Le Sezioni Unite risolvono la questione, sollevata con l’ordinanza n. 106/2017, della struttura e del funzionamento da riconoscere alle molteplici fattispecie di donazione indiretta.
La questione si è posta con particolare riguardo alla qualificazione da riconoscere ad una operazione attributiva di strumenti finanziari dal patrimonio del beneficiante in favore di un altro soggetto, compiuta a titolo liberale attraverso una banca chiamata a dare attuazione all’ordine di trasferimento dei titoli impartito dal titolare, con operazioni contabili di addebitamento e di accreditamento.
Ci si è chiesti, in giurisprudenza, se siffatta operazione bancaria possa essere inquadrata tra le donazioni tipiche ex art. 769 c.c. o se, invece, si sia alla presenza di una donazione indiretta, cioè di una fattispecie in cui gli effetti di liberalità si producono non direttamente, attraverso lo schema tipico, ma in via mediata, attraverso strumenti giuridici diversi, piegati in concreto al perseguimento della causa donandi.
La scelta per l’una o l’altra opzione interpretativa è di particolare importanza in quanto, alle due fattispecie di donazione, si applicano discipline diverse; e soprattutto, la soluzione alla questione delineata consente di risolvere il connesso problema della forma della donazione indiretta, trattandosi di stabilire se il negozio debba seguire la forma della causa donandi in concreto perseguita, cioè la forma solenne, ovvero, se debba presentare la forma propria dello strumento giuridico utilizzato a scopo donativo, cioè la forma del negozio-mezzo.
Nel dare risposta al quesito sottoposto alla loro attenzione, le Sezioni Unite passano in rassegna le principali fattispecie che l’esperienza giurisprudenziale ha ricondotto nell’ambito della donazione indiretta e quelle che, invece, sono state considerate vere e proprie donazioni dirette.
I giudici annoverano tra le donazioni indirette, per le quali, dunque, non è necessario osservare la prescrizione di forma solenne, le seguenti fattispecie: il contratto a favore di terzo; la cointestazione, con firma e disponibilità disgiunte, di una somma di denaro depositata presso un istituto di credito; la cointestazione di buoni postali fruttiferi operata da un genitore per ripartire tra i figli anticipatamente le proprie sostanze; il pagamento di una obbligazione altrui compiuto da un terzo per spirito di liberalità verso il debitore; l’intestazione di beni a nome altrui; la stipulazione di un contratto oneroso con un corrispettivo molto inferiore al valore reale del bene ovvero eccessivamente alto, a beneficio, rispettivamente, dell’acquirente o dell’alienante; la rinuncia abdicativa.
I tutti questi casi, il negozio o la combinazione di più atti o negozi può dar luogo a una liberalità, che costituisce la conseguenza non diretta né principale del negozio giuridico posto in essere, avente, invece, una causa indiretta.
Diversamente è a dirsi per quelle fattispecie di liberalità che la giurisprudenza riconduce nello schema del contratto di donazione ex art. 789 c.c. in quanto, in questi casi, la liberalità non è un effetto indiretto dell’operazione, ma è la causa della stessa. Si pensi al trasferimento del libretto di deposito a risparmio al portatore, effettuato dal depositante al terzo possessore al fine di compiere una liberalità; alle liberalità attuate a mezzo di titoli di credito; all’elargizione di somme di denaro di importo non modico mediante assegni circolari, qualora il beneficiante chieda alla banca, presso cui è titolare di un conto corrente, la formazione di un certo numero di assegni circolari intestati a favore del beneficiario, disponendo che il relativo importo sia addebitato a quel conto su cui è autorizzato a operare anche il beneficiario; all’accollo interno con cui l’accollante, al fine di arricchire un familiare, si impegni verso quest’ultimo a pagare alla banca le rate del mutuo da quello contratto.
Ciò premesso, le Sezioni Unite si soffermano sugli elementi che distinguono le liberalità non donative dal contratto di donazione. La donazione indiretta, infatti, non si identifica in toto con il contratto di donazione previsto dall’art. 789 c.c., innanzitutto, perché si traduce in liberalità che
possono essere realizzate con atti diversi dal contratto; o con contratti intercorrenti non direttamente tra donante e donatario, bensì rispetto ai quali il beneficiario è un soggetto terzo; o con contratti caratterizzati dalla presenza di un nesso di corrispettività tra le attribuzioni patrimoniali; ovvero con la combinazione di più negozi. In secondo luogo, la sola donazione diretta consente il trasferimento immediato di ingenti valori patrimoniali da un soggetto a un altro, giustificando così il rigoroso vincolo di forma prescritto dall’art. 782 c.c..
Alla luce di queste considerazioni, le Sezioni Unite giungono a risolvere la specifica questione rimessa alla loro attenzione. I giudici ritengono di discostarsi dall’orientamento che riconduce nella figura della donazione indiretta l’operazione bancaria di trasferimento di titoli su conto corrente a favore di un terzo, mediante l’ordine impartito dal titolare alla banca depositaria degli stessi.
Si tratterebbe, piuttosto, di una vera e propria donazione diretta per due ragioni. In primo luogo, perché «gli strumenti finanziari che vengono trasferiti al beneficiario attraverso il virement provengono dalla sfera patrimoniale del beneficiante»; in secondo luogo, perché «il trasferimento si realizza, non attraverso un’operazione triangolare di intermediazione giuridica, ma, più semplicemente, mediante un’attività di intermediazione gestoria dell’ente creditizio» in quanto il bancogiro costituirebbe una mera modalità di trasferimento di valori dal patrimonio di un soggetto a favore del patrimonio di un altro.
Pertanto, il trasferimento derivante dall’operazione di bancogiro, lungi dal fondarsi su un rapporto trilaterale, eseguito da un soggetto diverso dall’autore della liberalità (la banca), sulla base del rapporto di mandato tra beneficante e banca, troverebbe, piuttosto, la propria giustificazione causale nel rapporto intercorrente tra l’ordinante-disponente e il beneficiario. Ne consegue poi la necessità di stabilire se l’accreditamento, che di per sé costituisce un atto neutro, sia effettivamente sorretto da una giusta causa e, ove si tratti di causa donandi, occorre altresì accertare la sussistenza dell’atto pubblico di donazione tra beneficiante e beneficiario.
In tal modo, le Sezioni Unite giungono a escludere che l’operazione in esame possa essere ricondotta, quale liberalità indiretta, nello schema del contratto a favore di terzo ovvero nell’ipotesi di cointestazione di deposito bancario. Si tratta, piuttosto, di una donazione tipica ad esecuzione indiretta.
Le sezioni Unite suggeriscono così una interessante scomposizione in due fasi dell’operazione donativa, ferma restando la struttura unitaria della medesima.
La donazione in esame, in sé, è diretta, se sorretta da causa donandi, poiché trova giustificazione nel rapporto intercorrente tra il beneficiante e il beneficiario. Tanto è vero che, al fine di evitare la ripetizione dell’indebito, si rende necessaria la forma dell’atto pubblico per l’attribuzione patrimoniale, a meno che non si tratti di una ipotesi di donazione di modico valore.
L’intervento della banca viene in considerazione solo nella fase esecutiva del trasferimento, quale adempimento dello iussum del beneficiante: la donazione è sì tipica, ma la sua esecuzione è indiretta, in quanto è la banca, non il disponente, che attua materialmente il trasferimento patrimoniale dal conto del donante a quello del donatario. Cionondimeno, l’intervento della banca non vale a escludere il carattere di donazione diretta dell’operazione, se alla base del trasferimento vi è un valido titolo giustificativo nei rapporti tra disponente e beneficiario.
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