ISSN 2239-8570

Diritto di conoscere le proprie origini, revoca dell’anonimato ed effetti, di Antonio Gorgoni

 

La Corte costituzionale, con una pregevole sentenza (additiva), torna a occuparsi della questione di costituzionalità dell’art. 28, comma 7, l. adoz., già decisa in senso negativo con la sentenza n. 425/2005. Questa volta la disposizione è stata ritenuta illegittima nella parte in cui non prevede che il giudice possa interpellare la madre (biologica), su richiesta del figlio adottato, per accertare se ella intenda revocare la dichiarazione di non essere nominata nell’atto di nascita, resa ai sensi dell’art. 30, comma 1, d.P.R. n. 396/2000.

Com’è noto, il diritto della madre all’anonimato rappresenta una conquista di civiltà dell’ordinamento giuridico. Esso persegue un duplice obiettivo: da un lato tutela la salute della gestante e del nascituro, inducendo la prima ad affidarsi alle strutture più qualificate per lo svolgimento del parto; dall’altro distoglie la donna da decisioni irreparabili, soprattutto per il figlio (dall’abbandono ad altre tragiche scelte).

Il diritto in parola ha dunque un solido fondamento costituzionale. Nella pronuncia che si segnala, non si discute certo di cancellarlo, ma solo di rimodularlo a fronte di un altro diritto di rilevanza costituzionale: quello alla conoscenza delle proprie origini. Diritto strettamente connesso con la l’identità personale e con la formazione della personalità di ogni essere umano (art. 2 Cost.).  

La ragione di incostituzionalità è stata ravvisata nella irrevocabilità della dichiarazione di non voler essere nominata nell’atto di nascita. Questo carattere, secondo la Consulta, trasforma il diritto all’anonimato «in una sorta di vincolo obbligatorio, che finisce per avere un’efficacia espansiva esterna al suo stesso titolare e, dunque, per proiettare l’impedimento alla eventuale relativa rimozione proprio sul figlio (…)».

Ciò non trova un’adeguata giustificazione, col risultato di sacrificare, oltre il ragionevole, il diritto di ricercare le proprie origini. Tale censura era stata già formulata dalla Corte EDU nel caso Godelli c. Italia (25.9.2012, ric. n. 33783/2009), con riferimento all’art. 8 Cedu; sentenza, questa, tenuta giustamente in considerazione dalla Corte costituzionale in ragione dell’art. 117 Cost. Ma vi sono anche altre diposizioni della Carta fondamentale, richiamate dalla Consulta, con cui contrasta l’irreversibilità del segreto. Oltre all’art. 2 anche l’art. 3 con riferimento all’irragionevole disparità di trattamento tra l’adottato nato da donna che abbia dichiarato di non voler essere nominata nell’atto di nascita e l’adottato figlio di genitori che, viceversa, non abbiano effettuato detta dichiarazione.

Il figlio adottato potrà, pertanto, per effetto del nuovo decisum della Corte costituzionale, manifestare al giudice la volontà di conoscere il nome della madre biologica. Quest’ultima, naturalmente, sarà libera non solo di revocare ma anche di confermare la dichiarazione di  volere rimanere anonima.

A fronte dell’interpello giudiziale del figlio, vi è la necessità, sottolineata sapientemente dalla Consulta, di un procedimento volto a verificare «la perdurante attualità della scelta della madre naturale di non voler essere nominata» e a «cautelare in termini rigorosi» il diritto all’anonimato della madre stessa. L’individuazione di tali regole procedimentali spetta, secondo la Corte costituzionale, al legislatore. Di conseguenza la dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 28, comma 7., l. adoz. non sembra avere immediata applicazione, in attesa dell’invocato intervento legislativo.  

La Consulta affronta, infine, un altro aspetto significativo per i riflessi che potranno esserci sull’eventuale riconfigurazione dei rapporti familiari. È ovvio che la revoca della dichiarazione di anonimato non incide sulla «genitorialità giuridica», fatto, questo, irreversibile. Pertanto i diritti del figlio, i profili successori e alimentari continuano a porsi soltanto nei confronti dei genitori adottivi. La revoca influisce, invece, sulla «genitorialità naturale», palesandola e casomai favorendo contatti tra la madre biologica e il figlio adottato. Avremmo, secondo la Consulta, una «reciproca relazione di fatto» tra questi due soggetti.

Di fatto sì, ma non necessariamente del tutto metagiuridica. Del resto la Corte costituzionale ha cura di precisare che l’impedimento assoluto alla «genitorialità naturale», derivante dalla regola dell’irrevocabilità della dichiarazione di anonimato, confligge con l’art. 2 Cost. ed esattamente con il valore della solidarietà. Ed è proprio in forza di tale valore che non si può escludere l’applicabilità dell’art. 2034 c.c. alle attribuzioni patrimoniali corrisposte dal figlio adottato alla madre biologica e viceversa (si veda la nota di G. Finocchiaro su Guida al dir., 2013, 49/50, p. 24).

 

Cass., 22.11.2013, n. 278 

 

Pubblicato in Persona e diritti

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