Cass., 17 febbraio 2009, n. 3785
Con una sentenza del Febbraio 2009, la Cassazione isola alcuni punti fondamentali affinchè si perfezioni la fattispecie di mobbing.
Un postino, al quale era stata riconosciuta un’invalidità da parte dell’Inail pari all’11% a seguito di un infortunio sul lavoro, sosteneva che successivamente la direttrice dell’ufficio postale lo aveva obbligato ad effettuare lavoro straordinario, a sollevare pacchi pesanti pacchi di corrispondenza e lo aveva redarguito spesso davanti ai colleghi, minacciandolo di licenziamento.
A causa di tale comportamento, l’impiegato delle Poste convenne in giudizio il datore di lavoro per sentirlo condannare al risarcimento del danno non patrimoniale per il presunto mobbing.
Con sentenza n. 3785 la Cassazione si allinea a quanto deciso dal Tribunale e dalla Corte di Appello e rigetta il ricorso del portalettere, in quanto la censura di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c. non può consistere nella difformità di apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice di merito.
Ad ogni modo, i giudici ne approfittano per mettere chiaramente in luce gli elementi essenziali perché si possa parlare di mobbing:
– la molteplicità dei comportamenti a carattere persecutorio, illeciti o anche leciti se considerati singolarmente, che siano posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente con intento vessatorio;
– l’evento lesivo della salute o della personalità del dipendente;
– il nesso eziologico tra la condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico e il pregiudizio all’integrità psico-fisica del lavoratore;
– la prova dell’elemento soggettivo, cioè dell’intento persecutorio
Di seguito il testo della sentenza:
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