Dottore di ricerca e Assegnista in Diritto civileSOMMARIO: 1. L’azione collettiva risarcitoria e le (tormentate) vicende dell’art. 140 bis cod. cons. – 2. La tutela collettiva risarcitoria. Ambito di applicazione oggettiva e soggettiva. – 3. Le situazioni giuridiche tutelate: diritti individuali e “interesse collettivo dei consumatori”. 4. La legittimazione ad agire: gli enti di cui all’art. 139 comma 1 Cod. Cons. e le associazioni ed i comitati “adeguatamente rappresentativi degli interessi collettivi fatti valere”. – 5. Considerazioni conclusive.1. L’AZIONE COLLETTIVA RISARCITORIA E LE (TORMENTATE) VICENDE DELL’ART. 140 BIS COD. CONS.La gestazione e, a seguito dei recentissimi eventi, la venuta alla luce dell’azione collettiva risarcitoria sono al centro di un vivacissimo dibattito in dottrina e tra gli operatori del diritto.Come è noto, la legge 24 dicembre 2007 n. 244 (1) – “legge finanziaria” – ha introdotto nel Codice del Consumo il nuovo art. 140 bis in tema di azione collettiva risarcitoria, a fianco del rimedio inibitorio già disciplinato agli artt. 37 e 139-140. Nel disegno legislativo originario viene modulata diversamente l’entrata in vigore del nuovo istituto (1° gennaio 2008) dalla relativa efficacia, per la quale si è stabilito il decorso del termine di centottanta giorni dalla data di entrata in vigore (così il comma 447 dell’art. 2 l. 244/2007: il 30 giugno 2008) (2) . In tal modo si è garantito un periodo di vacatio ampio ed opportuno (stante la novità e l’impatto nel panorama ordinamentale), trascorso in un clima di attenzione ed interesse, come dimostrano il vigore dei dibattiti e la varietà – talvolta disorientante (3) – delle interpretazioni.L’ultimo atto della tormentata gestazione risale a pochissimo tempo fa: l’art. 36 del Decreto Legge 25 giugno 2008, n. 112 (4) ha stabilito in un anno (e non più in centottanta giorni) il periodo di vacatio, ciò, testualmente, “anche al fine di individuare e coordinare specifici strumenti di tutela risarcitoria collettiva, anche in forma specifica nei confronti delle pubbliche amministrazioni”. L’entrata in vigore dell’istituto – con le modifiche che saranno apportate – è dunque prevista per il 1 gennaio 2009. Ai fini del presente lavoro, pertanto, l’indagine si soffermerà sulla normativa risultante dal testo legislativo del dicembre 2007, con particolare riferimento ai profili di criticità ed ai potenziali aspetti di modifica ed intervento.L’introduzione del nuovo art. 140 bis si accompagna ad altre modifiche atte a coordinare il rimedio nel sistema. Si è novellato l’art. 50 bis, comma 1 c.p.c. aggiungendovi il numero 7 bis, con il quale si attribuisce la decisione sull’azione collettiva risarcitoria alla competenza del tribunale in composizione collegiale. Inoltre, opportunamente, è disposta la modifica alla rubrica del Titolo II della Parte V del Codice del Consumo, da “Le azioni inibitorie e l’accesso alla giustizia”, ad “Accesso alla giustizia”. Si tratta di un riferimento significativo, idoneo a comprendere il rimedio risarcitorio e restitutorio oltre a quello inibitorio: vi sono dunque tutti gli strumenti atti a delineare un organico e completo apparato rimediale a tutela del consumatore ed utente.Entriamo allora nel merito delle caratteristiche di fondo dell’istituto.Il modello accolto dal legislatore italiano, come è noto, è quello dell’opt-in sicchè il soggetto che intenda prendere parte al procedimento e, dunque, soggiacere agli effetti dell’azione, deve manifestare in modo espresso il proprio consenso attraverso lo strumento dell’adesione. L’art. 140 bis, infatti, non da vita ad una azione di classe in senso tecnico paragonabile al modello statunitense della class action (Rule 23 b) 3, Federal Rules of Civil Procedure) che, in quel sistema, conta su una prassi ed una giurisprudenza molto avanzate (5). Né, dunque, la sentenza a conclusione del relativo procedimento ha efficacia tout court per la generalità degli appartenenti alla classe, salva la possibilità di esercitare il c.d. opt-out right.Nondimeno, già prima dell’approvazione della norma, la dottrina italiana si è interrogata in ordine al modello astrattamente preferibile, affiancata in questo esercizio dai numerosi progetti di legge che si sono succeduti. Ne sono emersi orientamenti differenziati: alcuni hanno segnalato il contrasto del sistema opt-out rispetto ai principi costituzionali a presidio del diritto di difesa(6) ; altri, invece, hanno individuato le norme costituzionali incompatibili non tanto negli artt. 24 e 111 quanto negli artt. 41 e 42 (7), altri ancora hanno evidenziato l’efficacia e la desiderabilità del modello statunitense anche per il nostro ordinamento (8). Altra caratteristica di fondo è l’articolazione in due fasi: la prima, innanzi al tribunale il quale (in caso di accoglimento della domanda) deve indicare in sentenza i criteri per la liquidazione; ad essa fa seguito la vera e propria fase di determinazione del quantum risarcitorio affidata a meccanismi di conciliazione stragiudiziale. Ciò da vita ad una biforcazione la cui armonia e compattezza è affidata a meccanismi procedimentali.Quanto così rilevato in linea generale richiede di essere contestualizzato. Non si può che prendere le mosse, allora, dalle consistenti perplessità che la formulazione normativa lascia irrisolte, a partire dall’ambito applicativo.2. LA TUTELA COLLETTIVA RISARCITORIA. AMBITO DI APPLICAZIONE OGGETTIVA E SOGGETTIVA.Ai sensi del primo comma dell’art. 140 bis l’ambito di applicazione del rimedio consiste ne “l’accertamento del diritto al risarcimento del danno e alla restituzione delle somme spettanti ai singoli consumatori o utenti nell’ambito di rapporti giuridici relativi a contratti stipulati ai sensi dell’articolo 1342 del codice civile, ovvero in conseguenza di atti illeciti extracontrattuali, di pratiche commerciali scorrette o di comportamenti anticoncorrenziali, quando sono lesi i diritti di una pluralità di consumatori o di utenti”.A livello soggettivo, il riferimento è, da un lato, ai “consumatori ed utenti”, dall’altro all’“’impresa”. Partiamo da quest’ultimo aspetto. Con una premessa di ordine ermeneutico che discende dalla collocazione sistematica dell’istituto.Il 140 bis è inserito, come si è detto, nel capo dedicato all’accesso alla giustizia entro il sistema del codice del consumo nel quale, in linea di principio, deve essere contestualizzato ed interpretato. Il codice “è dunque il primo e fondamentale alveo sistematico per la decifrazione delle nuove disposizioni”(9) . La linearità di tale considerazione appare ben presto vanificata, ed il rimedio manifesta la sua vocazione espansiva, sia nella dimensione oggettiva (basti pensare all’ampio riferimento agli “atti illeciti extracontrattuali”) che soggettiva. Vediamo il perché.Per quanto riguarda la nozione di consumatore o utente, la definizione di cui all’art. 3 del codice è un chiaro punto di riferimento: si tratta della “persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta”(10) . Anche a seguito della modifica introdotta dal d. lgs. 23 ottobre 2007 n. 221 (per effetto del quale il citato art. 3 al comma 1 precisa ora che le definizioni valgono “ove non diversamente previsto”) il ricorso alla indicata definizione risulta corretto, pur con alcune precisazioni. Il riferimento agli atti illeciti tout court ed alle condotte anticompetitive sembra infatti ampliare tale novero. E non è una novità. Già la sistematica del codice del consumo nel disciplinare l’unica ipotesi di danno extracontrattuale (la responsabilità per danno da prodotti difettosi, ex artt. 114 ss.) prescinde dalla natura di consumatore del danneggiato (11). E allora delle due l’una: o si ritiene che l’inquadramento quale “consumatore od utente” ai sensi dell’art. 3 cod. cons. operi anche in caso di responsabilità aquiliana, limitandone l’applicazione a livello soggettivo, ovvero – come sembra preferibile – si mantiene un diverso regime che, per i fatti illeciti, prescinde da tale requisito. Si tratta, a ben vedere, di un orientamento conforme alla struttura del codice del consumo ed alla eterogeneità delle figure ivi disciplinate e che, ai nostri fini, trova ulteriore conferma nella recente modifica operata con D. Lgs 221/2007. Del resto la ratio che sottende la nozione di consumatore od utente è strettamente connessa al profilo negoziale nel quale si concretizza il requisito negativo dell’agire “per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale”.Vale la pena segnalare inoltre che ai fini dell’esperibilità della tutela ex art. 140 bis non l’intero gruppo delle vittime deve essere costituito da consumatori (12). Ed è evidente il perché. La diversa interpretazione finirebbe per escludere il rimedio per tutte quelle ipotesi – presumibilmente le più frequenti – nelle quali la medesima condotta reca danno a gruppi eterogenei di soggetti, tra i quali vi sono anche consumatori od utenti; né la norma contiene alcun riferimento dal quale poter desumere una diversa lettura.Si è già detto che, quanto alla controparte, il 140 bis si esprime in termini di “impresa” e non di “professionista”, quest’ultimo definito nell’art. 3 lett. b) cod. cons. come “la persona fisica o giuridica che agisce nell’esercizio della propria attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale, ovvero un suo intermediario” (così modificato dal d. lgs. 23 ottobre 2007 n. 221).Tale differenza terminologica ha condotto parte della dottrina a ricostruire l’impresa (e dunque l’imprenditore) quale sottoinsieme della più ampia categoria di “professionista”, legittimando così l’esclusione dall’ambito applicativo dell’art. 140 bis delle condotte dei non imprenditori, in primis gli esercenti le professioni liberali e le pubbliche amministrazioni che agiscono al di fuori dell’attività imprenditoriale(13) . Ove si accogliesse questa lettura, è appena il caso di precisare che il requisito in discorso deve essere interpretato nel senso oggettivo di attività e non di ente strutturalmente deputato al relativo esercizio; si pensi, per esempio, agli enti non lucrativi – con o senza personalità giuridica – che esercitano attività di impresa in via accessoria (14).Da altri si è invece rilevato come il rinvio all’impresa debba intendersi nel senso di professionista, in conformità al contenuto dell’art. 3, recentemente modificato (15). Ed è questa l’interpretazione che appare preferibile, sebbene la formulazione normativa sembri avere fatto consapevolmente riferimento all’impresa in senso tecnico, come risulta, in particolare, dalla competenza territoriale per la quale si richiama il concetto di “sede” (16). In considerazione di quanto osservato, è opportuno che il legislatore intervenga con maggiore chiarezza per evitare ogni ambiguità su un aspetto così determinante.Infine, occorre domandarsi se il rimedio in analisi possa estendersi fino a ricomprendere la tutela del risparmiatore quanto alla collocazione sul mercato di strumenti finanziari. La dottrina che si è pronunciata non appare univoca, non foss’altro perché la questione richiede una chiarificazione in ordine al contesto sistematico ed all’ambito applicativo della norma. Vi è infatti chi tenta, non senza perplessità, di ricondurre l’ipotesi de qua nell’ambito delle pratiche commerciali scorrette richiamate dall’art. 140 bis (17).A nostro avviso, la tutela collettiva in analisi può essere esperita anche nell’ambito dei mercati finanziari: l’esigenza di fondo è quella di attenuare le asimmetrie informative tra impresa e singolo investitore e tutelarne la libertà di informazione. Né la collocazione sistematica dell’art. 140 bis appare ostativa, come conferma altresì la natura di rimedio e, dunque, di risposta a bisogni qualificati di tutela: già il contenuto della norma manifesta la propria vocazione espansiva, avvalorata, del resto, dall’autonoma rilevanza del titolo II, rubricato “Accesso alla giustizia”.Resta pur sempre il limite soggettivo, da più parti criticato quale espressione di un approccio limitato al consumerism, relativo alla figura del consumatore persona fisica. A tale riguardo, un sentiero ancora poco esplorato – sebbene ricco di spunti e che in questa sede non possiamo che limitarci a segnalare – è quello che si avvia in direzione di un confronto con le recenti modifiche apprestate dall’attuazione nel nostro ordinamento (d. lgs. 164/2007) del sistema di derivazione comunitaria (c.d. MiFID), con particolare riferimento all’articolazione della figura del cliente, quale “persona fisica o giuridica alla quale vengono prestati servizi di investimento o accessori”. In questo contesto, infatti, si prescinde dalla natura (persona fisica o giuridica) del cliente per attribuire rilievo alla specifica competenza ed esperienza in materia di operazioni in strumenti finanziari, valutata attraverso parametri il più possibile obiettivi. Sono tre infatti le tipologie di clientela (controparti qualificate; clienti professionali – privati e pubblici; di diritto o su richiesta – e clienti al dettaglio): a ciascuna di esse corrisponde una precisa graduazione degli obblighi informativi e di condotta in testa all’intermediario (18) .Ad ogni buon conto, sebbene sia possibile ricostruire in via interpretativa l’estensione del rimedio in analisi a tutela del risparmiatore, è auspicabile che il legislatore non perda l’occasione per prendere una posizione chiara al riguardo.Per quanto concerne l’ambito di applicazione oggettivo, l’art. 140 bis individua quattro categorie di rapporti giuridici rilevanti: quelli relativi a contratti stipulati ai sensi dell’articolo 1342 c.c., quelli conseguenti ad “atti illeciti extracontrattuali”, a pratiche commerciali scorrette o a comportamenti anticoncorrenziali. Ad eccezione delle pratiche commerciali scorrette, nessuna delle categorie indicate trova la propria disciplina nel codice del consumo, né i rispettivi ambiti di applicazione coincidono. Partiamo dal primo aspetto.Il riferimento all’art. 1342 c.c. ha sollevato ampie perplessità non foss’altro perché circoscrive l’ambito applicativo ai contratti predisposti mediante moduli o formulari (19); di contro, la disciplina di cui agli artt. 33 ss. cod. cons. riguarda le clausole vessatorie nei contratti – appunto – con i consumatori a prescindere dalla circostanza che il contratto sia concluso con detta modalità. Il significato e la ratio di tale limitazione appaiono oscuri a meno che non la si interpreti quale rinvio ad una determinata modalità di conclusione del contratto e purchè sia integrato il requisito soggettivo (consumatore o utente). Si tratta, tuttavia, di una lettura del tutto insoddisfacente poiché esclude l’esperibilità del rimedio al settore delle condizioni generali di contratto e, più ampiamente, a tutte quelle contrattazioni nelle quali manca il ricorso a moduli o formulari (20). Le consistenti perplessità che solleva l’attuale formulazione dell’art. 140 bis evidenziano la necessità di un intervento del legislatore volto ad espungere siffatto rinvio, ingiustificatamente restrittivo.Ad ogni modo, è forse possibile avanzare un’interpretazione diversa che si sforzi di leggere nel richiamo all’art. 1342 una ragione giustificatrice fondata e pregnante. A tal fine occorre superare la lettura in termini di necessaria connessione con quella specifica modalità di confezione dei contratti: non è alla circostanza che vi sia il “fatidico modulo o formulario” (21) che il legislatore del 140 bis si rivolge, ma ad un altro elemento che spicca nella previsione codicistica, ovvero che si tratti di strumenti “predisposti per disciplinare in maniera uniforme determinati rapporti contrattuali”. E’ questo il riferimento sul quale occorre concentrare l’attenzione (nell’attesa di vedere gli esiti dell’auspicata riforma dell’inciso in oggetto) e che, a ben vedere, si pone in coerenza con il carattere seriale del rimedio: la lesione di diritti isomorfi presuppone il pregiudizio a diritti individuali della medesima natura, circostanza che, nell’ambito contrattuale, si giustifica alla luce di una pluralità di rapporti contrattuali uniformi. In altre parole, non è la specifica modalità (ricorso a moduli o formulari) di redazione del contratto a rilevare, quanto l’idoneità a disciplinare “in maniera uniforme determinati rapporti contrattuali”.Per quanto concerne i fatti illeciti, la formulazione normativa è estremamente ampia. Il riferimento è alla sola fonte della responsabilità (atti illeciti extracontrattuali) ed è dunque idoneo a comprendere la lesione di ogni tipologia di interesse giuridicamente rilevante, quali che siano i criteri di imputazione ed il danno risarcibile. Tale apertura solleva alcune perplessità con riguardo ai criteri applicativi soggettivi. Per un verso, in aderenza al dettato normativo deve trattarsi di fatti illeciti occasionati nell’esercizio della attività di impresa. Dal punto di vista del danneggiante, dunque, è agevole individuare quelle condotte lesive di interessi tutelati riconducibili all’esercizio dell’attività imprenditoriale e rilevanti ai fini del rimedio di cui all’art. 140 bis (22). Più problematico, invece, è il criterio di individuazione del danneggiato. Si è già detto infatti che nell’ipotesi di responsabilità aquiliana contemplata nel codice del consumo è possibile prescindere dallo status di consumatore.Infine, il riferimento è alle pratiche commerciali scorrette ed alle condotte anticoncorrenziali (23) . Le potenzialità della tutela collettiva risarcitoria nelle ipotesi di danno per violazione delle norme antitrust sono ben comprese anche a livello comunitario (24) come risulta dal Libro Bianco adottato dalla Commissione il 2 aprile 2008 (COM(2008) 165 definitivo) e, ancor prima, dal Libro verde del 2005 ove già si era segnalata l’inadeguatezza degli strumenti di tutela a fronte degli ostacoli giuridici e procedurali frapposti dalle norme statuali. Ebbene, tale consapevolezza non è affatto venuta meno, ed è per questo che l’obiettivo primario del Libro bianco è ravvisato nel “migliorare i termini giuridici in base ai quali le vittime possono esercitare il diritto, loro garantito dal Trattato, al risarcimento di tutti i danni subiti in conseguenza della violazione delle norme comunitarie antitrust. Il risarcimento completo è dunque il primo e più importante principio guida”.Ai fini che qui interessano, la Commissione segnala molto chiaramente l’emergere di un bisogno insoddisfatto di tutela connesso alla diffusa inerzia dei danneggiati (siano essi singoli consumatori o piccole imprese) nell’intentare azioni individuali per il risarcimento di danni di valore relativamente basso, a causa dei costi e delle incertezze che ne derivano: ciò richiede il potenziamento di meccanismi che consentano l’aggregazione delle singole istanze. Allo scopo di affrontare in modo razionale tali inefficienze, si propone di combinare due meccanismi complementari di azione collettiva: “le azioni rappresentative, intentate da soggetti qualificati, quali associazioni dei consumatori, organismi statali o associazioni commerciali, a nome di vittime identificate o, in casi piuttosto limitati, identificabili” (25); ed azioni collettive con modalità opt-in.3. LE SITUAZIONI GIURIDICHE TUTELATE: DIRITTI INDIVIDUALI E “INTERESSE COLLETTIVO DEI CONSUMATORI”.La qualificazione delle situazioni giuridiche protette dal meccanismo di tutela collettiva risarcitoria è senza dubbio una delle problematiche maggiormente dibattute, la quale, al contempo, si innesta nel vivace dibattito che investe la dottrina sostanziale e processuale non appena ci si discosta dallo schema classico dell’azione individuale, verso la dimensione del ‘collettivo’(26) . Si tratta inoltre di un’analisi di fondo la cui impostazione si irradia nella ricostruzione dell’intero istituto, dall’oggetto del processo alla natura giuridica del soggetto legittimato ad agire, all’efficacia del giudicato e così via.Le opinioni sono assai diversificate, sebbene sia possibile reperire alcune principali ricostruzioni, con conseguenze affatto antitetiche. Del resto, la formulazione ambigua della norma legittima il florilegio di posizioni dottrinarie che si sono sviluppate: l’art. 140 bis da un lato pone quale oggetto di tutela gli “interessi collettivi” del consumatore (commi 1 e 2), dall’altro, richiama il “diritto al risarcimento del danno ed alla restituzione delle somme spettanti ai singoli consumatori”, evocando posizioni soggettive individuali. Tuttavia ad un’analisi attenta (che tenga in adeguato riguardo la ratio e la funzione del rimedio) è agevole scorgere la ricostruzione più convincente.Gli orientamenti che si contendono il campo riconducono l’oggetto del giudizio all’accertamento della questione a rilevanza superindividuale della illiceità della condotta, ai diritti individuali dei consumatori e utenti, o, ancora, agli interessi collettivi fatti valere dall’ente.Secondo alcune voci dottrinarie, il rimedio in analisi non concerne i diritti dei singoli consumatori o situazioni soggettive individuali che si assumono lese da un comportamento plurioffensivo del professionista, quanto l’interesse collettivo della categoria del quale è portatore l’ente legittimato ad agire (27) .Si contesta l’idea che oggetto dell’azione risarcitoria siano diritti individuali introdotti nel processo tramite il meccanismo dell’adesione (o dell’intervento), cuore del modello opt in (28). Le argomentazioni sulle quali poggia questo orientamento sono sostanzialmente tre. Vediamole. La prima si innesta sulla figura della adesione per rilevare come quest’ultima sia del tutto irrilevante ai fini dell’azione: pertanto, si osserva, oggetto del processo non possono essere diritti individuali dei consumatori dai quali il procedimento prescinde in toto. La domanda riguarda invece “l’affermazione di un illecito plurioffensivo e la richiesta al giudice di accertare sia che esso si è verificato, sia la sua imputabilità al professionista convenuto” (29).Tale circostanza è colta altresì sotto il profilo soggettivo, rectius della legittimazione ad agire. L’art. 140 bis e segnatamente il comma 2 non contiene alcuna previsione idonea a condizionare la procedibilità della domanda alla presenza di adesioni, né – si osserva – il terzo comma è atto a contenere nella preliminare valutazione di ammissibilità la verifica della consistenza delle adesioni. Del resto, il sistema è concepito in modo tale che la maggior parte delle adesioni pervengano dopo la pubblicità dei contenuti dell’azione proposta e, dunque, dopo la conclusione di quel giudizio di ammissibilità (30).Si evidenzia, infine, la sostanziale inutilità dello strumento dell’intervento qualora oggetto del processo fossero i diritti individuali degli aderenti. Sicchè la sola interpretazione in grado di distinguere le due figure – intervento e adesione – è quella che ravvisa nella prima la natura di intervento innovativo attraverso il quale i singoli fanno valere i loro diritti individuali connessi per titolo, derivando le proprie pretese dallo stesso fatto illecito ed arricchendo l’oggetto del processo. Gli interventori, dunque, diventano parti del giudizio e sono legittimati ad esercitare i corrispondenti poteri processuali (31).Il terzo argomento è tratto dalla formulazione del quinto comma in ordine all’efficacia del giudicato e in particolare da quell’”anche” dal quale si desume che la sentenza “debba evidentemente far stato “prima” per qualcun altro e, inevitabilmente, “su qualcosa d’altro”. Si tratterebbe in altri termini “di una disposizione accrescitiva di un’efficacia del giudicato”, volta semplicemente a “specificare che gli aderenti sono comunque soggetti al giudicato collettivo, sia esso favorevole sia esso sfavorevole”, a differenza dei consumatori non aderenti, i quali possono avvalersi del giudicato favorevole e non sono invece soggetti a quello sfavorevole.Insomma, se il processo collettivo si può celebrare anche in mancanza di adesioni, “l’individuazione dell’oggetto del giudizio e del giudicato deve sempre prescindere da esse e quindi detto oggetto non sta mai nei diritti individuali dei consumatori” quanto nell’accertamento delle questioni comuni (ovvero il verificarsi dell’illecito plurioffensivo e la sua imputabilità al convenuto), restando al di fuori della sentenza le questioni personali attinenti sia alla quantificazione sia all’an debeatur (32).In questo contesto si pone altresì l’orientamento che individua quale oggetto della domanda non tanto “la condanna dell’impresa responsabile dell’illecito al risarcimento del danno, né a favore dell’associazione, né a favore dei singoli danneggiati, bensì l’accertamento del diritto al risarcimento del danno e alla restituzione di somme spettanti ai singoli consumatori e utenti, senza la possibilità di richiederne anche la liquidazione” (33). Ciò implica, da un canto, che l’adesione non amplia l’oggetto della domanda, dall’altro, che l’intervento da luogo ad una domanda avente lo stesso oggetto di quella proposta dall’ente e, non, invece ad una domanda risarcitoria autonoma pur fondata sul medesimo titolo.Altra dottrina rileva come oggetto dell’azione collettiva risarcitoria sia una situazione sostanziale che non coincide né con i diritti dei consumatori e utenti, né con la mera questione giuridica, “bensì con «l’interesse collettivo» o gli «interessi collettivi dei consumatori e utenti» per la tutela dei quali l’azione stessa è proposta” (34). Detti interessi consistono, più precisamente, nella “proiezione, in una dimensione superindividuale, dei diritti soggettivi individuali” e “godono della medesima natura (sostanziale) di questi ultimi”. Ciò da vita all’accertamento di una situazione sostanziale (gli «interessi collettivi») a dimensione superindividuale, che, a sua volta, “opera come accertamento sulla fattispecie dalla quale traggono origine i diritti dei singoli (aderenti e intervenuti)”.Per converso, l’orientamento più convincente reperisce l’oggetto dell’azione collettiva risarcitoria nel diritto soggettivo individuale dei consumatori (o utenti) aderenti. Dunque, non si tratta né di interesse collettivo (assimilato o meno ad un diritto soggettivo), né di accertamento delle questioni comuni (il verificarsi dell’illecito plurioffensivo e la sua imputabilità al convenuto), quanto invece di interessi individuali ancorché omogenei; singoli crediti risarcitori e restitutori la cui tutela in giudizio può avvenire sia in forma individuale – nelle forme ordinarie – che collettiva attraverso il meccanismo di cui all’art. 140 bis. Netta risulta dunque la differenza rispetto alla domanda collettiva inibitoria ex art. 140 cod. cons., a tutela di interessi superindividuali (35).Le argomentazioni a fondamento di questa analisi sono di ordine letterale ed ermeneutico. In primo luogo, il riferimento di cui al primo comma all’“accertamento del diritto al risarcimento del danno e alla restituzione delle somme spettanti” ai soggetti aderenti alla domanda: si tratta di una previsione che si pone coerentemente nell’alveo dell’art. 2909 c.c. e pertanto esclude che oggetto del processo sia il solo accertamento della questione relativa alla illiceità della condotta plurioffensiva del convenuto.Il secondo rilievo fa leva sul potere di azione. Come indicato, il singolo consumatore ha facoltà di scegliere se esercitare l’azione in forma individuale ovvero collettiva, attraverso lo strumento dell’adesione quale mandato con rappresentanza all’associazione o al comitato attore, che quindi agisce come rappresentante processuale volontario. Ebbene, “in entrambi i casi, oggetto del giudicato sono i crediti risarcitori e restitutori dei singoli” ed “in entrambi i casi il potere di azione è dei singoli”, nonostante nella tutela collettiva questo sia schermato dalla attività dell’associazione alla cui iniziativa il consumatore può aderire (36). Se così è, la legittimazione attiva attribuita alle associazioni diventa l’esito di una scelta contingente, come risulta dall’apertura contenuta nel secondo comma ai comitati. La tutela processuale degli interessi individuali omogenei va dunque tenuta distinta da quella degli interessi superindividuali, per i quali la legittimazione delle associazioni assurge invece ad elemento strutturale e tipizzante.Infine, la tesi è supportata da considerazioni di carattere comparato. I modelli di tutela collettiva (dalla class action statunitense al processo modello tedesco (37)) in materia di interessi individuali omogenei e di oggetto del processo e del giudicato confermano che al centro vi sono i diritti dei singoli.Dunque, l’azione risarcitoria da vita ad una particolare figura di litisconsorzio facoltativo efficacemente definito “aggregato” ove l’azione promossa dall’ente collettivo è finalizzata a “catalizzare e gestire cumulativamente singole pretese di soggetti lesi” che danno luogo, appunto, ad una aggregazione di azioni seriali (le adesioni) tese a far valere crediti risarcitori o restitutori nei confronti dell’impresa (38). Il processo comprende altresì le questioni comuni alle pretese dei singoli quale “punto di equilibrio tra la previsione di un canale sempre aperto alle adesioni e il diritto di difesa del convenuto” (39).Insomma, il richiamo agli interessi collettivi contenuto nella norma non è finalizzato a creare una nuova categoria di interessi tutelati intermedia tra interessi collettivi ed individuali, ma delimita solo la legittimazione ad agire: gli interessi protetti restano “i diritti individuali purchè violati in danno ad una pluralità di consumatori e utenti”. Si tratta, dunque, di una nuova forma di tutela di interessi già tutelati individualmente dall’ordinamento ed affidata ad un sistema collettivo (40).Ad ogni modo, l’adesione all’una o all’altra teoria conduce a conseguenze profondamente diverse, a partire dal contenuto della sentenza in caso di accoglimento della domanda. Per coloro che negano che oggetto del processo siano diritti individuali questa sarà solo di mero accertamento e non di condanna (41).Una posizione articolata e al contempo equilibrata e coerente con la finalità del rimedio è accolta da chi osserva come il processo collettivo debba tendenzialmente concludersi “con una sentenza di accertamento ovvero con una sentenza di condanna, in entrambi i casi con riserva delle eccezioni personali”(42). Più precisamente, si tratterà di una condanna provvisionale (con riserva delle eccezioni di merito individuali) ove il giudice – qualora sia possibile allo stato degli atti – determini «la somma minima da corrispondere a ciascun consumatore o utente»; o, anche, di condanna piena in relazione alle domande proposte dai soggetti in via litisconsortile.4. LA LEGITTIMAZIONE AD AGIRE.Ai sensi del primo e secondo comma dell’art. 140 bis sono legittimati ad agire a tutela degli interessi collettivi dei consumatori e degli utenti le associazioni di cui al comma 1 dell’articolo 139 cod. cons. nonché le associazioni ed i comitati “adeguatamente rappresentativi degli interessi collettivi fatti valere”.Ai fini che qui interessano appare opportuno mantenere tale duplice articolazione, che ritroviamo altresì nell’architettura della norma (43), non foss’altro per le differenze in ordine alla individuazione ed alle conseguenze disciplinari.Iniziamo dalla prima categoria: le associazioni dei consumatori e degli utenti inserite nell’elenco di cui all’art. 137 cod. cons.Il rinvio contenuto nella norma è circoscritto al primo comma dell’art. 139; pertanto devono intendersi privi di legittimazione attiva “di diritto” gli organismi pubblici indipendenti nazionali, nonché le organizzazioni riconosciute in un altro Stato membro dell’Unione inserite nell’apposito elenco degli enti pubblicato nella gazzetta Ufficiale delle Comunità europee (44). Sono già emerse perplessità in ordine all’esclusione degli enti di cui al comma 2 dal novero dei soggetti per i quali è escluso il vaglio giudiziale di rappresentatività. In realtà la scelta normativa non appare criticabile se si pone mente alla estensione della legittimazione ad agire e, corrispondentemente, alla centralità che assume nel contesto della norma la concreta valutazione giudiziale.Tornando agli enti legittimati “di diritto”, il riferimento presenta minore problematicità, trattandosi di quelle associazioni rappresentative a livello nazionale inserite nell’apposito elenco istituito presso il Ministero delle attività produttive e, precisamente, presso la Direzione Generale per l’armonizzazione e la tutela del mercato (45). E’ poi il secondo comma dell’art. 137 a sancire in modo preciso ed oggettivamente valutabile i requisiti necessari per l’iscrizione nel detto registro, sui quali, peraltro, è di recente intervenuta una pronuncia del Consiglio di Stato ad offrire ulteriore chiarezza (46): dalla forma di costituzione, al numero degli iscritti, alla tenuta di scritture contabili, fino alla professionalità, affidabilità ed assenza di conflitti di interesse dei rispettivi rappresentanti legali (47). Si tratta di prerogative stringenti che escludono o comunque limitano la valutazione giudiziale nel merito della rappresentatività dell’associazione.Nel sistema del rimedio inibitorio di cui all’art. 140 cod. cons., l’obiettività dei parametri ex ante, e la valutazione semplificata rimessa al giudice ex post (il quale si limita a verificare l’inserimento dell’associazione agente nell’apposito elenco), sono state accolte con favore in dottrina quali requisiti atti a garantire certezza in ordine alla legittimazione e rapidità nel procedimento, consentendo di evitare le distonie di una valutazione caso per caso (48). Nondimeno, il carattere obiettivo e stringente dei criteri sanciti ex lege ha spinto ad individuare un vero e proprio diritto soggettivo delle associazioni all’iscrizione presso il registro, ove siano integrati i requisiti (49); d’altra parte si propende a qualificare il procedimento de quo in termini di accertamento costitutivo di talché, ai fini della valutazione giudiziale, la legittimazione attiva consegue alla verifica dell’inserimento dell’attore nell’apposito elenco (50). Non rientra dunque nel potere del giudice verificare la presenza effettiva dei requisiti legali – e dichiarare la legittimazione ad agire – indipendentemente dall’iscrizione nell’elenco.La rigidità dei presupposti normativi, nella tutela collettiva risarcitoria, è superata dall’estensione contenuta nel secondo comma dell’art. 140 bis.Grande interesse ha sin da subito destato il riferimento che estende la legittimazione attiva ad altri enti, nella forma di associazioni e comitati, purchè “adeguatamente rappresentativi degli interessi collettivi fatti valere”, spezzando così il monopolio dell’azione in testa ai soggetti sopra indicati. E’ un’apertura salutata dal plauso pressoché unanime della letteratura ed introdotta in extremis, tramite un emendamento presentato nel corso dell’ultima sessione dei lavori parlamentari alla Camera che hanno portato all’approvazione del testo normativo nel dicembre 2007 (51). La dottrina, infatti, all’indomani dell’approvazione della norma, ha concordemente rilevato l’opportunità della scelta legislativa che consente di superare gli angusti limiti sanciti per il rimedio inibitorio, senza al contempo dilatare eccessivamente il sistema legittimando i singoli membri ad esperire l’azione, con rischi di abuso (52).Ad ogni modo, quanto i criteri di legittimazione prima analizzati si caratterizzano per una intrinseca rigidità (ma anche obiettività e certezza), tanto la previsione in oggetto schiude nuovi scenari, ancora da approfondire. Il legislatore prescinde dal requisito della rappresentatività di ordine nazionale e, soprattutto, dalla necessità della iscrizione nel registro.I vantaggi che ne derivano sono evidenti non foss’altro per l’attribuzione della legittimazione attiva ad enti con rilievo locale (53) o, comunque, rappresentativi di una classe determinata di consumatori ed utenti – seppur sufficientemente numerosa, come vedremo – o, ancora, sorti ad hoc per esperire l’azione in giudizio. Al riguardo non si può che concordare con chi ammette la legittimazione ad agire – fermo il giudizio di adeguata rappresentatività – in testa a quegli enti sorti in conseguenza del verificarsi dell’illecito con la finalità di reagire contro di esso (54).Non solo; la norma si pone in coerenza con il diritto “fondamentale” sancito all’art. 2 comma 2 “alla promozione e allo sviluppo dell’associazionismo libero, volontario e democratico tra i consumatori e gli utenti”, diritto che già assurge al rango di posizione fondamentale nella nostra Carta costituzionale (art. 18) (55). Non può negarsi che la formulazione dell’art. 140 bis, e segnatamente il comma 2, contribuisca al rafforzamento ed alla concreta realizzazione di tale diritto, auspicata e perseguita dal legislatore come risulta dai riferimenti alla “promozione” ed allo “sviluppo”, oltre, dunque, il semplice riconoscimento.Anche a tal riguardo, a nostro avviso, merita considerazione l’estensione apprestata dal punto di vista della forma giuridica rivestita dall’attore: associazioni (riconosciute o meno), ed anche comitati. Questi ultimi rappresentano una tipologia di ente che si contraddistingue per la struttura semplice e snella, sicchè risulta agevolata l’unione di soggetti finalizzata all’esperimento della tutela. D’altra parte, la valutazione preventiva di ammissibilità è in primo luogo diretta ad arrestare sin da subito pretese collettive inconsistenti ed esercitate da soggetti non adeguatamente rappresentativi, ciò a fronte dell’incidenza negativa di tali azioni sulla reputazione dell’impresa convenuta.Fin qui, le utilità della scelta legislativa. Tuttavia, non vanno sottaciute le difficoltà nelle quali ci si imbatte quando si passa al concreto realizzarsi della norma in un contesto che sia il più possibile organico e coerente, nonché coordinato con l’iter processuale.Orbene, l’unico, fondamentale parametro consiste nella “adeguata rappresentatività” dell’ente. Ed occorre soffermarsi sul relativo significato. Gli interrogativi ai quali tentiamo di fornire risposta sono i seguenti: i criteri alla luce dei quali il giudice è chiamato a verificare l’adeguatezza della rappresentatività dell’ente; le conseguenze in caso di valutazione negativa e, soprattutto, la possibilità di inquadrare tale giudizio in quello preliminare di ammissibilità; nonché la qualifica di ordine processuale del meccanismo di legittimazione.Quanto al primo aspetto, si tratta di stabilire i parametri ai quali può fare ricorso il giudice per formare il proprio convincimento senza, d’altra parte, appiattire la valutazione su quella – che possiamo definire oggettiva – circa l’esistenza di un interesse collettivo suscettibile di adeguata tutela. La dottrina che si è interessata al problema non sembra avere delineato indici chiari.Sulla scorta delle esperienze applicative di altri ordinamenti, in primis quello statunitense, da alcuni si è individuato quale criterio di valutazione quello della adeguata solidità finanziaria dell’attore e, dunque, la sussistenza di risorse potenzialmente sufficienti ad affrontare il giudizio. Né, si osserva, la copertura costituzionale in ordine all’accesso alla giustizia (libero e garantito anche ai non abbienti, art. 24 Cost.) è tale da porsi come ostacolo a che il requisito della adeguatezza finanziaria condizioni l’esercizio della tutela collettiva, la quale – appunto – non esclude né limita l’accesso individuale, quest’ultimo garantito dalla Costituzione (56).Maggiore chiarezza anche ai fini dei parametri di valutazione proviene dal contesto nel quale si inserisce il giudizio. A nostro avviso, la valutazione di adeguatezza si assesta nella fase preliminare di verifica della non inammissibilità dell’azione (comma 3), pur non essendo espressamente riportata tra le relative cause normative (57). Essa infatti rappresenta uno dei due pilastri che sorreggono il vaglio in ordine alla “esistenza di un interesse collettivo suscettibile di adeguata tutela” (comma 3), insieme alla “proporzionalità” ed adeguatezza dell’azione in forma collettiva in considerazione della pluralità dei soggetti lesi (58). Dunque, sede deputata alla verifica giudiziale di adeguatezza della rappresentatività è la prima udienza, quando il tribunale, sentite le parti ed assunte ove occorra sommarie informazioni, pronuncia sull’ammissibilità della domanda con ordinanza reclamabile davanti alla corte di appello. Tale orientamento ha peraltro il pregio di inquadrare e sistematizzare correttamente il giudizio (59). Né, d’altra parte, si tratta di valutazioni coincidenti: il concetto stesso di adeguata rappresentatività implica un’indagine di natura soggettiva da effettuare con riguardo all’attore e le sue caratteristiche. Ecco che, se la norma sembra escludere dal vaglio giudiziale il numero e la consistenza delle adesioni, la componente soggettiva dell’indagine riguarda l’ente, lo scopo che lo caratterizza, la regolare costituzione ed altresì la capacità finanziaria ai fini del procedimento (60). Parametri da valutare in modo elastico tenendo conto altresì delle risorse delle quali l’associazione o il comitato potrà potenzialmente godere.Altra dottrina ha rilevato come l’eventuale mancanza di adeguata rappresentatività non dia luogo ad un provvedimento endoprocessuale autonomo, né ritiene giustificata l’applicazione del procedimento di cui al comma 3 della norma: la valutazione di adeguatezza è ricostruita quale questione passibile di definire il giudizio e, dunque, impugnabile in via ordinaria. Siffatta interpretazione, nell’escludere la valutazione in discorso dall’oggetto del giudizio di ammissibilità, rischia di trasformarsi in una “mina vagante per tutto il corso del procedimento”. La questione, infatti, sarebbe trattata secondo le regole generali e, dunque, la carenza di legittimazione rilevabile in ogni stato e grado del processo (61).La problematica non può dirsi esaurita senza un cenno all’incidenza ed al ruolo dell’adesione ai fini della legittimazione attiva. L’art. 140 bis nella formulazione attuale non precisa se al momento del giudizio di ammissibilità debbano esservi adesioni e in quale numero; d’altra parte, la norma è chiara nel legittimare tali atti in fasi successive del procedimento, fino all’udienza di precisazione delle conclusioni in sede di appello (62). E’ proprio questa ampia dilatazione temporale ad avere suscitato perplessità, invero giustificate. La ratio è quella di agevolare l’adesione da parte del maggior numero possibile di consumatori ed utenti lesi, con l’obiettivo di estendere gli effetti del giudicato ed altresì ridurre il contenzioso sul medesimo illecito. Purtuttavia la dottrina più attenta ha osservato l’irrazionalità della formulazione considerato che detto obiettivo avrebbe potuto essere efficacemente realizzato attraverso la previsione di un termine breve decorrente, per esempio, dalla pubblicità del contenuto dell’azione (63). Vi è di più: la scelta legislativa apre a complicazioni ed appesantimenti affatto secondari ed impone un bilanciamento con la tutela del diritto di difesa del convenuto. I diritti isomorfi – insieme alle questioni comuni – presentano aspetti personali che possono incidere sui criteri di quantificazione, sull’an della responsabilità del convenuto e l’illiceità della condotta oggetto della pronuncia collettiva. Un’adesione comunicata in fase avanzata del procedimento fa sì che il Tribunale debba affrontare temi nuovi, non foss’altro perché amplia l’oggetto del giudizio alle questioni inerenti la situazione personale di quell’aderente. Di qui il rischio di irragionevoli rallentamenti del processo (64).D’altra parte, alla frammentazione della facoltà di aderire deve corrispondere la possibilità per il convenuto di opporre a ciascun aderente, nella fase di liquidazione del quantum, le rispettive eccezioni personali. “Il punto di equilibrio” è ravvisato nell’opportunità che il procedimento si concluda con una sentenza di accertamento di condanna, con riserva delle eccezioni personali (65).Nell’alveo delle problematiche che scaturiscono dalla estensione temporale dell’adesione si colloca altresì l’astratta possibilità che il procedimento abbia inizio e la domanda sia proposta in mancanza di adesioni (66). La formulazione della norma infatti non esclude questa eventualità, non essendovi alcun indice dal quale risulti che l’adesione (o un numero minimo delle stesse) condizioni la procedibilità dell’azione collettiva.La questione nella riflessione della dottrina più attenta vede ridotta la propria portata problematica: se è possibile l’assenza di adesioni individuali al momento dell’instaurarsi del processo, non lo è più in sede di giudizio di ammissibilità (67), quando – come precisato – deve sussistere un numero di adesioni sufficiente, secondo un canone di proporzionalità, ad attivare la tutela collettiva. La fattispecie è così ricostruita alla stregua di un rapporto processuale per parte da nominare e la situazione di pendenza “è destinata a sciogliersi” in sede di giudizio di ammissibilità (68). 5. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE.Si è già detto come la letteratura – civilistica e processualcivilistica – che all’indomani della riforma ha affrontato il tema ha mostrato di far propria un’ampia articolazione di orientamenti, assai diversificati (una letteratura, appunto, “di interrogativi” (69)). Al contempo, l’auspicio formulato è che si pervenga a ricostruzioni e modalità operative il più possibile uniformi: sarà fondamentale, a tal fine, un efficace intervento da parte del legislatore, al quale faccia seguito l’azione propositiva della giurisprudenza. Del resto, è l’attuale formulazione della norma a dare adito ad interpretazioni diverse(70), finanche antitetiche, non tanto su aspetti marginali, quanto sul cuore pulsante dell’istituto.Nondimeno, l’interesse ed il valore del nuovo istituto sono di tutta evidenza, al pari delle funzioni che assolve (71) e del ruolo che va ad assumere negli equilibri sistematici e nei meccanismi di tutela. Ed è in questo senso che può parlarsi – come correttamente e precisamente si è fatto – di “rimedio”, evocando così la pregnanza di un dibattito che impegna la civilistica più sensibile (72).In questo senso non si può non accogliere con convinzione il monito di chi auspica l’abbandono di quegli approcci che si ergono su ostacoli concettuali e mentali, forieri di difficoltà di comunicazione tra studiosi di diritto processuale e sostanziale (73); in primis nell’ambito della tutela collettiva ove le analisi si intrecciano. Tale prezioso avvertimento trova concretizzazione in due direzioni: verso un avvicinamento ed un confronto costruttivo della letteratura su fondamenti ermeneutici analoghi; e, al contempo, una evoluzione per così dire “interna” ai due ambiti (processuale e sostanziale) convergente verso tale obiettivo. Detta evoluzione si traduce nell’un caso nel superamento della logica della fattispecie quale criterio ricostruttivo primo nell’inquadramento dell’oggetto del processo, verso una “apertura calibrata” allo “scopo oggettivo che, nella situazione concreta in cui si trova il soggetto, sorregge la sua azione giudiziale”. L’analisi va così condotta al di là della “considerazione meramente strutturale, statica, rigida, atemporale dell’oggetto del processo”, che si concretizza in “uno sforzo teso a rispondere solo alla domanda relativa al «che cosa» è dedotto in giudizio in termini di teoria della fattispecie”, verso l’apertura alla concreta dinamica delle attività protettive o lesive degli interessi umani, in contatto “con una realtà sostanziale dalle mille sfaccettature, dai mille colori cangianti”(74).D’altra parte, la migliore dottrina civilistica, come anticipato, ha accolto e perfezionato una metodologia di analisi attenta ai concreti bisogni di tutela che si manifestano e che non si traducono in posizioni giuridiche sostanziali nette e definite (75). La cifra dell’approccio rimediale risiede infatti nel prospettare forme di tutela che, sul piano sostanziale, vanno a riempire il vuoto che sussiste tra diritti e azioni, “raccordandosi direttamente a “bisogni di tutela” che insorgono al momento della violazione e che sovente non sono predicati a livello delle proposizioni normative primarie” (76). Si evidenzia così la funzione dell’ordinamento nel senso di fornire risposte a violazioni di situazioni giuridicamente protette. Ciò da vita ad un metodo che relativizza gli approcci di carattere formalista e concettuale (77) verso la comprensione fattuale delle regole operazionali che si celano dietro “la retorica dei diritti” (78), senza stravolgere gli schemi tradizionali: l’approccio rimediale “non incide sull’an della protezione ma solo delle sue modalità di applicazione della tutela più efficiente”, fornendo un “piano vigile e mobile di tutela adeguata” (79).Sullo sfondo vi è il principio costituzionalmente garantito (art. 24) di effettività della tutela ed il suo rilievo sia sul piano del fatto che su quello del diritto, posto che in caso di violazione il titolare dell’interesse “deve (poter) godere di mezzi di tutela che gli consentano di reagire alla violazione” (80), esigenza colta e rafforzata anche sul piano comunitario.Ebbene, la tutela collettiva è un settore nel quale i risultati di tali impostazioni assurgono a guida preziosa per orientare l’attività interpretativa e le scelte ricostruttive. L’approccio rimediale consente infatti di superare le ambiguità che ammantano i tentativi definitori, a fronte dell’emergere di un bisogno di tutela qualificato. Emblematiche sono le ipotesi sulle quali ci siamo soffermati (a partire dal problema delle situazioni giuridiche tutelate) con l’obiettivo di fare luce su alcuni aspetti nevralgici dell’istituto e, al contempo, evidenziare quelli che appaiono maggiormente problematici nel quadro della formulazione normativa, nella speranza che il “tormentato” iter della tutela collettiva risarcitoria pervenga ad un esito il più possibile convincente e razionale.______________________________________________________________________________________NOTE:(1) In Gazzetta Ufficiale n. 300 del 28 dicembre 2007.(2) Rectius, il decorso dei centottanta giorni corrisponde a sabato 28 giugno 2008. Trattandosi di norma processuale è da respingere l’applicazione retroattiva anche se, come lucidamente osservato, i dubbi che sono sorti in dottrina sono indicativi di come il nuovo istituto penetri “a fondo nel tessuto del diritto sostanziale”, rendendo effettiva “l’azionabilità di una vasta serie di diritti che in precedenza ne erano sostanzialmente privi” (R. Caponi, Litisconsorzio «aggregato». L’azione risarcitoria in forma collettiva dei consumatori, Riv. trim. dir. proc. civ., 2008, ).(3) Lo segnalano molti degli Autori che, a poche settimane distanza dell’entrata in vigore della norma, si sono sforzati di tirare le somme del dibattito dottrinario e delle incertezze che ne sono conseguite. Le espressioni utilizzate sono evocative dello stato di nebulosità che non può non incidere sulle prospettive applicative del rimedio.V. in particolare, C. Consolo, L’art. 140 bis: nuovo congegno dai chiari contorni funzionali seppur, processualcivilisticamente, un poco «Opera aperta», Foro it., 2008, il quale individua nell’art. 140 bis non “un dono da tanto atteso ma un puzzle, peraltro con un po’ di pazienza e di aderenza (nel senso cui testé alludevasi) largamente solubile”, un’«opera aperta» che attende l’attività interpretativa coerente.Ad avviso di R. Caponi, Una letteratura di interrogativi in attesa della giurisprudenza (ma la magistratura si è già mossa su più fronti), ivi, “l’art. 140 bis non si presenta tanto come testo definitivo, che attende unicamente una opera interpretativa de iure condito, pur munita di tutto l’arsenale ermeneutico contemporaneo. Sotto la pressione dell’urgenza del provvedere, determinata da una vicenda parlamentare rocambolesca, si profila piuttosto sotto i nostri occhi l’entrata in vigore di un’opera legislativa aperta”. (4) Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitivita’, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione Tributaria, in Gazzetta Ufficiale 25 giugno 2008, n. 147.(5) Ad avviso di autorevole dottrina (S. Chiarloni, Il nuovo articolo 140 bis del codice del consumo: azione di classe o azione collettiva?, in Studi in onore di Modestino Acone, di prossima pubblicazione) il nuovo istituto contiene due aspetti di estrinseca somiglianza con la class action, quali: la legittimazione estesa, di fatto, agli studi professionali e che il 140 bis riveste con l’“ipocrita” schermo del comitato (per la cui costituzione basta l’accordo di due soggetti); ed il giudizio preliminare di ammissibilità, assimilabile alla certification, seppur con ambito più ristretto. (6) v., in particolare, P. Rescigno, Sulla compatibilità tra il modello processuale della “class action” ed i principi fondamentali dell’ordinamento giuridico italiano, Giur. It., 2000, p. 2228, ad avviso del quale l’eventuale trasposizione del sistema statunitense della class action violerebbe gli artt. 24 e 111 Cost. In particolare il contrasto è rilevato nella estensione della decisione a soggetti che non hanno partecipato al procedimento. Manifesta dubbi di compatibilità anche S. Menchini, Azioni seriali e tutela giurisprudenziale: aspetti critici e prospettive ricostruttive, in www.judicium.it, con particolare riferimento ai principi dell’ordine pubblico processuale. (7) C. Consolo, Fra nuovi riti civili e riscoperta delle class actions, alla ricerca di una giusta efficienza, in Corr. giur., 2004, 5, pp. 565 ss. Tale Autore segnala come le class actions non si concretizzino nell’estensione dei limiti soggettivi del giudicato, violando così i principi costituzionali a tutela del diritto di difesa e del contraddittorio. Infatti, il meccanismo della certification giudiziale nonché l’individuazione di un class representative fa della classe una nuova entità, un soggetto a sé stante: pertanto la sentenza è resa nei confronti di tale soggetto. Di contro, come accennato nel testo, si ravvisa una incompatibilità con gli artt. 41 e 42 Cost. stante la costrizione del singolo all’esercizio del proprio diritto all’interno della classe, seppur attenuata dall’opt-out right.Favorevole all’introduzione di un meccanismo di out-put, V. Vigoriti, Impossibile la class action in Italia?, Resp. civ. prev., 2006, p. 38. (8) A. Giussani, Modelli extraeuropei di tutela collettiva risarcitoria, Riv. trim. dir. proc. civ., 2007, 4. p. 1257.ad avviso del quale “la possibilità di includere anche i componenti passivi del gruppo non appare incompatibile … né con lo stesso art. 24 Cost. (a meno di ritenere incostituzionali anche le varie ipotesi di sostituzione processuale già ora previste dalla legge), né con l’art. 41 Cost. (a meno di ritenere incostituzionali le procedure concorsuali), né con l’art. 101 Cost. (a meno di ritenere incostituzionale il vincolo conformativo del giudicato), finché essi siano comunque in limine litis individuati o almeno descritti in guisa tale da risultare individuabili, giusta la previsione del già vigente art. 150 c.p.c.; sembra quindi ovvio dedurne che il sistema dell’opt-out sia complessivamente preferibile”. Dello stesso Autore, v. altresì, Controversie seriali e azione collettiva risarcitoria, Riv. dir. proc., 2008, p. 465 ss.(9) A. Briguglio, L’azione collettiva risarcitoria (art. 140 bis Codice del Consumo) in ventuno domande e ventuno risposte, Torino, 2008, p.5, il quale rileva altresì che “il primo alveo, quello del Codice del Consumo e della tutela dei consumatori e utenti, è naturalmente ben più comodo e recettivo. Ma è chiaro a tutti che la nuova azione collettiva risarcitoria è ben altro, e ben altre e più incisive e preoccupanti problematiche prospetta, a petto delle azioni collettive puramente inibitorie già previste; soprattutto quanto agli effetti della sentenza ed ai rapporti fra tutela “collettiva” e tutela individuale”.(10) La limitazione alla sola persona fisica è stata oggetto di critiche; l’esigenza di protezione – corrispondente a una situazione di debolezza – si pone anche per enti o persone fisiche che contrattano con i professionisti (così in particolare L. Gatti, sub art. 1469 bis comma 2, in C.M. Bianca, F.D. Busnelli (a cura di), Commentario al capo XIV bis c.c.: dei contratti del consumatore, Padova, 1999.Ad ogni modo, la scelta legislativa è conforme alla giurisprudenza della Corte di Giustizia (da ultimo, CGCE, 22 novembre 2001, cause riunite C-541/99 e C-542/99, in Rep. Foro it., 2003, voce Contratto in genere, n. 333) e della Corte costituzionale (v. C. cost. 22 novembre 2002, n. 469, in Rass. Dir. civ., 2003, 4, p.967 ss., con nota di P. Violante, L’interpretazione conforme della nozione di consumatore.In tema, per tutti, G. Benedetti, tutela del consumatore e autonomia contrattuale, Riv. trim. dir. proc. civ., 1998, p. 21; E. Gabrielli, Sulla nozione di consumatore, Riv. trim. dir. proc. civ., 2003, p. 1163. (11) Salvo che, nell’ipotesi sub art. 123, ove con riferimento al danno risarcibile avvenuto a cose diverse dal prodotto difettoso purchè siano normalmente destinate “all’uso o consumo privato e così principalmente utilizzate dal danneggiato”. Al riguardo, F. Busoni, Sub artt. 114 ss., in Codice del consumo. Commentario, (a cura di) G. Vettori, Padova, 2007, p. 823 ss.: F. Cafaggi, La responsabilità dell’impresa per prodotti difettosi, in (a cura di) N. Lipari, Diritto privato europeo, Padova, 1997, p. 1008. (12) Lo rileva, A. Palmieri, Campo di applicazione, legittimazione ad agire e controllo preliminare sull’ammissibilità, Foro. It., 2008.(13) A. Palmieri, op. loc. cit.(14) In tema, P. Rescigno, Fondazione e impresa, in Riv. soc., 1967, p. 840 ss.; G. Campobasso, Associazione e attività di impresa, Studi in onore di Gaetano Cottino, Milano, 1997, p. 83. (15) R. Caponi, Litisconsorzio «aggregato». L’azione risarcitoria in forma collettiva dei consumatori, cit., il quale auspica che i giudici “estendano il campo di applicazione sic et simpliciter ai contratti dei consumatori”, anche per superare problemi di compatibilità con i principi costituzionali. In senso analogo anche D. Amadei, L’azione di classe italiana per la tutela dei diritti individuali omogenei, Giur. merito, 2008, 4, p. 940 ss.(16) D’altra parte, il riferimento normativo può giustificarsi alla luce dell’id quod plerumque accidit, essendo più frequente e probabile che la condotta lesiva sia posta in essere nell’esercizio dell’attività di impresa.(17) D. Amadei, op. ult. cit. (18) V. l’art. 6 comma 2 quinquies del T.u.f. (d.lgs. 58/1998), introdotto dal D. lgs.164/2007 che attribuisce alla Consob, sentita la Banca d’Italia, la competenza in ordine all’individuazione dei clienti professionali privati nonché i criteri per l’identificazione di quei soggetti che possono richiedere di essere trattati come tali. Il sistema si completa con le norme introdotte dal Regolamento Consob con delibera 16190 del 29 ottobre 2007 in tema di intermediazione.Al riguardo, sia consentito rinviare al nostro, ‘‘Operatore qualificato’’ nei contratti derivati: le incertezze della recente giurisprudenza e l’impatto della direttiva MiFID, Obbl. contr., 2008, 4, p. 341 ss.(19) V. G. Alpa, Class Action: note sull’art. 140 bis c. 1 del Codice del consumo, in www.altalex.com; R. Caponi, Litisconsorzio «aggregato». L’azione risarcitoria in forma collettiva dei consumatori, cit. il quale auspica che i giudici “estendano il campo di applicazione sic et simpliciter ai contratti dei consumatori”, anche per superare problemi di compatibilità con i principi costituzionali. (20) Nel senso della ingiustificata restrizione, v. A. Palmieri, op. ult. cit. il quale, avanzando una lettura ermeneutica, propone l’estensione della norma al di là del riferimento letterale; P.F. Giuggioli, L’azione collettiva risarcitoria: una prima lettura, in Corriere giur., 2008, 433. Cfr. altresì P. Buzzelli e M. Bona, in C. Consolo-P. Buzzelli-M. Bona, Obiettivo class action: l’azione collettiva risarcitoria, Milano, 2008, 77 ss., i quali, pur esprimendo perplessità al riguardo, accolgono un’interpretazione letterale della norma.(21) L’espressione è di A. Palmieri, op. loc. cit.(22) Del resto il problema della responsabilità aquiliana dell’impresa è stato oggetto di un interessante dibattito, nato nella letteratura gius-economica statunitense, in ordine all’opportunità di escludere (o affievolire) la responsabilità limitata delle società nei confronti dei tort creditors. (23) In tema, cfr. il volume a cura di G. Vettori, Concorrenza e mercato, Le tutele civili delle imprese e dei consumatori, Padova, 2005.E’ noto come la giurisprudenza (Cass., sez. un., 4 febbraio 2005, n. 2207, Foro it., 2005, I, 1014) abbia affermato la legittimazione del singolo consumatore a chiedere il risarcimento del danno ingiusto scaturente dall’aver contrattato con una controparte imprenditoriale che ha preso parte ad un’intesa restrittiva. Anche la giurisprudenza della CGCE (già dal 2001 nel noto caso Courage, C-453/99, Racc. 2001, pag. I-6297; cfr. altresì il caso Manfredi del 2006, Cause Riunite C-295−298/04, Manfredi, Racc. 2006, pag. I-6619) ha avuto più volte occasione di sancire che tutti i cittadini e le imprese che subiscono un danno a seguito di un’infrazione delle norme antitrust comunitarie (artt. 81 e 82 del Trattato CE) hanno diritto al risarcimento del danno, diritto – appunto – garantito dall’ordine comunitario. (24) Oltre ai documenti citati, v. la Comunicazione della Commissione, del 13 marzo 2007, [COM (2007) 99 def.], in tema di “Strategia per la politica dei consumatori dell’UE 2007-2013” e la connessa Risoluzione del Consiglio del 31 maggio 2007, in G.U.C.E. C 162 del 14 luglio 2007. (25) Si tratta di soggetti designati ufficialmente in anticipo, ovvero abilitati ad hoc da uno Stato membro, “in relazione ad una particolare violazione delle norme antitrust, per intentare un’azione a nome di alcuni o di tutti i propri membri”. (26) Significative ed attuali sono le osservazioni di S. Rodotà, Le azioni civilistiche, in AA.VV., Le azioni a tutela di interessi collettivi, Padova, 1976, 90 ss.: “gli strumenti civilistici sono conformati in modo da servire alla tutela di interessi esclusivamente individualistici e, di conseguenza, inadatti a risolvere conflitti non integralmente interprivati, a dar rilievo ad interessi non riducibili alla sfera del singolo”; si tratta di una “conseguenza inevitabile dell’abbandono degli strumenti e delle forme organizzative con rilevanza collettiva in sistemi giuridici progressivamente caratterizzati dall’accettazione dell’idea liberale del concorso delle iniziative individuali come via regia per la soddisfazione degli stessi interessi generali”.In tema, compiutamente V. Vigoriti, Interessi collettivi e processo. La legittimazione ad agire, Milano, l979, 36 ss.; E. Gabrielli, Appunti su diritti soggettivi, interessi legittimi, interessi collettivi, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1984, 990 ss.; N. Trocker, voce Interessi collettivi e diffusi, in Enc. giur. Treccani, XVII, Roma, 1989, 1; G. Alpa, voce Interessi diffusi, in Dig. disc. priv., Sez. civ., IX, Torino, 1993, 609 la cui riflessione si ispira agli studi di V. Vocino, Sui cosiddetti interessi diffusi, in Studi in memoria di Salvatore Satta, II, Padova, 1982, p. 1882 ss.; da ultimo, A. Orestano, Interessi seriali, diffusi e collettivi: profili civilistici di tutela, in Le azioni seriali, Napoli, 2008. (27) M. Bove, L’oggetto del processo “collettivo” dall’azione inibitoria all’azione risarcitoria (articoli 140 e 140bis codice del consumo), in reperibile anche in www.judicium.it, donde sono ripresi anche le citazioni successive. (28) “Prevedendo il meccanismo delle adesioni, sembrava che egli si fosse finalmente mosso verso l’introduzione nel sistema di una vera class action, scegliendo il meccanismo c.d. dell’opt in, ma in realtà è come se l’opera si fosse fermata a metà strada” (M. Bove, op. ult. cit.). (29) Ne deriva che tutte le questioni personali, non solo la quantificazione del risarcimento, sono trattate nei giudizi individuali eventualmente intentati dai singoli consumatori, altresì nella sede conciliativa di cui al comma 6. (30) Le considerazioni di cui al testo sono confermate – nel pensiero dell’A. – dalla rilevante estensione temporale consentita per la comunicazione dell’adesione (fino all’udienza di precisazione delle conclusioni anche in appello), circostanza pressochè unanimemente avversata in dottrina. Si rileva infatti che se l’oggetto del processo fosse rappresentato dai diritti individuali, il giudizio di appello sarebbe completamente stravolto (ben oltre quelle variazioni nella logica dell’art. 345 c.p.c.).Per più approfondite riflessioni al riguardo, si rinvia al successivo Paragrafo (31) In senso analogo, S. Menchini, La nuova azione collettiva risarcitoria e restitutoria, in Il giusto processo civile, 2008, 1, p. 41 ss., reperibile anche in www.judicium.it; C. Consolo, E’ legge una disposizione sull’azione collettiva risarcitoria: si è scelta la via svedese dello “opt-in” anziché quella danese dello “opt-out” e il filtro (“L’inutil precauzione”), in Corr. Giur. 2008, p. 5 ss.Diversamente, da altra dottrina (G. Ruffini, Legittimazione ad agire, adesione ed intervento nella nuova normativa sulle azioni collettive risarcitorie e restitutorie di cui all’art. 140 bis del codice del consumo, in Studi in onore di C. Punzi, Torino, 2008, p. 443 ss., in part. 450) si è rilevato che gli interventori non fanno valere loro diritti, ma aderiscono all’azione collettiva. La differenza rispetto agli aderenti sta in ciò: che questi non diventano parti del processo collettivo (lo è invece l’associazione), diversamente dagli interventori i quali quindi hanno poteri processuali in relazione all’oggetto dell’azione collettiva che rimane invariato. Per ulteriori approfondimenti in tema, v. il successivo Paragrafo (32) M. Bove, op. loc. cit.(33) G. Ruffini, Legittimazione ad agire, adesione ed intervento nella nuova normativa sulle azioni collettive risarcitorie e restitutorie di cui all’art. 140 bis del codice del consumo, cit., il quale vi individua a fondamento l’attribuzione agli enti collettivi legittimati di un interesse meritevole di tutela, consistente nel “diritto all’accertamento mero della illiceità di condotte illecite plurioffensive perpetrate ai danni dei consumatori o degli utenti”.(34) D. Dalfino, L’oggetto del processo e del giudicato, Foro it., 2008 (35) V. al riguardo anche S. Menchini, La nuova azione collettiva risarcitoria e restitutoria, cit., par. 1.(36) R. Caponi, Oggetto del processo e del giudicato ad assetto variabile, cit., il quale precisa come sia per l’azione individuale che collettiva “il processo può concludersi con una pronuncia definitiva, quindi anche con provvedimento di condanna integrale. In caso di esercizio dell’azione in forma collettiva, la seconda fase di determinazione negoziale o giudiziale del quantum si rende necessaria solo se la condanna integrale non è possibile allo stato degli atti. In entrambi i casi la tutela dei diritti dedotti in giudizio può essere assicurata da provvedimenti cautelari e seguita dalla esecuzione forzata”. Per un più ampio discorso e per le opportune citazioni, cfr. Caponi, Azioni collettive: interessi protetti e modelli processuali di tutela, Riv. dir. proc., 2008, 5, in corso di pubblicazione. (37) Con “processo modello” ci riferiamo alla disciplina del Musterverfahren relativa alle controversie del mercato finanziario (Gesetz zur Einführung von Kapitalanleger-Musterverfahren) introdotta in Germania nel 2005.La caratteristica di tale processo è che viene dedotto in giudizio un diritto individuale da un singolo (o da una associazione), ma la pronuncia proietta la propria efficacia giuridica, in una certa misura vincolante, anche nei confronti delle cause parallele. Ed è questo elemento che contraddistingue il processo modello.Per ogni approfondimento, R. Caponi, Modelli europei di tutela collettiva nel processo civile: esperienze tedesca e italiana a confronto, Riv. trim. dir. proc. civ., 2007, 4, p. 1229 ss.; Id., Strumenti di tutela collettiva nel processo civile: l’esempio tedesco, in Le azioni collettive in Italia. Profili teorici ed aspetti applicativi, (a cura di) C. Belli, Milano, 2007, p. 55 ss.(38) R. Caponi, Litisconsorzio «aggregato». L’azione risarcitoria in forma collettiva dei consumatori, cit.; Id., Oggetto del processo e del giudicato ad assetto variabile, cit., par. 12 “in sintesi, l’azione collettiva risarcitoria ha un oggetto ad assetto variabile, che dipende dal carattere semplice (primo esempio) o complesso (secondo esempio) della controversia e quindi dallo scopo oggettivamente perseguibile dalle parti, nonché – in via piuttosto residuale – dalle condizioni concrete dello svolgimento del processo (terzo esempio, in cui però – rispetto al primo esempio – muta solo l’oggetto del dibattito processuale, che esclude le questioni personali, non l’oggetto del processo, che rimane fermo al bene della vita, ovvero al credito restitutorio)”. (39) R. Caponi, Litisconsorzio «aggregato», par. 3. Ne deriva dunque la non applicabilità dell’art. 1306 c.c. dettato in tema obbligazioni indivisibili o solidali di guisa che il soggetto che non ha aderito (o che non è intervenuto) non può giovarsi degli effetti favorevoli del giudicato. Esclude che la sentenza collettiva risarcitoria “possa essere utilizzata dal singolo consumatore, non aderente né intervenuto nel processo, in utilibus nel suo giudizio individuale”, anche D. Amadei, L’azione di classe italiana per la tutela dei diritti individuali omogenei, Giur. merito, 2008, 4, pp. 940 ss.E’ riconducibile a questo modello interpretativo la riflessione di altra autorevole dottrina la quale, d’accordo sul fatto che oggetto del processo sia una pluralità di diritti individuali isomorfi lesi da una medesima condotta illecita, perviene a conclusioni differenti quanto all’efficacia ultra partes della sentenza. In assenza di altre indicazioni, si ritiene infatti che trovi applicazione il principio di cui all’art. 1306 cod. civ. in forza del quale i soggetti danneggiati (non aderenti o intervenuti) possono opporre al comune debitore la sentenza pronunciata tra questo e alcuni dei creditori. In tal caso il terzo è vincolato interamente dalla sentenza e dal relativo contenuto: non solo l’accertamento circa la responsabilità dell’impresa, ma anche la fissazione dei criteri di liquidazione delle somme. Così, S. Menchini, La nuova azione collettiva, cit., par. 3 ad avviso del quale, in particolare, l’adesione amplia il contenuto oggettivo del giudizio e, anche a seguito dell’intervento dei singoli consumatori o utenti (definito litisconsortile autonomo) “si realizza un cumulo di cause connesse (quella collettiva, che aggrega le pretese di tutti gli aderenti, e quelle individuali, introdotte dai singoli con gli atti d’intervento)”. In tema v. anche v. A. Briguglio, L’azione collettiva risarcitoria (art. 140 bis Codice del Consumo) in ventuno domande e ventuno risposte, Torino, 2008, 13 ss.(40) G. Alpa, Class action: note sull’art. 140 bis c.1 del Codice del consumo, cit. (41) Né tale conclusione sarebbe vanificata dal comma 4 (e, precisamente, dalla previsione dei criteri in base ai quali liquidare la somma da corrispondere ai singoli aderenti o, se possibile allo stato degli atti, la somma minima da corrispondere a ciascun consumatore o utente) il quale non legittima il ricorso alla condanna provvisionale né la formazione di un titolo esecutivo. In senso analogo, G. Costantino, La tutela collettiva risarcitoria: note a prima lettura dell’art. 140 bis cod. consumo, in Foro it. 2008, V, 18 ss. (42) R. Caponi, Oggetto del processo e del giudicato ad assetto variabile, cit.; C. Consolo, in Consolo, Bona, Buzzelli, Obiettivo class action: l’azione risarcitoria collettiva, cit., p. 215 ss.(43) Corrisponde, infatti, alla articolazione dei commi 1 e 2 dell’art. 140 bis.(44) In dottrina sono già emerse perplessità in ordine all’esclusione degli enti di cui al comma 2 dal novero dei soggetti legittimati di diritto (escludendo cioè il vaglio giudiziale di rappresentatività). In tal senso v. D. De Santis, L’azione collettiva risarcitoria, in Class action e tutela collettiva dei consumatori, Foro it., 2008. (45) L’elenco di cui al testo è stato istituito con D.M. 20/1999 che affida alla citata Direzione Generale l’attività istruttoria e di accertamento in ordine alle domande di iscrizione, istruttoria che ai sensi di tale normativa secondaria deve concludersi entro 60 giorni dalla data di ricevimento della domanda completa. Il decreto ministeriale che definisce il procedimento viene notificato alla associazione interessata entro 15 giorni dalla definizione dell’istruttoria nonché pubblicato in Gazzetta Ufficiale se presenta esito positivo. (46) Cons. Stato, 15 febbraio 2006, n. 611, in Giust. civ. 2007, 3, 764, nota di S. Forasassi, Le associazioni dei consumatori e degli utenti: i requisiti per l’iscrizione nell’elenco delle associazioni rappresentative a livello nazionale.La fattispecie concreta è interessante: si tratta di un ricorso proposto da alcune associazioni iscritte nell’elenco di cui all’art. 137 cod. cons. (Codacons, Adusbef e Federconsumatori) per l’annullamento della pronuncia del Tar Lazio (sez. III-ter, 23 aprile 2004 n. 3501) che aveva confermato l’iscrizione dell’associazione Altroconsumo nel detto elenco avvenuta con decreto del Ministero delle attività produttive. Le ricorrenti in particolare lamentano l’assenza dei requisiti per l’iscrizione e per il mantenimento nell’elenco.Ebbene, il Consiglio di Stato ha colto l’occasione per affrontare e precisare analiticamente molti degli aspetti relativi ai requisiti necessari per l’iscrizione nel detto elenco, proponendo una propria limpida interpretazione(47) Per ogni approfondimento e lucide analisi in ordine all’evoluzione della norma ed al valore dei singoli requisiti, v. S. Benucci, Commento sub art. 137, in Codice del Consumo. Commentario, cit., p. 1060 ss.(48) Cfr. S. Benucci, op. cit., p. 1063. Non sono mancate in dottrina rilievi critici diretti alla rigidità della formulazione normativa quanto ai criteri necessari per la legittimazione ad agire. In particolare si è rilevato come l’assenza di flessibilità abbia impedito l’azione di numerose organizzazioni, a partire dalle cooperative di consumo, ciò in dissonanza con il diritto fondamentale riconosciuto dall’art. 2 comma 2 lett. F) del Codice del Consumo “alla promozione ed allo sviluppo dell’associazionismo libero e volontario”. Al riguardo, V. Levi, Elenco delle associazioni dei consumatori e degli utenti rappresentative a livello nazionale (art. 5), in I diritti delle associazioni dei consumatori e degli utenti, a cura d G. Alpa, V. Levi, Milano, 2001, p. 145; E. Capobianco, Contrattazione bancaria e tutela dei consumatori, in Tratt. Dir. priv. Eur., a cura di N. Lipari, Napoli, 2000; R. Cameo, S. Della Valle, La nuova disciplina dei consumatori e degli utenti, Milano, 1999, p. 240.(49) Al riguardo, v. E. Minervini, Commento sub art. 137, in, Commento al Codice del consumo, (a cura di) da G. Alpa e L. Rossi Carleo, Napoli, 2005, p. 812; G. Navone, La rappresentatività delle associazioni dei consumatori e degli utenti, in La disciplina dei diritti dei consumatori e degli utenti, a cura di A. Barba, Napoli, 2000, p. 70; R. Cameo, S. Della Valle, La nuova disciplina dei consumatori e degli utenti, cit., p. 224; S. Benucci, op. loc. cit.; Ieva, Associazioni dei consumatori, interessi collettivi e servizi pubblici, in Corr. giur., 2002, 267.Corrispondentemente l’inserimento dell’associazione nell’elenco, una volta verificata la sussistenza dei requisiti di legge, è un atto dovuto da parte del Ministero che non dispone di poteri discrezionali in tema di iscrizione.(50) Nel senso invece della possibilità per il giudice di dichiarare legittimato attivamente ad agire anche associazioni effettivamente titolari dei requisiti normativi pur non iscritte nell’apposito elenco, R. Colagrande, Disciplina dei diritti dei consumatori e degli utenti, Nuove Leggi Civ. Comm., 1998, p. 733. Naturalmente la questione assume maggiore rilievo quanto alla legittimazione al rimedio inibitorio: ai nostri fini – come indicato nel testo – l’estensione della legittimazione attiva sposta l’attenzione alla valutazione di rappresentatività concreta rimessa al giudice. (51) Ancora il disegno di legge approvato dal Senato il 15 novembre 2007 prevedeva al secondo comma dell’art. 140 bis che “con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, sentite le competenti Commissioni parlamentari, sono individuate le ulteriori associazioni di consumatori, di investitori e gli altri soggetti portatori di interessi collettivi legittimati ad agire ai sensi del presente articolo”, fermo restando la legittimazione attiva delle associazioni di cui all’art. 139.Si prescinde in questa sede da un’analisi dei numerosi progetti di legge – e dei relativi lavori parlamentari – che si sono susseguiti; a tale riguardo, v. D. Formichelli e A.D. De Santis, in AA.VV., Le azioni collettive in Italia, a cura di C. Belli, Milano, 2007, p. 239 ss. (52) Cfr. Menchini, op. ult. cit. Individua in quello normativo un “compromesso accettabile”, S. Chiarloni, La nuova azione collettiva risarcitoria e restitutoria, cit., il quale rileva altresì la vicinanza tra tale sistema e quello statunitense ove, di fatto, è lo studio legale che propone l’azione e a tal fine ricerca un soggetto (spesso un uomo di paglia) quale rappresentante. Ebbene, si osserva, la sola differenza rispetto alla scelta italiana (definita per questo “ipocrita”) è che occorre trovare non uno ma due soggetti interessati, ciò al fine di costituire un comitato (Id., Il nuovo articolo 140 bis del codice del consumo: azione di classe o azione collettiva?, in Studi in onore di Modestino Acone, di prossima pubblicazione. (53) Ci sembra poco corretto il richiamo – finalizzato a restringere la legittimazione attiva – al dibattito instaurato in ordine ai requisiti di rappresentatività delle associazioni ai fini dell’art. 28 della legge 20 maggio 1970 n. 300 che reprime le condotte antisindacali. Come è noto, la Corte Costituzionale è intervenuta più volte (da ultimo con sentenza del 17 marzo 1995, n. 89, in Foro it. 1995, I,1735; v. altresì Corte Cost. 24 marzo 1988 n. 334 in Foro it. 1988, I,1774) a precisare che “il procedimento di repressione della condotta antisindacale si aggiunge alle tutele già assicurate alle associazioni sindacali, e rappresenta un mezzo ulteriore per garantire in modo particolarmente rapido ed efficace i diritti del sindacato”. Pertanto “il fatto che il legislatore abbia riservato la relativa azione a determinati soggetti collettivi, risulta coerente con la razionalità delle scelte poste a base di criteri per individuare la maggiore rappresentatività degli stessi”: “la concezione che assume la dimensione organizzativa nazionale come indice di adeguato livello di rappresentatività è apparsa idonea a consentire la selezione, tra i tanti possibili, dell’interesse collettivo rilevante da porre a base del conflitto con la parte imprenditoriale”. Più in generale “l’opzione nel senso di un livello rappresentativo nazionale, oltre a corrispondere al ruolo tradizionalmente svolto dal movimento sindacale italiano, si uniformi al principio solidaristico nel quale va inserito anche l’invocato art. 39 della Costituzione”. (54) R. Caponi, Litisconsorzio “aggregato”. L’azione risarcitoria in forma collettiva dei consumatori, cit.; cfr. altresì, G. Ruffini, Legittimazione ad agire, adesione ed Intervento nella nuova normativa sulle Azioni collettive risarcitorie e restitutorie di cui all’art. 140 bis del codice del consumo, cit., p. 443; A. Palmieri, Campo di applicazione, legittimazione ad agire e controllo preliminare sull’ammissibilità, cit., ad avviso del quale “c’è spazio anche per soggetti appositamente costituiti a seguito del manifestarsi degli effetti pregiudizievoli determinati da una siffatta condotta, magari su impulso di alcuni tra gli stessi consumatori pregiudicati”.Manifesta invece perplessità e rischi di lasciare l’esperibilità di tali azioni all’arbitrio dei giudici, M. Bove, Azione collettiva: una soluzione all’italiana lontana dalle esperienze straniere più mature, Guida dir., 2008, 4, p. 11. (55) Il senso del riferimento ai diritti fondamentali dei consumatori è lucidamente indicato da G. Vettori, sub art. 1, in Codice del consumo. Commentario, (a cura di) G. Vettori, cit., p. 18 ss. v. inoltre, G. Alpa, Codice del consumo e del risparmio, Milano, 1999; S. Benucci, sub art. 2, in Codice del consumo. Commentario, cit., p. 25 ss.L’utilizzo dell’aggettivo “fondamentale” (presente già nella legge 281/1998) ha evocato ampi dibattiti in dottrina. Alcuni hanno rilevato come si tratti di una “mera suggestione” nella quale non devono essere ricercati significati ulteriori rispetto al mero allineamento terminologico della posizione soggettiva del consumatore ed utente con quella riconosciuta a livello comunitario; di qui, l’impossibilità di qualificare le situazioni soggettive in oggetto quali diritti soggettivi pieni (così, R. Colagrande, Disciplina dei diritti dei consumatori e degli utenti, cit., p. 708).Altri hanno individuato nell’elencazione di cui alla norma in oggetto una sorta di “tavola costituzionale”, di “bill of rights” la quale, pur non potendo essere equiparata al significato proprio dei diritti fondamentali quali posizioni soggettive inviolabili ed insopprimibili, vi individua il carattere di diritti “essenziali” (G. Alpa, La legge sui diritti dei consumatori, Corr. Giur., 1998, p. 998).Ad ogni modo è da escludere che l’espressione “diritti fondamentali” presenti il significato tecnico che deriva dai più autorevoli studi dei costituzionalisti; pur tuttavia, non può essere trascurato il riferimento legislativo, peraltro cosciente (v. S. Benucci, op. ult. cit., p. 27 che richiama le riflessioni di A. Baldassarre, in Diritti fondamentali, qualità dei prodotti agricoli e tutela del consumatore, a cura di E. Capizzano, Camerino, 1992/92, p. 34).(56) A. Giussani, Azioni collettive risarcitorie nel processo civile, Bologna, 2008, p.227. v. altresì Denti, Interessi diffusi, in Enc. Dir., app., 1980, p. 305 e ss. (57) Così anche A. Palmieri, op. cit., p. ; G. Ruffini, op. loc. cit.Sostiene l’opportunità di inserire il vaglio di adeguata rappresentatività dell’ente nei presupposti di ammissibilità dell’azione ai fini del comma 3, anche D. Amadei, L’azione di classe italiana per la tutela dei diritti individuali, cit., p. 940: “è dunque conveniente proporre, qui, una forzatura dell’elenco degli elementi che il giudice deve valutare nella fase iniziale, dedicata all’ammissibilità dell’azione collettiva come tale, per farvi rientrare il profilo della adeguata rappresentatività dell’associazione non già iscritta nell’elenco nazionale. In particolare, si può ritenere di poter inserire questo profilo nella verifica dell’esistenza di un interesse collettivo suscettibile di adeguata tutela”. V. anche S. Menchini, op. cit. In senso diverso, A. Giussani, Azioni collettive risarcitorie nel processo civile, cit., p. 226 ss.(58) R. Caponi, Litisconsorzio “aggregato”. L’azione risarcitoria in forma collettiva dei consumatori, cit.: “se l’attore formale non è adeguatamente rappresentativo degli interessi collettivi fatti valere, si può infatti sostenere che l’interesse collettivo, così come prospettato dall’associazione attrice, non è suscettibile di adeguata tutela (…) Del resto questa attrazione è confermata dall’altro criterio del giudizio di ammissibilità, l’inesistenza di un conflitto di interessi tra l’ente attore e i membri della classe”.(59) “Del resto, se il filtro imposto dal legislatore verosimilmente serve in primo luogo ad impedire che vengano coltivate pretese collettive fragili o del tutto inconsistenti, destinate però ad avere comunque effetti «reputazionali» di segno negativo sull’impresa evocata in giudizio (…) è ragionevole ritenere che vadano bloccati quanto prima possibile i soggetti non adeguatamente rappresentativi. In tal modo, offrendo al giudice la possibilità di un controllo immediato, si potranno ridurre al minimo i rischi connessi ad eventuali sortite estemporanee di attori collettivi improvvisati”, così A. Palmieri, op. loc. cit. (60) In termini analoghi, Id., op. loc. cit. ad avviso del quale occorre “un’indagine più approfondita, pur nei limiti della sommarietà che caratterizza tale fase processuale, con l’acquisizione di documenti riguardanti la struttura e l’attività dell’istante, nonché la vicenda in riferimento alla quale va parametrato il grado di rappresentatività, e con l’eventuale audizione di persone in grado di arricchire il quadro informativo su tali elementi”.(61) Così M. Bove, Azione collettiva: una soluzione all’italiana lontana dalle esperienze straniere più mature, cit. p. 11. (62) Pur in via dubitativa, ritiene necessaria la presenza di adesioni al momento del giudizio di ammissibilità, S. Menchini, op. ult. cit.(63) R. Caponi, Litisconsorzio «aggregato». L’azione risarcitoria in forma collettiva dei consumatori , cit. V. altresì S. Menchini, op. cit., ad avviso del quale “meglio sarebbe stato, dunque, ammettere l’adesione dei singoli interessati non oltre la chiusura della fase preparatoria del giudizio di classe, prevedendo che il giudice, con l’ordinanza che dichiara ammissibile la domanda, dovesse concedere un termine perentorio per la definitiva formulazione delle adesioni”.(64) S. Menchini, op. loc. cit.Critica il sistema dell’adesione, A. Giussani, Azioni collettive risarcitorie nel processo civile, p. 231 ad avviso del quale “la possibilità di introdurre adesioni in grado di appello rischia di rendere il procedimento di secondo grado difficilmente governabile: il sistema dell’adesione, infatti, non sembra destinato a durare”.Ad ogni modo è facile comprendere come gli orientamenti della dottrina risentano alla radice del problema relativo al contenuto della sentenza che accoglie la domanda (comma 4) ed alla articolazione della tutela in due fasi.(65) R. Caponi, op. ult. cit.(66) La questione può apparire più scolastica che reale, come osserva, R. Caponi, op. ult. cit. e la pressoché totalità degli Autori che si sono posti il problema. Ciò è senz’altro vero. Tuttavia, il carattere scolastico dell’ipotesi di cui al testo è tale nei limiti in cui la letteratura giuridica, per parte sua, e l’orientamento giurisprudenziale, in particolare, ne respingeranno più o meno fortemente l’ammissibilità.(67) S. Menchini, op. loc. cit.(68) R. Caponi, Litisconsorzio “aggregato”. L’azione risarcitoria in forma collettiva dei consumatori, cit. (69) ID., op. ult. cit. (70) “Il nuovo testo legislativo è in grado di sorreggere ricostruzioni teoriche contrapposte e richiede ancora un’attività propositiva de iure condendo, sebbene a rime obbligate e scandite dal testo ormai approvato, diretta a sciogliere talune notevoli asperità applicative, più che i nodi teorici, che resteranno affidati alla dottrina”, così R. Caponi, Una letteratura di interrogativi in attesa della giurisprudenza (ma la magistratura si è già mossa su più fronti), cit.(71) Al riguardo, v. le perspicue osservazioni di R. Caponi, Litisconsorzio «aggregato». L’azione risarcitoria in forma collettiva dei consumatori, cit., il quale individua, appunto, due funzioni tendenzialmente alternative: da un lato, quella “di economia e efficienza processuale nelle controversie che altrimenti sarebbero affidate alla disciplina del litisconsorzio facoltativo”; dall’altro, la realizzazione della “garanzia costituzionale di effettività della tutela giurisdizionale nelle controversie di modico valore”.(72) Cfr. i contributi pubblicati nel Volume contenente le relazioni svolte al convegno fiorentino del 30 marzo 2007, Remedies in Contract – the Common Rules for a European Law, a cura di G. Vettori, Padova, 2008 e, in particolare, i saggi di G. Vettori, Il diritto dei contratto fra costituzione, codice civile e codici di settore; A. Di Majo, Linguaggio dei rimedi e tipologia dei danni; S. Mazzamuto, La nozione di rimedio nel diritto continentale; V. Scalisi, il diritto europeo dei rimedi: invalidità e inefficacia; E. Navarretta, La complessità del rapporto fra interessi e rimedi nel diritto europeo dei contratti.(73) R. Caponi, Litisconsorzio «aggregato». L’azione risarcitoria in forma collettiva dei consumatori, cit., p. “punto di partenza è acquisire pienamente la consapevolezza che appiattire l’oggetto del processo entro la teoria della fattispecie è un difetto, che è causa non remota del «muro contro muro» dottrinale occorso nei primi commenti sull’art. 140-bis del codice del consumo”. L’A. riconduce l’estrinsecazione giudiziaria di tale diverso approccio al caso Gubisch c. Palumbo (Corte giustizia delle comunità europee, 8 dicembre 1987, n. 144/86, Foro it., 1988, IV, 341).(74) R. Caponi, op. loc. cit.(75) Oltre ai riferimenti citati, v. A. Di Majo, Il linguaggio dei rimedi, Eur. dir. priv., 2005, p. 341; G. Vettori, Giustizia e rimedi nel diritto europeo dei contratti, Eur. dir. priv., 2006, 1, p. 53 ss. il quale rileva come non esiste una categoria astratta di giustizia contrattuale capace di superare i limiti posti dalle regole, di recepire il principio di proporzionalità fra le prestazioni, di integrare il giudizio di meritevolezza (dell’art. 1322 cod. civ.) e di buona fede così da consentire la dichiarazione di nullità del contratto ingiusto. L’idea di giustizia contrattuale non è dunque riconducibile ad una categoria generale, ma prende forma nella necessità di assicurare un trattamento diversificato delle posizioni dei contraenti come tratto di un ordine sociale e giuridico chiaramente delineato.Evidenzia il nesso che unisce il destino della causa al “problema dei rimedi nel diritto europeo dei contratti”, E. Navarretta, Le ragioni della causa e il problema dei rimedi. L’evoluzione storica e le prospettive nel diritto europeo dei contratti, Riv. dir. comm., 2003, 11-12, p. 979 ss.(76) A. Di Majo, La tutela civile dei diritti, Milano, 2003, p. 4. (77) Si ispira ad istanze antiformalistiche anche D. Messinetti, Processi di formazione della norma e tecniche “rimediali” della tutela giuridica, in Scienza ed insegnamento del diritto civile in Italia (a cura di) V. Scalisi, Milano, 2004, p. 209 ss. il quale muove dall’analisi dei diritti della persona assoggettabili non tanto a tecniche di accertamento quanto a tecniche di bilanciamento effettuate dal giudice e dall’analisi degli strumenti risarcitori che richiedono una comparazione in concreto degli interessi del danneggiante e del danneggiato.(78) L’autonomia della tutela dei diritti esprime una prospettiva che non si equipara alla dimensione esclusivamente gius-processualistica ponendo al centro il bisogno. Cfr. U. Mattei, I rimedi, cit., p. 107. V. anche ID., Diritto e rimedio nell’esperienza italiana e in quella statunitense. Un primo approccio, Quadr., 1987, p. 341 ss.(79) G. Vettori, Il diritto dei contratto fra costituzione, codice civile e codici di settore, cit. ed in Riv. trim. dir. proc. civ., 2008, 3, p. 751 ss.; A. Di Majo, Il linguaggio dei rimedi, cit., p. 341 il quale si pone in dimensione critica rispetto alla tentazione di fornire una lettura “forte” del piano dei rimedi. In senso analogo, S. Mazzamuto, Equivoci e concettualismi nel diritto europeo dei contratti: il dibattito sulla vendita dei beni di consumo, Europa dir. priv., 2006, p. 1063.(80) In questo senso la tutela e la sua effettività si raccordano con le previsioni di diritto positivo di carattere più specificamente processuale: A. Di Majo, La tutela civile dei diritti, Milano, 2003, p. 4.
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