Con l’ordinanza interlocutoria in esame la prima sezione della Corte di Cassazione chiede l’intervento della Corte Costituzionale reputando non manifestamente infondato il dubbio di legittimità costituzionale relativo all’art. 27, comma 3, della legge n. 184/1983 in materia di adozione dei minori. Si tratta di un’ordinanza di particolare interesse, in quanto esprime la necessità di riflettere sulla questione della configurabilità, nell’ordinamento italiano, di una pluralità di modelli di adozione, anche diversi da quello tipizzato dal legislatore, caratterizzato dalla cessazione dei rapporti con la famiglia d’origine.
Nel caso di specie, la questione origina da una drammatica vicenda familiare di femminicidio: a seguito della morte di una donna per mano del marito, poi condannato a sedici anni di reclusione, il tribunale per i minorenni di Milano dichiara decaduto da responsabilità genitoriale quest’ultimo, nonché lo stato di adottabilità dei due figli minori della coppia, disponendo l’interruzione di ogni rapporto tra questi e il padre. I minori vengono, dunque, affidati ai prozii paterni residenti in Gran Bretagna. Contro tale provvedimento propone appello il tutore dei minori e la nonna materna, la quale, non potendo occuparsi personalmente di loro, chiede di collocarli presso una famiglia adottiva, reputando che la coppia di prozii non fosse idonea a occuparsi di loro. La Corte d’Appello accoglie il ricorso stabilendo che lo strumento più adeguato per la tutela dei minori nel caso di specie sia l’adozione piena; ma, nel contempo, dispone la conservazione della significativa relazione esistente con la nonna materna e con i familiari del ramo paterno.
Successivamente, la prima sezione della Corte di Cassazione è destinataria di un ricorso da parte del Procuratore Generale presso la Corte stessa, con il quale viene contestata la decisione dei giudici di secondo grado per aver «innestato illegittimamente sull’adozione legittimante le caratteristiche proprie dell’adozione mite, con la previsione della conservazione dei legami con la famiglia d’origine, nonostante la espressa previsione contraria contenuta nell’art. 27 l. n. 184 del 1983». Il rilievo nomofilattico evidenzia il delicato problema della compatibilità, nel quadro della disciplina dell’adozione, della previsione di non recidere i legami con la famiglia d’origine attualmente esclusa dal citato art. 27, comma 3, della legge n. 184/1983, soprattutto nei casi, come quello in esame, in cui non vi siano rimedi alternativi all’adozione legittimante e risulti accertato un pregiudizio per lo sviluppo psico-fisico dei minori proprio in conseguenza della recisione dei legami con la famiglia d’origine. In altri termini, l’assolutezza dell’effetto proprio dell’adozione legittimante – secondo il Procuratore Generale – talvolta potrebbe acuire il trauma derivato dalla perdita di entrambi i genitori per effetto dell’aggiunta della definitiva recisione dei legami con importanti figure di riferimento nel contesto familiare d’origine.
La rilevanza e l’attualità della questione in esame emergono non solo dalla sua novità, ma anche dalla preminente esigenza di regolare un settore della vita sociale che è reputato “nevralgico”, involgendo una categoria di soggetti vulnerabili – i minori orfani dei reati di femminicidio (c.d. minori speciali) – particolarmente delicata e meritevole di protezione, in considerazione della lesione di «diritti fondamentali della persona minore di età che ha vissuto gravi traumi emozionali».
Ma vi è di più. Accanto alla richiesta principale di formulare principio di diritto ex art. 363, comma 3, c.p.c., il Procuratore Generale, riflettendo sull’assolutezza del dettato dell’art. 27, comma 3, della legge n. 184/1983, propone anche, in via subordinata, la richiesta di rimessione della questione alla Corte Costituzionale, affinché valuti «la tenuta costituzionale di una norma (l’art. 27) in un contesto sociale profondamente mutato, quale quello attuale, dove la recisione dei legami con i nuclei familiari originari, pur essendo frequentemente necessaria, non sempre è criterio adeguato per fornire una tutela sostitutiva ed effettiva alle situazioni dolorose generate da forme di violenza familiare ed assistita».
La prima sezione della Corte di Cassazione condivide la richiesta formulata in via subordinata dalla Procura Generale, reputando impossibile un’interpretazione costituzionale della norma, in quanto il sistema normativo in tema di adozione di cui alla legge n. 184/1983 si fonda su un inscindibile nesso causale tra dichiarazione di adottabilità e dichiarazione di adozione con automatico effetto di recisione dei legami, non superabile in via interpretativa. A fondamento di tale posizione la Corte pone la riflessione sulla ratio dell’art. 27 in esame, individuata nella esigenza di offrire un modello di genitorialità adottiva che sia pienamente sostitutiva di quella biologica, in modo da creare una netta discontinuità rispetto al quadro familiare da cui è scaturita la situazione di abbandono.
Nel contempo, tuttavia, occorre rilevare, altresì, come tale rigida impostazione sia già stata temperata in via legislativa dalle modifiche apportate dalla legge n. 149/2001, la quale riconosce il diritto del figlio adottivo di conoscere le proprie origini a partire dall’età di venticinque anni, nonché il dovere dei genitori adottivi di informare il figlio adottivo del suo peculiare status filiale. La Corte, consapevole di ciò e in considerazione del mutato contesto sociale e culturale degli ultimi anni, reputa che la formulazione dell’art. 27, comma 3, non sia più in sintonia con la realtà attuale. Ad avviso dei giudici, sebbene tale formulazione non permetta di superare in via interpretativa l’assolutezza della regola ivi sancita, l’inderogabilità della recisione dei legami con la famiglia d’origine non costituisce sempre la soluzione preferibile per il minore.
Per queste ragioni, l’unica strada percorribile – ad avviso della Corte – è proprio quella di rimettere la questione di legittimità costituzionale della disposizione alla Corte Costituzionale. Il dubbio di legittimità costituzionale viene argomentato alla luce di interessanti considerazioni. I giudici evidenziano come la rigidità del modello normativo vigente non abbia impedito alla giurisprudenza minorile di elaborare un’interpretazione estensiva dei modelli di genitorialità adottiva non legittimanti. Il riferimento è, in particolare, all’interpretazione che oggi viene data dell’art. 44, lett. d), della legge n. 184/1983, da cui deriva l’emersione della c.d. adozione mite: un modello di adozione maggiormente flessibile che consente di valutare in concreto il preminente interesse del minore. Quest’ultimo, infatti, permette di offrire una famiglia adottiva al minore senza interrompere il legame con i genitori biologici ogniqualvolta questa determinazione arrecherebbe pregiudizio al minore.
Con particolare riguardo alla questione di costituzionalità, inoltre, numerosi sono i parametri costituzionali con i quali il modello normativo vigente è reputato in contrasto con la Costituzione: in primis, gli artt. 2 e 3 Cost., non solo perché esso «non consente di mettere in campo tutte le energie affettive e relazionali (…) che possono contribuire alla costruzione dell’identità ed allo sviluppo equilibrato della personalità dei minori»; ma anche perché «determina un’ingiustificata disparità di trattamento con gli altri modelli di genitorialità adottiva (…) per i quali non è normativamente prevista la recisione dei legami con i nuclei familiari di origine». Inoltre, l’inderogabilità dell’art. 27, comma 3, appare in contrasto con l’art. 117 Cost. in relazione alla violazione dell’art. 8 CEDU, come interpretato dalla giurisprudenza europea, la quale, da sempre, riconduce nell’ambito del diritto alla vita familiare il diritto del minore a non vedere recisi i legami con il nucleo familiare d’origine quando ciò sia conforme al suo preminente interesse.
In attesa del pronunciamento della Corte Costituzionale, è possibile osservare come l’ordinanza interlocutoria in esame sollevi una rilevante questione interpretativa che tocca le fondamenta stesse della disciplina dell’adozione: le recenti tendenze interpretative della giurisprudenza, invero, hanno messo in moto un processo di avvicinamento delle norme in materia di adozione piena e delle norme in materia di adozione in casi particolari. Si registra, dunque, il sostanziale passaggio da un sistema rigidamente monista a un sistema pluralistico, caratterizzato dalla commistione di aspetti di disciplina afferenti a istituti diversi, nel tentativo di adeguare i modelli normativi di genitorialità adottiva alle molteplici nuove situazioni meritevoli di tutela. D’altra parte, la stessa Corte costituzionale con la recente sentenza n. 79/2022 ha ulteriormente contribuito a rendere omogeneo lo statuto dei diritti del minore nel sancire l’illegittimità costituzionale dell’art. 55 della legge n. 184/1983 nella parte in cui prevede che l’adozione in casi particolari non stabilisce alcun rapporto civile tra l’adottato e la famiglia dell’adottante. Nel contempo, tuttavia, la dottrina e anche il legislatore sono chiamati a riflettere sulla opportunità di una moltiplicazione e commistione di modelli di adozione che metta in crisi la disciplina attuale e la sua ratio, attraverso la creazione di figure ibride non sempre necessarie e talvolta difficilmente distinguibili anche dallo strumento dell’affidamento familiare.
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