ISSN 2239-8570

Il problema della forma nei contratti di intermediazione finanziaria: il pluralismo di formalismi, di Chiara Sartoris


DOCUMENTI ALLEGATI

Con l’ordinanza che qui si segnala, la Corte di Cassazione invoca l’intervento delle Sezioni Unite per chiarire il rilievo della forma scritta nei contratti bancari.

Ci si chiede se la sottoscrizione del contratto da parte della banca, prescritta dall’art 23 del d.lgs 58/1998 (TUF), sia necessaria ad subastantiam, insieme a quella dell’investitore, al fine di garantire la valida conclusione di un contratto di gestione su base individualizzata di portafogli di investimento.

Di regola, nella prassi del settore bancario la conclusione del contratto-quadro viene attuata con la sottoscrizione di quest’ultimo, e resta in possesso della banca, mentre al cliente viene consegnato un altro documento, identico al primo, a firma della banca. In tal modo, ciascuna parte può disporre, a seguito di scambio documentale, dell’originale sottoscritto dall’altra.

La giurisprudenza di legittimità ha già affrontato, in passato, il diverso problema della mancanza di sottoscrizione del cliente nel contratto d’investimento (cd contratto-quadro). A riguardo, l’art 23 del TUF sancisce la nullità delle operazioni successivamente compiute dalla banca, per difetto di un indispensabile requisito di forma richiesto dalla legge a protezione dell’investitore. La Cassazione esclude altresì la possibilità di una ratifica tacita del contratto, cioè l’utilizzo di un rimedio anch’esso privo di forma scritta.

Non vi è unanimità di vedute in giurisprudenza, invece, circa la questione della validità di un contratto di investimento non sottoscritto dalla banca. Due gli orientamenti che si sono delineati. Secondo una prima impostazione (Cf. Cass., 36/2017; Cass., 5919/2016; Cass., 8395-839672916; Cass. 4564/2912), il requisito della sottoscrizione da parte della banca sarebbe parimenti essenziale per due ragioni fondamentali. In primo luogo, lo stesso art 23 del TUF imporrebbe una forma bilaterale ad substantiam. In secondo luogo, la produzione in giudizio, da parte della banca, del contratto-quadro non sottoscritto non costituirebbe idoneo equipollente della sua sottoscrizione.

Un diverso orientamento muove, invece, dalla considerazione che dottrina e giurisprudenza non sono unanimi nello stabilire se la sottoscrizione della banca costituisca un requisito necessario ai fini della validità del contratto, ove sussista comunque la firma del cliente.

A riguardo, la sentenza qui in esame richiama quelle elaborazioni dottrinali sulla teoria della forma, che hanno messo in evidenza come non tutte le prescrizioni di forma siano uguali. Nell’ambito dei rapporti contrattuali paritari, la forma ad substantiam, propria degli scambi immobiliari tipici dell’economia fondiaria, funge da criterio di imputazione della dichiarazione e da strumento di chiarezza e ponderazione dell’impegno assunto dalle parti, nonché della serietà dell’accordo. Ben diversa è la funzione assunta dalla forma nell’ambito di rapporti asimmetrici. In quest’ultimo caso, la forma persegue una finalità spiccatamente protettiva, essendo diretta a proteggere lo specifico interesse del contraente debole, al fine di garantire che questi sia compiutamente informato su tutti gli aspetti della vicenda contrattuale.

La dottrina utilizza, a riguardo, la locuzione “formalismo negoziale” o “neoformalismo” proprio per sottolineare la peculiare importanza assunta dalla forma nei contratti tra parti in posizioni asimmetriche, coerentemente con l’elaborazione di nuovi fenomeni contrattuali derivanti dallo sviluppo dei mercati, soprattutto di quello finanziario e digitale. Funzione protettiva quella della forma che si spiega in ragione della rischiosità del negozio che l’investitore o cliente si appresta a stipulare.

La violazione del requisito di forma, nell’ambito dei contratti asimmetrici, è sanzionata con la cd nullità di protezione, che – come noto – si atteggia a nullità relativa, in quanto posta a tutela della sola parte debole, ma anche, indirettamente, dell’interesse più generale al rispetto della concorrenza e alla efficienza del mercato. Quindi tale rimedio può essere fatto valere solo dal cliente, ma la nullità può anche essere rilevata d’ufficio dal giudice nell’esclusivo interesse e vantaggio del cliente stesso, ossia al fine di garantirne la libertà di scelta.

Viene, dunque, in considerazione il noto concetto di forma di protezione. In questi casi, la nullità non si atteggia in senso tradizionale a nullità “di struttura”, bensì opera come nullità “di funzione”: i requisiti formali non costituiscono solo uno strumento di manifestazione della volontà, in quanto consentono, altresì, la trasmissione di dati e informazioni essenziali per la contrattazione.

Peraltro, il carattere speciale della nullità di protezione è stato evidenziato anche dalla giurisprudenza europea, la quale ha affermato, nell’ambito dei casi Pannon (CG, sentenza 4 giugno 2009, C-243/08) e Banco Espanol de Crèdito (CG, 14 giugno 2012, C-618/2010), che la nullità in esame può essere fatta valere solo da parte del contraente a cui favore è dettata e che il giudice deve non applicare una clausola abusiva, salva l’opposizione del consumatore.

Con particolare riguardo ai contratti bancari e finanziari, l’ordinamento europeo non mostra di ritenere rilevante una forma scritta, sulla base della considerazione che gli obiettivi di trasparenza sottesi al vincolo formale ben possono essere raggiunti anche con altri strumenti, quali i supporti cartacei o le bozze del documento. A conforto di questa impostazione, l’ordinanza in esame richiama la direttiva sui servizi di pagamento (2007/64/CE) e la direttiva sui contratti di credito ai consumatori (2008/48/CE), che confermano la tendenza a ridurre il rilievo del formalismo negoziale in funzione di obiettivi di trasparenza.

In questa logica, secondo la Cassazione, dovrebbe essere impostata anche la questione se il cliente sia pregiudicato, nella sua completa e consapevole autodeterminazione, dalla mancanza di firma della banca sul contratto-quadro.

L’orientamento seguito dalla ordinanza in esame ammette che la sottoscrizione da parte del cliente sia sufficiente a integrare il requisito della forma scritta ex art 23 TUF. La sottoscrizione della banca non sarebbe, invece, necessaria affinché il contratto sia perfetto, potendo essere manifestata in qualsiasi forma ammessa dall’ordinamento.

Questa impostazione mette in evidenza, innanzitutto, quello che è stato definito come un “pluralismo di formalismi”, in considerazione delle diverse funzioni assegnate dall’ordinamento alla forma e delle conseguenze che ne derivano.

In secondo luogo, si evidenzia che la irrilevanza della sottoscrizione della banca risponderebbe alla necessità di evitare una lettura dell’art 23TUF disfunzionale e inefficiente per il mercato finanziario, derivante da usi opportunistici dello strumento formale. Il riferimento è ai casi in cui il contraente deduca la nullità del contratto eseguito fino a quel momento senza contestazioni da entrambe le parti. Così come ai casi di uso cd selettivo della nullità del contratto-quadro, in quanto rivolta esclusivamente a produrre effetti nei confronti di alcuni acquisti di prodotti finanziari, col rischio di un uso abusivo del diritto.

Si osserva, poi, in senso critico, che anche a voler accogliere la tesi per cui la sottoscrizione della banca costituisca requisito di forma “ad substantiam”, si porrebbe la questione se, stante la retroattività degli effetti della nullità, la banca sia legittimata a ripetere quanto versato a favore del cliente, o se, a fronte dell’uso selettivo della nullità, l’intermediario possa eccepire la violazione della buona fede contrattuale.

Si adombra, in ultimo, anche un’altra questione da tempo dibattuta: se sia possibile ipotizzare la convalida del contratto nullo, ove tale nullità relativa venga considerata uno di quei casi in cui la legge “dispone diversamente”, ai sensi dell’art 1423 c.c.. In particolare, si tratta di stabilire se la possibilità giuridica per l’investitore, evidenziata dalle SSUU n. 26242-26243/2014, di opporsi alla declaratoria della nullità, implichi una speculare possibilità giuridica di provvedere a convalidare il contratto mediante i comportamenti concretamente tenuti.

Tutto ciò considerato, è evidente che l’ordinanza in esame pone questioni di particolare interesse e delicatezza, tali da richiedere l’intervento delle Sezioni Unite. Da un lato, sono condivisibili talune criticità rilevate dalla Cassazione in ordine alla teoria della nullità per violazione del requisito di forma: esigere la sottoscrizione della banca pare contrastare con il dinamismo della contrattazione finanziaria e con l’efficienza dei mercati, obiettivi che sono sottesi, in definitiva, anche alla stessa nullità di protezione. Dall’altro lato, emerge, però, la necessità di assicurare una tutela piena ed effettiva alla parte debole del rapporto, la quale non potrebbe invocare il rimedio della nullità ove la “forma informativa” concretamente impiegata sia stata sufficiente a trasmettere l’informazione contrattuale: il neoformalismo implica, infatti, la necessità non tanto che il contratto abbia una certa forma, quanto che sia scritto in modo trasparente e intelligibile.

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