La sesta sezione della Corte di Cassazione affronta la questione della sorte di un contratto preliminare di compravendita, nel caso in cui il promittente venditore non consegni il certificato di abitabilità dell’immobile al promissario acquirente.
La sentenza appare interessante, in particolare, per la valorizzazione del principio di buona fede, che costituisce l’argomento principe posto a fondamento della intera decisione.
La vicenda origina dalla impugnazione di un preliminare da parte del promissario acquirente, il quale ne lamenta l’inadempimento per effetto della mancata consegna della documentazione relativa alla abitabilità dell’immobile da parte del promittente venditore.
Il giudice di primo grado ritiene di rigettare la domanda di risoluzione, non rilevando, all’interno del regolamento contrattuale, la previsione di alcun obbligo di consegna, entro la data per la stipula del definitivo, dei documenti richiesti dal ricorrente.
La decisione di primo grado viene ribaltata dalla Corte d’Appello, rilevando l’erronea valutazione delle prove testimoniali espletate dal tribunale, dalle quali sarebbe, invece, emerso che il promissario acquirente avrebbe più volte sollecitato la controparte a fornire la documentazione richiesta. La costante inerzia di quest’ultima sarebbe stata causa, dunque, della mancata conclusione del contratto definitivo nel termine pattuito in sede di preliminare. Secondo i giudici, il fatto che il promittente venditore abbia garantito la totale regolarità dell’immobile, ma non abbia poi fornito la relativa attestazione scritta, impedendo la tempestiva conclusione del definitivo, configurerebbe un inadempimento contrattuale, suscettibile di giustificare la risoluzione del contratto.
La sentenza di secondo grado viene, allora, impugnata davanti alla Corte di Cassazione da parte del promittente venditore soccombente; il quale lamenta la falsa applicazione e l’estensione al contratto preliminare della disciplina codicistica del contratto di compravendita. Ma, anche stavolta, i giudici accolgono le ragioni della controparte acquirente.
Tre gli argomenti alla base della decisione, che – come si dirà – risultano tutti assorbiti all’interno del più generale ragionamento sul ruolo della buona fede oggettiva.
In primo luogo, occorre considerare lo specifico contenuto del contratto preliminare oggetto di impugnazione. A riguardo, la Cassazione ribadisce quanto affermato dai giudici di secondo grado, e cioè che sul promittente venditore grava un obbligo di consegna della documentazione de quo, in quanto corollario della assunzione della garanzia relativa alla regolarità urbanistica del bene.
In secondo luogo, viene in considerazione un dato di sistema. I giudici ritengono giustificato il rifiuto del promissario acquirente di addivenire alla stipula del contratto definitivo anche alla luce della funzione dell’istituto della proprietà immobiliare. Ciò sulla base dell’ovvia considerazione che ogni acquirente «ha interesse ad ottenere la proprietà di un immobile idoneo ad assolvere la funzione economico-sociale e a soddisfare i bisogni che inducono all’acquisto, e cioè la fruibilità e la commerciabilità del bene».
In vista di questo obiettivo, si spiega, dunque, il carattere essenziale del certificato di abitabilità dell’immobile compravenduto e, dunque, la necessità che il promittente venditore realizzi la garanzia con la consegna del documento (cfr. Cass., n. 15969/2000; Cass., n. 1514/2006; Cass., n. 10820/2009).
Non ultimo, secondo i giudici, occorre tenere in considerazione l’interpretazione delle norme in materia di contratto preliminare patrocinata dalla giurisprudenza. È orientamento oramai consolidato, infatti, quello secondo cui, in un preliminare a effetti anticipati, ove siano previsti sia il pagamento anticipato del prezzo, sia la consegna anticipata del bene, sul promittente venditore grava un obbligo specifico e ulteriore: allegare il certificato di abitabilità dell’immobile contestualmente alla consegna dell’immobile.
Sicché, nel caso di specie, a fronte delle richieste del promissario acquirente, in prossimità della data per la stipula del definitivo, la controparte avrebbe dovuto adempiere all’obbligo di consegna del certificato in questione.
Ma il passaggio più rilevante della sentenza in esame attiene alla lettura unitaria che i giudici intendono dare degli argomenti finora illustrati, ritenendoli espressione di un principio più generale, quello di correttezza e buona fede.
La Corte richiama, infatti, la centralità, nella materia contrattuale, del principio di buona fede oggettiva. Quest’ultima rappresenta un obbligo di solidarietà gravante sui contraenti, che accompagna ogni fase della vita del contratto (dalla formazione alla esecuzione, dalla interpretazione alla integrazione), imponendo loro di cooperare ciascuno alla realizzazione dell’interesse della controparte.
Più precisamente, tale clausola generale, assurgendo a limite di ogni situazione soggettiva, attiva o passiva, negozialmente attribuita, costituisce la fonte di obblighi ulteriori per le parti, idonei a integrare il contenuto e gli effetti del contratto. I contraenti, infatti, debbono tenere comportamenti solidaristicamente orientati che, pur non essendo previsti da specifici obblighi contrattuali, comunque impongono di preservare gli interessi dell’altro partner contrattuale.
Alla luce del principio in esame, la Corte, arriva, allora, a concludere nel senso che contrasta con la buona fede oggettiva il comportamento del promittente venditore, il quale rifiuta, reiteratamente, di consegnare alla controparte il certificato di abitabilità, dopo aver assunto la garanzia della regolarità urbanistica del bene.
Siffatta condotta giustifica, pertanto, l’accoglimento della domanda di risoluzione del contratto preliminare.
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