La sentenza in esame si occupa del delicato problema del rapporto tra poteri del giudice ed equilibrio del contratto. Il tema viene affrontato con riferimento a un contratto di locazione nel quale le parti hanno pattuito una clausola penale per gli eventuali ritardi nel pagamento del canone dovuto come controprestazione per il godimento di un immobile.
La controversia origina proprio dal decreto ingiuntivo con il quale la società locatrice chiedeva di dare applicazione alla penale. A fronte della sentenza di secondo grado che respinge l’opposizione del conduttore al decreto ingiuntivo, quest’ultimo ricorre per Cassazione.
Il motivo di ricorso che qui ci pare interessante segnalare è quello relativo alla lamentata erronea interpretazione, da parte della Corte d’Appello, dell’art. 1384 c.c., non essendo stata riconosciuta la sussistenza dei presupposti per l’applicazione della penale pattuita.
Questo motivo di ricorso viene reputato fondato dai giudici di legittimità, i quali offrono una interpretazione dell’art. 1384 c.c. in linea con la giurisprudenza consolidata, a partire dal noto precedente a Sezioni Unite del 2005 (Cfr. Sez. Un., n. 18128/2005).
Il potere di riduzione a equità della penale, essendo posto a tutela di un interesse generale dell’ordinamento, è esercitabile anche d’ufficio da parte del giudice. Ciò al fine di «ricondurre l’equità contrattuale nei limiti in cui essa appare meritevole di tutela».
Inoltre, la Corte di Cassazione ribadisce che siffatto potere spetta al giudice tanto nei casi di penale manifestamente eccessiva, quanto nei casi in cui l’obbligazione principale sia stata in parte eseguita, atteso che la mancata previsione della riduzione della penale in caso di adempimento di parte dell’obbligazione si traduce, comunque, in una eccessività, se rapportata alla sola parte rimasta inadempiuta (Cfr. Cass., n. 8293/2006; Cass., n. 22002/2007; Cass., n. 25334/2017).
L’aspetto più interessante di questa disamina sul potere di riduzione a equità si coglie nell’analisi della sua funzione. Se tale potere è attribuito al giudice allo scopo di «ricondurre l’autonomia contrattuale nei limiti in cui essa appare meritevole di tutela», allora, secondo la Corte, esso può essere esercitato anche nel caso in cui le parti abbiano contrattualmente convenuto l’irriducibilità della penale (Cfr. Cass., n. 21006/2006).
Questa affermazione è densa di importanza per due profili. Da una parte, la sentenza ribadisce il fondamento assiologico sotteso alla riduzione a equità ex art. 1384 c.c.: il quale viene individuato nel principio costituzionale di solidarietà, assunto a giustificazione valoriale del potere giudiziale. Dall’altro lato, al giudice è riconosciuta la possibilità di esercitare tale potere scegliendo i criteri più idonei per realizzarlo, «anche superando l’autonomia contrattuale», in nome di un interesse generale.
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