I contratti di intermediazione finanziaria tornano nuovamente all’attenzione dei giudici di legittimità per l’esame di una questione che è stata rimessa al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.
La questione riguarda la portata della sentenza che dichiari la nullità di un contratto quadro per difetto di forma ex art. 23 del d.gls. n. 58/1998. Ci si chiede se l’investitore, quale soggetto legittimato ad agire, possa fare un uso “selettivo” della nullità, chiedendo al giudice di limitare le conseguenze della sentenza di nullità ai soli contratti attuativi del contratto quadro invalido per difetto di forma, escludendo che la patologia si estenda a colpire tutte le altre operazioni contrattuali poste in essere nel corso del rapporto di intermediazione finanziaria.
È di tutta evidenza come il problema appena tratteggiato sia di grande delicatezza e importanza perché intereccia temi specifici della disciplina della intermediazione finanziaria con la disciplina generale della nullità del contratto.
Secondo la prima sezione, un corretto esame di questo problema impone di affrontare due aspetti logicamente consequenziali: in primo luogo, va risolta la questione a monte, concernente l’eventuale nullità del contratto quadro recante la firma del solo investitore; in secondo luogo, si può porre l’ulteriore questione relativa alla ammissibilità e non contrarietà a buona fede della c.d. nullità selettiva.
Tali temi sono già stati più volte esaminato dai giudici di legittimità, i quali hanno prospettato due letture divergenti.
Un primo orientamento muove dalla ratio della nullità per difetto di forma ex art. 23 del d.lgs. n. 58/1998: trattandosi di una nullità di protezione, posta a tutela dell’investitore quale parte debole del contratto, non sarebbe sufficiente, ai fini del giudizio di validità, la sottoscrizione del contratto quadro da parte del solo investitore, occorrendo la sottoscrizione di entrambi i contraenti. Conseguentemente, se questa è la logica della nullità e x art. 23, ben sarebbe possibile, per l’investitore, eccepire tale invalidità anche limitatamente ad alcuni degli ordini di acquisto mediante i quali è stata data esecuzione al contrato viziato (cfr. Cass., n. 8395/2016).
Altre pronunce pervengono, invece, a risultati opposti in nome dell’esigenza «di scongiurare uno sfruttamento “opportunistico” della normativa di tutela dell’invesitore». Pur non negando in radice la possibiltà di un utilizzo selettivo della nullità, l’orientamento in esame ritiene necessario offrire una tutela adeguata anche all’intermediario finanziario in tutti i casi in cui si accerti il ricorso pretestuoso alla nullità di protezione di cui all’art. 23 del d.lgs. n. 58/1998 da parte dell’investitore. Nelle ipotesi di abuso del diritto, l’intermediario, pertanto, potrebbe paralizzare la pretesa abusiva di quest’ultimo opponendo l’exceptio doli generalis.
In realtà, il dibattito richiamato deve, oggi, essere inquadrato alla luce dalla rencente sentenza con cui le Sezioni Unite si sono pronunciate sulla questione a monte: secondo i giudici, va negata la nullità del contratto quadro recante la sola sottoscrizione dell’investitore (cfr. Sez. Un., n. 16 gennaio 2018, n. 898). Questa statuizione, tuttavia, non consente di risolvere immediatamente anche la questione a valle. In mancanza di un quadro giurisprudenziale chiaro sul tema della estensione della domanda di nullità ai negozi posti in essere in esecuzione del contratto quadro nullo, la prima sezione rileva il contrasto interpretativo.
Peraltro, ad avviso dei giudici, non sarebbe possibile negare a priori il ricorso alla nullità selettiva. Si esclude, invece, che all’investitore, il quale chieda la declaratoria di nullità di singole e selezionate operazioni di investimento, possa essere opppsta l’exceptio doli generalis. Quest’ultima – viene precisato – potrebbe essere legittimamente opposta solo in relazione a un contratto quadro formalmente esistente, non quando questo sia affetto da nullità per difetto di forma scritta.
Il dibattito, dunque, è aperto.
Appare chiaro, però, come nella scelta per l’una o l’altra opzione ricostruttiva si nasconda, in realtà, la scelta tra due diverse prospettive di fondo. Riconoscere all’investitore la possibilità di invocare un uso selettivo della nullità, limitandola solo a singole fattispecie negoziali di una più complessa operazione economico-giuridica significa, indubbiamente, rendere ancora più forte e incisiva la protezione del contraente debole. La nullità di protezione, pertanto, non solo sarebbe a legittimazione ristretta e a parzialità necessaria, ma, nell’ambito di operazioni negoziali complesse, potrebbe anche veder modulati i suoi effetti, in modi via via diversificati, a seconda delle esigenze. Nel contempo, si staglia l’altrettanto condivisibile esigenza di evitare forme di sovraprotezione dell’investitore, in pregiudizio della controparte, riconoscendo a quest’ultima strumenti idonei a tutelarsi contro eventuali condotte abusive del primo.
Alle Sezioni Unite viene, dunque, rimesso il compito di trovare un adeguato punto di equilibrio tra le contrapposte esigenze di garantire gli investimenti operati dai privati con i loro risparmi, da un lato, e di tutelare la posizione dell’intermediario, nonché l’interesse più generale alla certezza dei mercati in materia di investimenti finanziari, dall’altro.
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