ISSN 2239-8570

Domanda di rilascio di un immobile detenuto dal convenuto sine titulo: natura personale o reale?, di Chiara Sartoris


DOCUMENTI ALLEGATI

L’ordinanza interlocutoria che qui si segnala pone la questione relativa alla qualificazione della domanda con la quale l’attore chiede il rilascio di un immobile, detenuto dal convenuto sine titulo, del quale assuma di essere proprietario, senza chiedere anche l’accertamento della proprietà del bene. In particolare, le Sezioni Unite sono chiamate a stabilire, chiarendone il fondamento normativo, se tale azione debba qualificarsi come azione reale di rivendicazione ovvero personale di restituzione, poiché dalla soluzione di tale questione discende un diverso onere probatorio per l’attore.

Il problema si pone, nel caso di specie, per il fatto che la Corte d’Appello, adita dal presunto detentore, respinge la domanda di rilascio dell’immobile proposta dall’attore aderendo ad un isolato precedente di legittimità. Secondo la Corte d’Appello, la deduzione del convenuto di un contrastante diritto dominicale sul bene trasformerebbe l’azione personale di restituzione avanzata dall’attore in un’azione di rivendica; di conseguenza, l’attore dovrebbe dimostrare la proprietà del bene fornendo la prova del suo acquisto a titolo originario (in tal senso, si veda, di recente, Cass. n. 705/2013).

L’attore ricorre in Cassazione contro la sentenza impugnata per avere questa indebitamente modificato i termini della controversia ritenendo che l’azione da lui proposta si sarebbe trasformata da personale in reale. Il ricorrente sostiene che tale azione abbia avuto, fin dall’origine, carattere personale, essendo stata dedotta a fondamento della domanda la detenzione non titolata (abusiva) dell’immobile da parte del convenuto. Pertanto, la titolarità del bene è stata da lui allegata a sostegno della propria legittimazione ad agire, e non come fatto costitutivo della domanda. Richiamandosi all’orientamento assolutamente dominante della giurisprudenza di legittimità (v. Cass. n. 13605/2000; Cass. n. 2908/2001; Cass. n. 4416/2007), il ricorrente sottolinea come, in tema di difesa della proprietà, l’azione personale di restituzione abbia natura e presupposti diversi da quella reale di rivendicazione: con la prima, l’attore intende ottenere non il riconoscimento del diritto di proprietà, del quale non deve fornire la prova, bensì la riconsegna del bene; per questo motivo può limitarsi a dimostrare l’avvenuta consegna in base ad un titolo e il successivo venir meno di questo per qualsiasi causa, o allegare l’insussistenza ab origine di qualsiasi titolo. Di conseguenza, la difesa del convenuto che pretenda di essere proprietario del bene non sarebbe idonea  a trasformare in personale l’azione proposta nei sui confronti.

La Corte di Cassazione ritiene di non poter condividere la tesi sostenuta dal giudice di secondo grado, a fronte del predetto orientamento dominante della giurisprudenza di legittimità. Al tempo stesso, tuttavia, essa rileva come la complessità del problema sia aggravata dalla necessità di chiarire “il fondamento normativo in base al quale qualificare come personale un’azione di cui sembrerebbero piuttosto sussistenti i presupposti dell’azione prevista dall’art. 948 cod. civ.” (Azione di rivendicazione): in effetti, sembra difficile comprendere come la deduzione dell’attore di essere proprietario del bene detenuto sine titulo dal convenuto sia circostanza di per sé idonea “a qualificare come personale un’azione che si fonda esclusivamente sul diritto di proprietà dell’attore”.

In considerazione di ciò, l’attore dovrebbe offrire la prova del fatto costitutivo dell’azione, poiché tale accertamento costituisce l’antecedente logico-giuridico necessario per decidere la consequenziale domanda di rilascio del bene detenuto dal convenuto (a prescindere dalla circostanza che l’attore non abbia formulato un’espressa domanda di accertamento della proprietà).

Pubblicato in Ordinanze di rimessione

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