ISSN 2239-8570

Autonomia del danno morale dal danno biologico e dal danno esistenziale, di Antonio Gorgoni

Cass., sezione III civile, 3 ottobre 2013, n. 22585 (rel. G. Travaglino)

La sentenza della Cassazione n. 22585/2013 suscita particolare interesse, poiché riconosce autonomia al danno morale rispetto al danno esistenziale e a quello biologico.
Le Sezioni Unite della Cassazione (n. 26972/2008) avevano, invece, affermato l’unicità del danno non patrimoniale, negando così autonomia concettuale e risarcitoria al danno morale, inteso come sofferenza soggettiva intima, e al danno esistenziale consistente nell’alterazione in peius della qualità del vivere (pregiudizio diverso dal patimento interiore).
Il danno morale, continuano le Sezioni Unite, può essere risarcito come tale solo quando non sia allegato quale componente di un più complesso pregiudizio non patrimoniale, come nel caso del danno lucida agonia in cui manca il danno biologico. Qualora, invece, l’attore lamenti un danno biologico o un danno parentale, il giudice potrebbe non già risarcire autonomamente il danno morale, ma solo personalizzare la voce unica di danno alla salute o al rapporto parentale.
In disaccordo con questa lettura è la sentenza che si segnala, in cui si afferma che da un attento esame del precedente giurisprudenziale non può evincersi alcun assorbimento del danno morale nel danno biologico né, più in generale, in quello non patrimoniale. L’autonomia del primo rispetto al secondo è testimoniata non solo da alcuni provvedimenti normativi, ma anche da una nutrita giurisprudenza di legittimità successiva al 2008.
Il danno morale soggettivo deve, inoltre, essere tenuto distinto dal danno esistenziale, inteso quale alterazione importante della vita quotidiana (in tal senso si veda l’art. 612-bis c.p.).
Di là da queste classificazioni, è degno della massima attenzione un passaggio della sentenza della Cassazione. In esso si ritiene necessario interpretare le Sezioni Unite del 2008 secondo una logica non già «di tipo formale-deduttivo», ma attraverso «un’ermeneutica di tipo induttivo che, dopo aver identificato l’indispensabile situazione soggettiva protetta a livello costituzionale (…), consenta poi al giudice del merito una rigorosa analisi e una conseguentemente rigorosa valutazione tanto dell’aspetto interiore del danno (la sofferenza morale) quanto del suo impatto modificativo in peius con la vita quotidiana (il danno esistenziale)».
La Cassazione, di conseguenza, cassa la sentenza d’appello, la quale, con riferimento ad una vicenda di lesione della salute, aveva illegittimamente negato il risarcimento del danno morale e non aveva valutato adeguatamente l’incidenza della lesione sulla vita familiare, professionale e di relazione con i terzi.
Questa pronuncia rafforza un orientamento già esistente in tema di danno parentale, secondo cui, nella liquidazione del danno, occorre tener conto non solo della sofferenza interna, ma anche di tutte le conseguenze derivanti dal fatto illecito (cfr. Cass., n. 18641/2011).

Cass. sez. III civile, 3 ottobre 2013, n. 22585

Pubblicato in Illecito civile

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