ISSN 2239-8570

Diritto di recesso del cliente ex art. 30 del T.U.F., di Chiara Sartoris

 

Cass., Sez. Un., 3 giugno 2013, n. 13905
In questa sentenza le Sezioni Unite si pronunciano sulla interpretazione dell’art. 30 del testo unico della finanza (D.lgs. n. 58 del 1998) con riferimento ad un caso di sottoscrizione di obbligazioni.
La vicenda riguarda la sottoscrizione, avvenuta su sollecitazione di un promotore finanziario, di obbligazioni risultate inesigibili a causa del sopravvenuto fallimento della società emittente. Il sottoscrittore di tali obbligazioni decide di rivolgersi al Tribunale di Palermo per dedurre la nullità dell’acquisto, facendo valere la mancata previsione, nel contratto, del diritto di recesso che l’art. 30, comma sesto, del T.U.F. attribuisce all’investitore in strumenti finanziari collocati dall’intermediario al di fuori della propria sede. Le ragioni dell’investitore trovano accoglimento tanto in primo quanto in secondo grado, per cui la banca soccombente decide di ricorrere in Cassazione, dolendosi della applicabilità, nel caso di specie, dell’art. 30, comma sesto, in questione, che, a suo dire, opererebbe solo con riguardo alle operazioni relative all’espletamento del servizio di collocamento.
Le Sezioni Unite si trovano, dunque, a stabilire se la nozione di “contratto di collocamento”, menzionata dall’art. 30, comma sesto, T.U.F. vada circoscritta ai soli contratti strettamente connessi e conseguenti alla prestazione del servizio di collocamento o se, invece, comprenda qualsiasi operazione in virtù della quale l’intermediario offre in vendita a clienti non professionali strumenti finanziari al di fuori della propria sede. La questione è controversa, sussistendo in dottrina e giurisprudenza opinioni diverse sulla portata della disposizione normativa in analisi.
Ancora di recente, la giurisprudenza della Cassazione ha espresso una posizione favorevole alla tesi restrittiva (v. Cass. n. 2065/2012; Cass. n. 4564/2012): in particolare, si è ritenuto che il diritto di recesso previsto a favore dell’investitore per contratti conclusi fuori sede e la connessa sanzione della nullità in caso di mancata comunicazione all’investitore del diritto di recesso sono circoscritti ai soli contratti di collocamento di strumenti finanziari; si è escluso, invece, che tale disciplina possa essere applicata nelle diverse ipotesi di contratti concernenti la prestazione del servizio di negoziazione di strumenti finanziari oppure di raccolta e trasmissione di ordini.
Tuttavia, tali precedenti hanno lasciato aperto il problema della corretta interpretazione dell’espressione “collocamento” menzionata nell’art. 30 T.U.F.
Le Sezioni Unite, nella consapevolezza della non decisività del mero criterio letterale, ragionano sulla ratio legis della disposizione, giungendo ad intendere il termine “collocamento” in senso ampio: e cioè “come sinonimo di atto negoziale mediante il quale lo strumento finanziario viene fatto acquisire al cliente e quindi inserito nel suo patrimonio (…), a prescindere dalla tipologia del servizio di investimento che abbia dato luogo a tale operazione”.
Sempre ragionando sulla ratio legis della disposizione, le Sezioni Unite decidono altresì di discostarsi dall’orientamento giurisprudenziale precedente e di optare per una interpretazione estensiva dell’art. 30 T.U.F., in modo da assicurare una tutela migliore al consumatore. Pertanto, si giunge ad affermare che il diritto di recesso riconosciuto dalla citata disposizione al venditore e la previsione di nullità dei contratti in cui tale diritto non sia contemplato “trovano applicazione non solo nel caso in cui la vendita fuori sede di strumenti finanziari da parte dell’intermediario sia intervenuta nell’ambito di un servizio di collocamento prestato dall’intermediario medesimo in favore dell’emittente o dell’offerente di tali strumenti, ma anche quando la medesima vendita fuori sede abbia avuto luogo in esecuzione di un servizio d’investimento diverso, ove ricorra la stessa esigenza di tutela”.

Cass., Sez. Un., 3 giugno 2013, n. 13905

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