In un contratto di mediazione immobiliare, la clausola che non prevede, in caso di mancata vendita, alcun compenso ad incarico scaduto deve essere interpretata conformemente ai principi di buona fede oggettiva.
La fattispecie. Il titolare di un’agenzia immobiliare ha convenuto in giudizio il proprietario di un bene immobile (dal quale aveva ricevuto la procura a vendere), per vedersi riconosciuta la provvigione alla quale avrebbe avuto diritto. Infatti, nonostante l’opera del mediatore che ha contribuito a far incontrare le parti ed a definire gli elementi principali di un accordo particolarmente complesso (il pagamento sarebbe dovuto avvenire in parte in denaro ed in parte attraverso la permuta di una casa appartenuta ai suoceri dell’acquirente), i contraenti, senza essersi più rivolti all’agenzia, avevano di propria iniziativa concluso un accordo preliminare.
La decisione. La Cassazione, con sentenza 5 maggio 2009, n. 5348, afferma che il comportamento del venditore è stato contrario a buona fede, la quale “costituisce un autonomo dovere giuridico, espressione di un generale principio di solidarietà sociale (…), applicabile sia in ambito contrattuale, sia in quello extracontrattuale. (…). La buona fede si atteggia come un impegno o obbligo di solidarietà, che impone a ciascuna parte di tenere quei comportamenti che, a prescindere da specifici obblighi contrattuali e dal dovere del neminem laedere, senza rappresentare un apprezzabile sacrificio a suo carico, siano idonei a preservare gli interessi dell’altra parte”.
Pertanto, sulla base di questa argomentazione, un’interpretazione secondo la quale i comportamenti elusivi posti in essere dalle parti toglierebbero effetto allo stesso contratto di mediazione è chiaramente contraria a buona fede.
Di seguito il testo della sentenza: Cass., 5 Marzo 2009, n. 5348
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