalla normativa comunitaria”, ma tutto il tema della responsabilità patrimoniale è attraversato da fonti comunitarie e di diritto europeo.Si pensi alla possibilità di realizzare forme di separazione patrimoniale nei rapporti di investimento in prodotti finanziari. Ai patrimoni destinati e al trust e all’art. 2645 ter c.c.Tutto ciò porta a dire che la responsabilità patrimoniale non è più “un principio di carattere assoluto ma è una regola tendenziale, che può essere derogata, sia pure in fattispecie tipizzate, dall’autonomia dei privati” (52) .L’ordine comunitario va insomma verso una sorta di “specializzazione dei compendi patrimoniali” e un esempio chiarissimo si ha nel diritto fallimentare, oggetto di particolare attenzione, comunitaria (53) e nelle proposte di intervento sul fenomeno del sovraindebitamento del consumatore ove il legislatore, interno e comunitario, è alla ricerca di un punto di equilibrio fra la certezza delle obbligazioni e la tutela del debitore insolvente sulla scia del “progressivo ridimensionamento della universalità della responsabilità patrimoniale” (54) .6. Uno sguardo al futuro.La linea della storia e il diverso ordine delle fonti ci indica un percorso netto.Dopo la frantumazione medievale, la modernità borghese punta sul soggetto sino ad assorbire nella dimensione personale della libertà il dominio sulle res. Ma ciò che è dietro le nostre spalle è ancora più evidente. Il secolo breve ci lascia un eredità pesante e ci indica il futuro.La rottura con la modernità si ha con la prima guerra mondiale e il sorgere dei totalitarismi ove le cose sono legate ad esigenze sociali in base ad una diversa ideologia che privilegia la classe, il popolo razza, la nazione. Più che un diritto la proprietà diviene un centro di doveri finalizzati ad un preciso obbiettivo politico. Emerge la funzione e si riscoprono i fatti e i diversi statuti dei beni. La vera discontinuità rispetto a quel periodo buio è dato dalla Costituzioni nazionali e dal nuovo ordine europeo che foggiano un modello di Stato sociale di diritto secondo tratti precisi.Un ordine non dispotico ma basato sui diritti riconosciuti e individuati nelle Carte del Novecento e dalla giurisprudenza italiana e europea sino alla Carta di Nizza. Un ordine non arbitrario perché foggiato sulla legalità dei singoli e degli Stati. Ne sono esempi, da ultimo, le sentenze della CEDU sull’indennizzo in caso di esproprio e la recentissima sentenza della CEG sulle discriminazioni nell’accesso alle frequenze televisive. Entrambe sono condanne dello Stato italiano su assetti proprietari che indicano un modello nuovo di controllo e di valutazione del contratto e dell’appropriazione dei beni che esige piena consapevolezza e un metodo nuovo per gli interpreti e gli operatori.L’esegesi è utile e necessaria, come sempre, ma non si può predicarne un ruolo unico e centrale (55) . L’interpretazione letterale è del tutto insufficiente per una serie di motivi. L’ordinamento comunitario richiede una attività di costruzione giuridica che esige di scrutare la ratio delle disposizioni, di comporre gerarchie assiologiche, di precisare principi e nuove costruzioni dogmatiche, di operare attenti bilanciamenti. Tutto ciò senza alcuna astrazione, ma operando in concreto con attenzione ai problemi degli uomini e della società in un’attività quotidiana che da secoli impegna studiosi ed operatori al rispetto dei compiti che sono loro affidati dalla Legge e dal Diritto._________________________________________________________________________________________________________________________1 – M. Fioravanti, Alle radici della democrazia costituzionale, in Testimonianze, 453-454, 2007, p. 57 ss.2 – V C. Castronovo e S. Mazzamuto, Manuale di diritto privato europeo, Milano, 2007, p. 4 ss.3 – v. sul punto G. Vettori, La lunga marcia della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, in Riv. dir. priv., 4, 2007, p. 5 ss. da cui sono tratte queste considerazioni iniziali sulla Carta di Nizza.4 – V. sul senso e i limiti di tali inserimento anche a seguito della dichiarazione unilaterale della Polonia e il Protocollo inserito per volontà del Regno unito v. da ultimo G. Vettori, La lunga marcia della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, cit., p. 5 ss.5 – M. Fioravanti, La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea nella prospettiva del costituzionalismo moderno, in Carta europea e diritti dei privati, a cura di G. Vettori, Padova, 2002, p.206 “Altro discorso… è quello che scorge nella Carta l’inizio, ancora difficile e contraddittorio, di un processo alla fine del quale sia legittimo parlare di un popolo europeo in senso normativo, come insieme di individui in parte titolari di diritti differenziati sul piano nazionale, ma comunque sempre più letti ed interpretati nel quadro di un comune patrimonio costituzionale. Ma se di “popolo europeo” si può parlare è solo in questo senso, ed in conseguenza di questo processo, e non come suo presupposto, come soggetto costituente originario, nella linea, probabilmente oramai esaurita sul piano storico, delle Costituenti nazionali democratiche”6 – M. Fioravanti, op. cit. p 208. La Convenzione non intendeva “affermare un nuovo ordine politico contro il vecchio” ma solo dar vita ad una ricognizione “ del patrimonio essenziale della comunità politica” europea che poteva rappresentare “un punto riferimento … sicuro ed ordinato” per l’evoluzione di un diritto comune e per il problema “implicito nella Carta” “della identità costituzionale dell’Europa”7 – Il documento, a ben vedere, era anche, come si è detto acutamente, un chiaro tentativo di superamento di “certe rigide dicotomie positivistiche , tra diritto e politica, concepite in un tempo in cui queste erano realtà solide e impenetrabili”. Ed è chiaro il perché. I redattori si resero ben presto conto che l’argomento della vincolatività del testo poteva essere utilizzato dagli oppositori, gli inglesi in primo luogo, come un mezzo per “determinare un sostanziale fallimento dell’impresa” o per approvare un testo “poverissimo di contenuti” (S. Rodotà, Nel silenzio della politica i giudici fanno l’Europa, in La Carta e le Corti, Cimenti, 2007, p. 23). Da qui l’idea della sola proclamazione che fu uno strumento utilissimo sul piano strategico. Il punto veramente importante era l’approvazione perché la Carta “ pur priva di valore giuridico formalmente vincolante, sicuramente, si disse, avrebbe cominciato a farsi strada nell’Ordinamento dell’Unione e in quelli degli Stati membri.” (Rodotà, op. cit., p 24) Essa avrebbe prodotto, al di là del suo inserimento nei Trattati, effetti precisi dalla Carta avrebbe tratto linfa e giovamento la giurisprudenza comunitaria e le istituzioni nel loro complesso ”.8 – V. le sentenze Corte cost. 22 ottobre 2007 n. 349 (rel. Tesauro) e 22 ottobre 2007 n. 348 (rel. Silvestri), in Foro it., 2008, I, 39, nota di Romboli, Travi, Cappuccio, Ghera.9 – v. Corte Cost. 22 ottobre 2007 n. 348, cit. Ciò perché tali norme “non derivano da organizzazione internazionali rispetto alle quali siano state accettate limitazioni di sovranità come quelle previste dall’art. 11 della Costituzione”.10 – v. Corte cost. n. 16 giugno 1993, n. 283, in Foro it., 1993, I, 2089 ed in Corriere giur., 1993, 789, con nota di Carbone e, p. 921 (m), con nota di Di Majo. In essa si ribadiva che l’indennizzo “se non deve costituire una integrale riparazione della perdita subita…non può essere tuttavia fissato in misura irrisoria o meramente simbolica ma deve rappresentare un serio ristoro. Perché ciò possa realizzarsi occorre far riferimento per la determinazione dell’indennizzo al valore del bene in relazione alle sue caratteristiche essenziali, fatte palesi dalla potenziale utilizzazione del bene in relazione alle sue caratteristiche essenziali.. Il principio del serio ristoro è violato, secondo tale pronunzia, quando per la determinazione dell’indennità non si considerino le caratteristiche del bene da espropriare ma si adotti un diverso criterio che prescinda dal valore di esso”. La corte dunque “ha tenuto a precisare che la mediazione tra l’interesse generale sotteso all’espropriazione e l’interesse privato, espresso dalla proprietà privata, non può fissarsi in un indefettibile e rigido criterio quantitativo, ma risente sia del contesto complessivo in cui storicamente si colloca sia dello specifico che connota il procedimento espropriativi, non essendo il legislatore vincolato ad individuare un unico criterio di determinazione dell’indennità, valido in ogni fattispecie espropriativi”. Insomma “né il criterio del valore venale…né alcuno ei criteri mediati prescelti dal legislatore possono avere i caratteri dell’assolutezza e della definitività. La loro collocazione nel sistema e la loro compatibilità con i parametri costituzionali subiscono variazioni legate al decorso del tempo e al mutamento del contesto istituzionale e normativo, che non possono restare senza conseguenze nello scrutinio di costituzionalità della norma che li contiene.” Come è noto la Corte aveva ritenuto che anche un “contesto complessivo caratterizzato da una sfavorevole congiuntura economica.. può conferire un diverso peso ai configgenti interessi oggetto del bilanciamento legislativo”.11 – V. Corte cost. 24 ottobre 2007, n. 348 ove si osserva che “una indennità congrua seria e adeguata non può adottare il valore di mercato del bene come mero punto di partenza per calcoli successivi che si avvalgono di elementi del tutto sganciati da tale dato”, senza contare che la riduzione del 40 per cento è priva di qualsiasi riferimento al valore della cosa anche se esso viene escluso in caso di cessione volontaria.12 – La Corte costituzionale (24 ottobre 2007, n. 348) ribadisce peraltro che il legislatore non è obbligato a predisporre criteri equiparati al valore venale del bene perché la funzione sociale (art 42 e 2) richiede a tutti i cittadini l’adempimento dei doveri di solidarietà mentre livelli troppo alti di spesa per l’espropriazione di aree “potrebbero pregiudicare la tutela effettiva dei diritti fondamentali ed “essere di freno per la realizzazione delle infrastrutture necessarie per un più efficiente esercizio dell’iniziativa economica.”13 – Corte cost. 24 ottobre 2007, n. 349, cit.14 – M. Trimarchi, La proprietà, in C. Castronovo e S. Mazzamuto, Manuale di diritto privato europeo, cit. p.3 ss. Emblematica è la differenza fra civil e common law. Lo stesso termine properties “non corrisponde a quello di proprietà….nella common law non identifica nemmeno i diritti reali bensì qualcosa di molto più ampio, perché rientrano nel concetto molti rapporti che in diritto italiano sono parte della materia delle obbligazioni; e si distingue così una real property, assistita da un’azione recuperatoria e una personal property alla quale è ricollegata solo un’ azione di risarcimento del danno”.15 – v. per queste osservazione la bella sintesi di M. Trimarchi, La proprietà, in C.Castronovo S.Mazzamuto, Manuale di diritto privato europeo, cit. p. 3ss.16 – M. Trimarchi, op. loc. cit.: “L’art. 295 deve essere inteso nel senso che la materia rimane nella competenza esclusiva degli Stati solo se non ricorrono finalità comunitarie che impongono l’adozione in dati settori di normative europee della proprietà”. Manca dunque organicità e completezza di disciplina ma è in atto un processo”evolutivo dei diritti nazionali della proprietà nella logica e sotto l’influenza del diritto comunitario”.17 – P. Rescigno, Convenzione europea dei diritti dell’uomo e diritto privato (famiglia, proprietà, lavoro), in Riv. dir. civ., 2002, p. 325.18 – M. Comporti, Relazione introduttiva, in La proprietà nella Carta europea dei diritti fondamentali, a cura di M. Comporti, Milano, 2005, p.10 ss.19 – A. Lucarelli, Art.17. Diritto della proprietà, in L’Europa dei diritti. Commento alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, Bologna, 2001, 139 ss.20 – Così M. Comporti, La proprietà europea e la proprietà italiana, in Gli statuti proprietari e l’interesse generale tra costituzione europea e diritto privato, a cura di L.Bruscuglia-G.Grisi-O.T.Scozzavafa, Napoli, 2007, p.1 ss. in part. 26.21 – L’ art. 52.3 prevede che “ogni disposizione ..va interpretata in modo che conferisca diritti con significato e portata almeno uguali a quelli previsti dalla CEDU”. Ciò al di là delle differenze fra i due testi non può non significare che l’interpretazione dell’art. 17 deve tener conto degli orientamenti giurisprudenziali formatisi attraverso le sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo.Secondo l’art. 53 l’interpretazione della Carta deve essere condotta in modo da non limitare o ledere i diritti e le libertà riconosciute dal diritto dell’Unione, dal diritto internazionale, dalle Convenzioni internazionali, dalle Costituzioni degli Stati membri. Il richiamo alle Carte Costituzionali e non alle tradizioni è importante.L’art. 54 prevede il divieto di abuso di diritto sicchè “l’art. 17 non può essere intesa puramente e semplicemente nel senso che attribuisce al titolare del diritto il potere di godere,usare e disporre e di lasciare in eredità.. in quanto operando in siffatto modo non si tengono nel debito conto le possibili conseguenze dell’esercizio di quei poteri in termine di lesione di altri diritti e libertà ugualmente tutelati. “Il che poi equivale sostanzialmente ad affermare che l’interpretazione dell’art.17 deve essere condotta con metodo sistematico per armonizzarla con le altre previsioni, nell’ambito di un insieme che vede i valori della persona umana quale dato di riferimento e di coesione.” (cosi M. Trimarchi, op. cit., p. 6 ss.)22 – S. Rodotà, Il progetto della Carta europea e l’art. 42 Cost., in La proprietà nella Carta dei diritti fondamentali, cit. p. 159 ss.; Id. La proprietà tra ritorno e rifiuto, in Gli statuti proprietari e l’interesse generale tra costituzione europea e diritto privato, cit. p. 27 ss.23 – M. Trimarchi, op. cit. p.11 ss.24 – G. Vettori, Diritto dei contratti e “costituzione europea”, Milano, 2005, p. 82.25 – Corte Giustizia, 31 gennaio 2008, causa C- 380/05 (Centro Europa 7 Srl / Ministero delle Comunicazioni e Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni).26 – V. per tutte queste osservazioni M. Trimarchi, La proprietà, in C.Castronovo, S.Mazzamuto, Manuale di diritto privato europeo, cit. p. 6 ss.27 – A. Gambaro, Il diritto di proprietà, in Tratt. Cicu-Messineo-Mengoni, Milano, 1995, p. 745.28 – Se confrontiamo le regole di circolazione vigenti nei singoli paesi una prima lettura pone in luce realtà molto diverse. Il code civil francese e il codice civile italiano proclamano la sufficienza del titulus, il BGB tedesco reputa necessaria la consegna e si ispira all’idea del modus, il codice austriaco rimane fedele alla soluzione al diritto comune che richiede il titulus e modus, la common law tiene distinta la compravendita di cose mobili e immobili. Gli altri ordinamenti si ispirano all’uno o all’altro modello e l’uniformazione della disciplina è da sempre ardua perché le regole diverse sono espressione di interessi e scelte diverse radicate nella storia dei popoli e delle nazioni. Nella Francia del ‘700 “la liberazione del suolo dai tradizionali pesi procede parallelamente alla liberazione degli individui dai vincoli personali dell’ancien regime e un tale obbiettivo non può non toccare nell’essenza le regole della circolazione dei beni che debbono essere depurate da ogni forma e solennità, per soddisfare l’interesse della nuova classe dei potenziali acquirenti, uscita vittoriosa dalla rivoluzione”. L’elaborazione dei Pandettisti in Germania foggia una figura proprietaria funzionale alle necessità dell’operatore economico che ha bisogno di un modello semplice, adatto alla circolazione e alle sue leggi economiche. Tali esigenze prevalgono sull’affermazione di un “trasferimento già perfetto con l’accordo e nel disciplinare l’atto traslativo si richiedono altre formalità”. Nella common law l’impianto feudale che grava sul dominio rende naturale il frazionamento dell’utilità, sicché “oggetto dei diritti divengono sempre più spesso, non le cose ma le prerogative nell’immobile” (estates). Da qui la necessità di realizzare un corpus di regole volte a semplificare e per tale obbiettivo a dare certezza ai trasferimenti e a ciò provvede la Land Law del 1925 che ha introdotto un procedimento “caratterizzato da un contratto di natura obbligatoria, un atto formale che recepisce i formalismi medioevali”.29 – È noto che da tempo un’autorevole dottrina (R. Sacco, op. cit. p. 89 ss.) ha sollecitato la ricerca al di là delle declamazioni “delle vicinanze, a volte sorprendenti delle regole operazionali che, nei vari sistemi, disciplinano in concreto aspetti significativi del trasferimento: ma tale invito a porsi a cavalcioni delle frontiere non ha sempre condotto a risultati appaganti”. Da un lato si resta accecati dalla lettera dalla legge (M. Bianca, Il principio del consenso traslativo, in Diritto privato, 1995), dall’altro il disvelamento delle proclamazioni conduce a gettar via il bambino con acqua sporca, rifugiandosi in regole di settore che mal si conciliano con l’esigenza di certezza di ogni legge di circolazione (A.Gambaro, op. cit. p. 671 ss).30 – V. G. Benedetti, Convenzione di Vienna nei contratti di vendita internazionale di beni mobili, in Le nuove leggi civili commentate, 1989, p. 9 ss; ed ivi G. Vettori, Commento all’art. 31, p. 124 ss., v. altresì J. Bonell, Vendita (disciplina internazionale) in Enc. Giur. XXXII, Roma, 1994.31 – Per tale obbiettivo occorre davvero porsi a “cavalcioni delle frontiere” seguendo l’esempio della Convenzione di Vienna ma trovando ancora una base di appoggio nella Carta di Nizza. L’art. 17 non contiene precise indicazioni. Riafferma i principi già emersi nelle sentenze della Corte di Giustizia e nelle Costituzioni dei Paesi membri che consentono di disciplinare l’uso della proprietà privata in modo sostanzialmente omogeneo, giacché ogni ordinamento, se pur con terminologie e strumenti diversi, esprime un contesto e un limite di un diritto uniformabile senza grandi dissonanze. È la ratio del testo costituzionale nel suo complesso che può essere di ausilio nel disciplinare il trasferimento della proprietà perché il futuro codice europeo dovrà tener conto del superamento delle ragioni storiche che avevano condotto a scelte diverse e dell’obiettivo politico di realizzare un mercato unico che esige un’unica regola di circolazione.32 – Mi permetto di richiamare sul punto G. Vettori, I contratti a effetti reali, in Il contratto in generale, in Trattato dir. da M. Bessone, XIII, Torino, 2002, p. 105; Id., Consenso traslativo e circolazione dei beni. Analisi di un principio, Milano, 1995, p. 19.33 – A. Gambaro, Il diritto di proprietà, cit., p.674.34 – F. Romano, Diritto e obbligo nella teoria del diritto reale, Napoli, 1967, p.62 ss. e G. Vettori, Opponibilità, in Enc. giur., XXI, Roma, 2000, p. 6 ss. Quanto alle obbligazioni reali alcuni autori vorrebbero escludere, in base ad un’asserita tipicità, la possibilità di consentire la destinazione, quindi l’opponibilità di esse ai sensi di questa norma (G. Petrelli, La trascrizione degli atti di destinazione, in Riv. dir. civ., 2006, 2, p.189). Ma con ciò si trascura l’ambiguità storica delle obbligazioni reali, che è risolta dalla norma.In un bel libro, di oltre quaranta anni, si diceva in modo chiarissimo che “quelle situazioni hanno avuto sempre una natura ibrida” per uno scopo preciso. Esse “annebbiano la chiara distinzione fra diritti reali od obbligazioni e sono costruite come figure miste, la cui oscurità attesta solo la difficoltà di un inquadramento che non vuole allontanarsi dalla purezza delle categorie prefigurate in modo assoluto” (F. Romano, Diritto e obbligo nella teoria del diritto reale, cit. p. 85ss). Fra la realità e l’obbligatorietà dai contorni schematici e rigidamente formalizzati si è a lungo teorizzata teorizza una zona grigia, le obbligazioni reali, appunto.La norma, forse inconsapevolmente si pone in continuità con quel filo storico e lo interrompe, riconoscendo la possibilità di trascrivere obblighi accessori al contenuto di un diritto reale che rientrino in una destinazione della res ammessa e riconosciuta.Del resto il principio di tipicità delle obbligazioni reali, affermato da alcune sentenze sino agli anni ’90, è negato in assoluto da una sentenza della Corte di Cassazione del 2003 (Cass. 6 marzo 2003, n. 3341, in Giust. civ., 2004, I, 2825) e la legge fa chiarezza in modo del tutto apprezzabile35 – A. Gambaro, Il diritto di proprietà, In Trattato Cicu-Messineo-Mengoni, cit., p.744 n. 13.36 – G. Petrelli, La trascrizione degli atti di destinazione, op. cit., p.199.37 – G. Vettori, Efficacia ed opponibilità del patto di preferenza, op.cit. p. Id., I contratti ad effetti reali, in Il contratto in generale, cit., p. 103 ss.38 – v. su tale aspetto G. Palermo, Contributo allo studio del trust e dei negozi di destinazione disciplinati dal diritto italiano, in Riv. dir. comm., 2001,391, 393; e G. Vettori, Opponibilità, cit., p.1 ss.; v. ora G. Petrelli, La trascrizione degli atti di destinazione, op. cit. p. 198.39 – « Si le bénéficiaire d’un pacte de préférence est en droit d’exiger l’annulation du contrat passé avec un tiers en méconnaissance de ses droits et d’obtenir sa substitution à l’acquéreur, c’est à la condition que ce tiers ait eu connaissance, lorsqu’il a contracté, de l’existence du pacte de préférence et de l’intention du bénéficiaire de s’en prévaloir ».40 – Cass. 14 febbraio 2007, D., 2007, AJ, p. 657. 31 gennaio 2007, in D., 2007, p. 1698 nota D. Manguy, 11 juillet 2006, in D., 2006, p. 2510 nota P.-Y. Gautier ; RTDciv., p. 759 ss. J. Mestre, B. Fages ; Ch. mixtes, 26 mai 2006, in D., 2006, p. 1861 nota P.-Y. Gautier e D. Manguy ; Ibidem, p. 2644, osservazioni di Amran-Mekki e B. Fauvarque-Cosson ; RTDciv, 2006, p. 550 ss. J. Mestre e B. Fages ; in JCP, 2006, I, 10142 ss. L. Leuveneur ; in RDC, 2006, p. 1080 ss. D. Mazeaud ; Cass., 30 aprile 1997, in D., 1997, p. 475 nota D. Mazeaud ; in RTDciv., 1997, p. 685 nota P.-Y. Gautier.41 – Cass., 30 aprile 1997, in D., 1997, p. 475 nota D. Mazeaud ; in RTDciv., 1997, p. 685 nota P.-Y. Gautier.42 – In questo senso cfr : Cass., 16 luglio 1985, n. 84-13.745, in Bull. civ., I, n° 224 ; in RTDciv., 1987, p. 88, ss. J. Mestre; Cass., 5 maggio 2004, 01-16.014, 01-15.812 e 02-11.292.43 – D. Manguy, nota a Cass., 31 gennaio 2007, cit., p. 1699.44 – A. Gambaro, op. ult. cit.45 – Cass. Sez. un., 19 dicembre 2007 n. 26725 e n. 26724.46 – Così A. Di Majo, Le obbligazioni, in Manuale di diritto privato europeo, II, a cura di C.Castronovo e S. Mazzamuto, cit., p. 141.47 – Il comma 2 dell’art. 2:207 (rubricato “Remedies for breach of information duties”) dei Principles of the Existing EC Contract Law (Acquis Principles) Contract I (Pre-contractual Obligations, Conclusion of Contract, Unfair Terms), Sellier, 2007, stabilisce che “anche se nessun contratto è concluso tra le parti, la violazione dei doveri stabiliti dagli artt. 2:201 – 2:206 legittima la parte a richiedere i danni. Di conseguenza, trova applicazione il Capitolo 8”. L’ultimo comma precisa: “Se una parte non ha adempiuto agli obblighi stabiliti dagli articoli da 2:201 a 2:206 ed il contratto è stato concluso, il contratto medesimo contiene quelle obbligazioni che l’altra parte può ragionevolmente aspettarsi quali conseguenze dell’assente o incorretta informazione ricevuta. I rimedi disposti dal Capitolo 8 trovano applicazione in caso di mancata esecuzione di queste obbligazioni”. Nella articolazione degli Acquis Principles, il citato Capitolo 8 conterrà, appunto, le previsioni relative ai rimedi: si tratta di un capitolo tuttora oggetto di studio ed analisi da parte del Research group e di prossima pubblicazione.In sede di spiegazione della norma e di giustificazione del fondamento si osserva che la giurisprudenza della Corte di Giustizia “ha iniziato a sviluppare un principio in forza del quale la legittimazione al risarcimento dei danni cagionati dalla violazione di norme del Trattato o di Regolamenti direttamente applicabili può giustificare una richiesta di risarcimento. Questo approccio si fonda sul generale principio dell’ effet utile (cfr. in particolare casi C-453-99 – Courage Ltdv. Crehan e C-253-00 – Antonio Munoz Cia SA vs Frumar Limited). Nonostante i casi giurisprudenziali siano attualmente limitati a quelle ipotesi in cui vi sia una norma dell’ordinamento comunitario direttamente applicabile, è presumibile che ciò possa evolversi in un principio generale anche per quelle situazioni in cui è il legislatore nazionale a dare applicazione alle direttive. Ciò consentirebbe di ritenere la disponibilità in testa al consumatore del risarcimento dei danni – non solo nel caso in cui sia stato stipulato un contratto in conseguenza alla incompleta o fuorviante informazione, ma anche in manca di esso – quale principio nascente degli Acquis”.48 – A. Gambaro, op. cit. p. 671.49 – A. Di Majo, Le obbligazioni, cit., p. 137 ss.50 – A. Di Majo, Le obbligazioni, op. cit. p.139, 177. Non mancano interventi sul tema generale delle obbligazione in particolare: sul ritardo dei pagamenti, sulle obbligazioni pecuniarie, sul pagamento dell’indebito (CEG 2.12.1997 C-188/95) sull’arricchimento senza causa (CEG 9.11.1983 C-199/82; CEG 17.7.1997 C-90/94); il risarcimento del danno Brasserie du pecheur e Francovich (CEG 5.3.1996 C-46/93 e 48/93;19.11.1991 C-6/90 9/90). Di grande interesse il caso Courage che “tende a rafforzare la finalità dell’obbligazione risarcitoria di rendere “effettivo” il rispetto delle prescrizioni comunitarie. Alle normali tecniche di invalidazione si aggiunge il risarcimento,conseguenza invece non scontata nella tradizione di civil law , ove l’invalidazione è destinata a prevenire il risarcimento”.Si può concludere che le obbligazioni “in quanto categoria ordinante dei rapporti privati, sono presenti sia in forma diretta sia in forma indiretta nel diritto comunitario ed europeo. Esse sono influenzate come categoria ordinante appunto dalla disciplina cui sono sottoposti i singoli contratti”. Alcuni esempi. La disciplina delle obbligazioni del venditore della Convenzione di Vienna ha influenzato la vendita dei beni di consumo. La conformità del bene ha rotto con il modello codicistico della garanzia di civil law. Si modifica un modello secolare che distingueva garanzia da responsabilità: una distinzione che almeno per il diritto dei consumatori oggi non esiste più.51 – A. Di Majo, Le obbligazioni, op. cit. p. 17852 – A. Di Majo, op. loc. cit.53 – v. Comunicazione della Commissione del 5 ottobre 2005 COM(2007) 587, ove si invita gli Stati e la comunità imprenditoriale a dare “il loro contributo per la creazione di un ambiente in grado di sostenere gli imprenditori a rischio e coloro che hanno fatto l’esperienza di un fallimento aziendale, al fine di trasformare l’Unione europea in un area più dinamica per l’imprenditorialità e la seconda possibilità”.54 – V. M. Lobuono e M. Lorizio, (a cura di ) Credito al consumo e sovraindebitamento del consumatore. Scenari economici e profili giuridici., Torino, 2007, ed ivi M. Lo buono, Brevi note sui profili giuridici del sovraindebitamento del consumatore, p. 150. v. anche Parere del Comitato economico sociale sul tema del “sovraindebitamento delle famiglie” 2002/C149/01 ed il successivo del febbraio 2006 ove si è proposto di inserire il tema nel programma di azione comunitaria in materia di salute e tutela dei consumatori. V. altresì G. Presti, L.Stanghellini, F.Vella L’insolvenza del debitore civile, in Analisi giuridica dell’economia, 2, 2004, ed ivi, L. Stangellini,“Fresh start”: implicazioni di “policy”, p. 437 ss.; M. C. Cardarelli, L’insolvenza del debitore civile in Francia, p. 299; I. Mecatti, L’insolvenza del debitore civile in Spagna, p. 321; F.M. Mucciarelli, L’insolvenza del debitore civile in Germania, p.337.55 – v. N. Irti, in Manuale di diritto privato europeo, 1, cit. p. 57 ss. “Il metodo non è una razionalità meta-storica capace di imporsi a qualsiasi oggetto….ogni oggetto esprime il proprio metodo.. il diritto europeo ,abbassando i legati storici a materiale costruttivo, richiede quel metodo che va avanti ad ogni altro il metodo letterale…bisogna ricominciare da capo…..i concetti giuridici non appartengono ad una logica eterna, svelata una volta per sempre e applicabile a qualsiasi diritto…sono tutt’uno con la storicità dell’oggetto … e se questo oggetto è orientato dalla tecno-economia ..i concetti sono chiamati a rispecchiare i medesimi scopi ed a muoversi nella stessa direzione….. Il diritto europeo non è un corpo di regole che stia a sé sospeso al di sopra dei diritti nazionali ….è solo espressione riassuntiva dei diritti nazionali uni-formi e anche di ciò deve tener conto il metodo”. “Il carattere artificiale del diritto europeo richiede e determina una nudità logica dell’interprete il quale si trova sprovvisto o può agevolmente liberarsi, di ogni bagaglio storico o, almeno, di lasciti che riuscirebbero incompatibili con il nuovo e diverso oggetto. Egli è immune dalla “malattia storica”, da quell’eccesso di storia di cui parla Nietzsche”. “Se neghiamo una logica giuridica che, custodita non si sa dove e non si sa da chi, fornisca ai diritti storici una dotazione perenne di istituti e categorie ordinanti; se neghiamo all’uomo la capacità di cogliere essenze oggettive, insensibili all’onda del tempo e alla varietà dei luoghi; allora, se questo neghiamo, rimane solo l’arioso rapporto con le singole norme e il libero raffronto fra tradizione e modernità. Se discorriamo di vera e propria relatività e dunque di categorie espresse dalla storica specificità dell’oggetto, non c’è altro ufficio che avvicinarsi al nuovo diritto e consultarne il contenuto”.
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