La Corte di Cassazione ritorna sul tema del danno non patrimoniale e sui criteri di liquidazione. Il caso riguarda una fattispecie particolarmente drammatica, il reato di violenza sessuale perpetrato nei confronti di una bambina di soli 9 anni.
Al processo penale, terminato con un patteggiamento, ha fatto seguito un giudizio civile conclusosi in primo grado con la condanna del pedofilo a pagare una somma a titolo di risarcimento del danno biologico pari a L. 129.779.000, oltre al danno morale quantificato in 1/3 del biologico, come da prassi fino a poco tempo fa.
Appellata la decisione, la Corte di appello conferma la sentenza di primo grado, riducendo il risarcimento del danno biologico a L. 60.000.000, ritenendolo di natura transitoria e non permanente. Per quanto riguarda il danno morale, non c’è stata alcuna statuizione.
Tale circostanza ha indotto la ragazza, ormai diventata maggiorenne, a ricorrere in Cassazione.
In un lungo iter argomentativo in cui si ribadisce, soprattutto in riferimento alle note sentenze del 2008 sul danno non patrimoniale, la rilevanza anche nel nostro ordinamento della regola dello stare decisis al fine di garantire la funzione nomofilattica della Suprema Corte, la pronuncia precisa che il danno subito ha inciso su determinati diritti fondamentali della persona: non solo il diritto alla salute fisica e psichica, ma anche il diritto all’integrità morale della minore (art. 2, 3, 32 Cost.) e la privazione della libertà e delle possibilità di autodeterminarsi (art. 13 e 32 Cost.).
Secondo i giudici della Terza sezione, la pronuncia di secondo grado è affetta da tre errori.
Relativamente all’omessa liquidazione del danno morale, si afferma che avuto riguardo ad un fatto illecito costituente anche fatto reato continuato per atti di libidine in danno di minore, “la valutazione unitaria del danno non patrimoniale deve esprimere analiticamente l’iter logico delle poste (sinteticamente descritte e tipizzate in relazione agli interessi o beni costituzionali del minore lesi) e non già una apodittica affermazione di procedere ad un criterio arbitrario di equità pura, non controllabile per la sua satisfattività”.
In questa prospettiva ne deriva che il danno morale non deve essere necessariamente una quota del danno biologico, soprattutto nelle ipotesi in cui la lesione incida su differenti beni giuridici.
Il secondo errore riguarda i criteri di accertamento del danno psichico permanente ed il nesso di causalità tra la condizione scatenante e la permanenza del decorso del disturbo. Secondo la Cassazione, “la valutazione della dimensione temporale dell’evento, in senso patogenico, con rilievo di disturbi di tipi bordline, a distanza di anni di tempo, deve ritenersi accertata in base al criterio della elevata probabilità del collegamento causale tra il fatto umano scatenante e la successiva persistenza dello squilibrio psichico, senza che sia stata posta in evidenza l’esistenza di un fattore successivo tale da disconnettere la sequenza causale accertata”. In altri termini, la Cassazione coordina insieme il criterio della causalità adeguata e la valutazione della gravità della lesione accertata attraverso metodologie scientifiche. Ciò significa che, parafrasando la motivazione, in presenza di un accertato stato patologico della psiche non è necessario provare con assoluta certezza che, senza il fatto illecito, il danno non si sarebbe prodotto; bensì, deve applicarsi la regola della causalità adeguata per cui, in assenza del primo, il secondo non si sarebbe verificato, con ragionevole probabilità.
Infine, viene enunciato un principio di carattere generale, “le poste non patrimoniali devono essere unitariamente risarcite, sulla base di una valutazione ponderale analitica compiuta dal giudice del merito, che deve considerare il diverso peso dei beni della vita compromessi”.
Di seguito il testo della sentenza:
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