Con l’ordinanza in esame la prima sezione della Corte di Cassazione, statuendo un principio di diritto, affronta la dibattuta questione circa la natura determinata o determinabile della clausola penale.
A tal proposito, l’art. 1382 c.c., riconosce alle parti di un contratto il potere di limitare, a priori e ad una determinata prestazione promessa, il risarcimento del danno che la parte inadempiente debba all’altra, salvo che non sia stata convenuta la risarcibilità del danno ulteriore. Il pagamento della prestazione è dovuto indipendentemente dalla prova del danno. Tale prestazione, stando al tenore letterale del comma 1, deve essere “determinata”.
La vicenda a fondamento della presente pronuncia trae origine dalla edificazione di un fabbricato, reputata in violazione di obblighi contrattuali in materia di distanza minima e di luci, in relazione alla quale la parte attrice conveniva in arbitrato la parte ritenuta inadempiente per il pagamento della penale contrattualmente prevista, avente il seguente tenore: “In caso di inadempimento saranno applicate, a carico della parte inadempiente, penali pari al doppio del valore dell’inadempimento”.
L’arbitro, previa consulenza tecnica per la determinazione del valore dell’inadempimento, condannava la parte convenuta al pagamento della suddetta penale.
La parte convenuta impugnava quindi il lodo per nullità dinanzi alla Corte di Appello di Bologna. Quest’ultima giudicava nulla la clausola in questione per mancanza di causa, in quanto ritenuta priva dell’attitudine delimitativa che sarebbe richiesta dall’art. 1382 c.c., a norma del quale l’inadempiente è “tenuto ad una determinata prestazione”.
In particolare, la Corte di Appello di Bologna statuiva che una penale parametrata all’inadempimento “non costituisce criterio preciso oggettivamente e preventivamente quantificabile, non potendo essere che determinato ex post secondo lo schema di cui agli artt. 1223 ss. c.c.”
A parere della Corte territoriale, la clausola penale così congegnata “non assolve affatto…alla funzione predeterminativa della prestazione dovuta per il caso di inadempimento”, venendo così meno “il nucleo caratterizzante la funzione della clausola penale, ossia la previa quantificazione del danno risarcibile”. Il generico criterio dell’inadempimento “non offre infatti alcun tipo di parametro al quale ancorare la predeterminazione del danno, limitandosi a rimandare all’accertamento dell’inadempimento ed al “valore” dello stesso, concetto in sé indeterminato e di difficile comprensione”.
Avverso detta decisione veniva proposto ricorso per Cassazione. La Corte accoglie i tre motivi di ricorso, tutti afferenti alla validità della clausola penale, affermando che nulla esclude che la “determinata prestazione” di cui all’art. 1382 c.c. possa essere rapportata all’entità dell’inadempimento, da verificare nella sua consistenza a valle dell’inadempimento stesso.
Punto centrale dell’analisi della Suprema Corte è l’individuazione del perimetro applicativo dell’espressione “determinata prestazione” di cui all’art. 1382 c.c., la quale sarebbe riconducibile non soltanto al concetto di determinatezza ma, altresì, a quello di determinabilità.
A tal fine i giudici ripercorrono il dibattito dottrinale e giurisprudenziale in materia e ricordano, in primo luogo, che in passato si era sostenuto che l’ammontare della penale dovesse essere necessariamente individuato anticipatamente – ossia “determinato” – onde evitare di indebolire la funzione di coazione indiretta all’adempimento, propria dell’istituto.
La Corte, tuttavia, osserva come a tale tesi sia possibile replicare con argomentazioni logiche di carattere generale e particolare.
In generale, infatti, si rileva come una penale soltanto determinabile non è per questo meno dissuasiva di una penale predeterminata. La prima, invero, esonera pur sempre il creditore dall’onere della prova dell’esistenza e dell’ammontare del danno, mantenendo pertanto il proprio fondamento ed i suoi effetti.
Nel caso concreto, poi, la circostanza che la penale sia ancorata al valore dell’inadempimento e, dunque, che la prestazione sia solo determinabile a posteriori, non riduce affatto la funzione dissuasiva della penale. Essa, semmai, ne aumenta l’indole intimidatrice, avendo appunto l’intento di mettere in allerta la parte potenzialmente inadempiente sul fatto che tanto più esteso sia l’inadempimento, tanto più esteso potrà essere l’ammontare della penale.
In secondo luogo, la Suprema Corte reputa vincibile l’argomento che la prestazione oggetto della penale debba essere anticipatamente definita dalle parti, stante il suo carattere sanzionatorio.
Vi è in effetti un costante indirizzo della Corte, a detta della quale la clausola penale, pur nella complessità della sua fisionomia, svolge una funzione non tanto sanzionatorio-punitiva, quanto di risarcimento forfettario del danno. Essa, invero, è intesa a rafforzare il vincolo contrattuale ed a stabilire preventivamente la prestazione cui è tenuto uno dei contraenti qualora si renda inadempiente, con l’effetto di limitare a tale prestazione il risarcimento, indipendentemente dalla prova dell’esistenza e dell’entità del pregiudizio effettivamente sofferto (da ultimo Cass. n. 21398/2021).
Tale circostanza sarebbe altresì confermata dalla riducibilità, anche officiosa (Cass. SS.UU. n. 18128/2005), quand’anche le parti ne abbiano convenuto l’irriducibilità (Cass. n. 33159/2019), della penale manifestamente eccessiva (Cass. n. 1189/2018).
In tale quadro, superati i precedenti indirizzi, ad avviso della Corte deve preferirsi l’orientamento maggioritario secondo cui alla clausola penale deve applicarsi la disciplina generale dell’oggetto del contratto di cui agli artt. 1346 e ss. c.c., ove la determinabilità è equiparata alla determinatezza, purché sussistano nel contratto criteri sufficienti per la determinazione successiva, ossia a contratto già concluso.
A tale stregua la clausola in esame può essere tanto determinata quanto determinabile, talché la determinazione ben può avvenire ex post, purché sulla base di un criterio prefissato, di cui sia fatta applicazione in un momento successivo all’inadempimento.
In questa prospettiva, ipotizza la Corte, le parti possono convenire, ad esempio, il pagamento di una somma rapportata all’entità temporale di durata dell’inadempimento, o stabilire solo il tetto della penale, suscettibile di essere poi rapportata all’effettiva consistenza dell’inadempimento consumato (in questo senso Cass. n. 1189/2018), nel qual caso la penale viene determinata solo ex post.
In conclusione, la previsione secondo cui in caso di inadempimento “saranno applicate a carico della parte inadempiente penali pari al doppio del valore dell’inadempimento” ha, secondo la Corte di Cassazione, una vera e propria funzione di predeterminazione del danno. Essa, infatti, prestabilisce il danno in funzione di un parametro individuato ex ante – in questo caso il multiplo del valore accertato – e considerato dalle parti nella sua oggettività, tale da vincolare il giudice (fatto salvo il potere di riduzione, esercitabile tuttavia in conformità ai rigidi criteri fissati dalla Corte stessa).
Pertanto, una pattuizione del genere è conforme alla previsione dell’art. 1382 c.c.
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