La terza sezione della Corte di Cassazione chiede l’intervento delle Sezioni Unite per ottenere un chiarimento su una questione di massima di particolare importanza: quella del necessario bilanciamento tra il diritto di cronaca, posto al servizio dell’interesse pubblico all’informazione, e il diritto all’oblio, posto a protezione della riservatezza della persona.
Tale questione si mostra, oltretutto, di particolare attualità alla luce dell’attuale contesto normativo, che risulta profondamente innovato dalla entrata in vigore del Regolamento UE n. 2016/769, in materia di privacy.
Nel caso di specie il ricorrente lamenta la lesione del proprio diritto all’oblio, garantito dall’art. 2 Cost., cioè del diritto a essere dimenticato anche dopo aver commesso fatti penalmente rilevanti. Il ricorrente si era, infatti, reso responsabile penalmente di un grave fatto di reato, che aveva avuto una discreta notorietà, soprattutto a livello locale. Tale fatto, tuttavia, risaliva a diversi anni prima ed egli aveva già scontato tutta la pena, tanto che si è oramai riabilitato e reinserito nel tessuto sociale della sua città.
Per questi motivi, il ricorrente ritiene profondamente lesivo del proprio diritto all’oblio la pubblicazione di un articolo giornalistico in cui si rievoca il fatto di reato da lui commesso in precedenza, accompagnato da una sua foto e con l’indicazione completa delle sue generalità.
Tanto in primo, quanto in secondo grado, i giudici di merito respingono l’azione proposta contro il giornalista e il quotidiano, ritenendo che nella specie non si era realizzata «nessuna gratuita e strumentale rievocazione del delitto (…), nessuna ricerca di volontaria spettacolarizzazione, come anche nessuna violazione (…) al principio della continenza delle espressioni, come nessuna offesa triviale o irridente del sentimento umano».
La Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi sul tema, muove le sue riflessioni da una attenta ricognizione del quadro normativo e giurisprudenziale, tanto interno, quanto eurounitario.
Al fine di comprendere se ci sia stata una violazione del c.d. diritto all’oblio, i giudici delimitano l’ambito di operatività sia di questa posizione soggettiva, sia del contrapposto diritto di cronaca, trattandosi di diritto collegato “in coppia dialettica” al primo.
Quest’ultimo viene definito come un diritto pubblico soggettivo, riconducibile nel più ampio principio di libera manifestazione del pensiero e della stampa, di cui all’art. 21 Cost., che si traduce nel potere-dovere, spettante al giornalista, di portare a conoscenza dell’opinione pubblica fatti, notizie e vicende interessanti la vita sociale.
Nonostante l’importanza fondamentale del suo contenuto, tale diritto, tuttavia, non ha una estensione limitata. A riguardo, la giurisprudenza ha puntualizzato i presupposti in presenza dei quali il suo esercizio risulta legittimo: l’utilità sociale dell’informazione, la verità dei fatti esposti, la forma civile della esposizione (cfr. Cass., Sez. Un. Pen., n. 8959/1984; Cass., I sez. civ., 5259/1984). La Corte rileva come tali requisiti assumano rilevanza non soltanto come fattori legittimanti l’iniziale diffusione della notizia, ma anche come elemento persistente nel tempo, volto a escludere l’antigiuridicità delle successive rievocazioni.
Sulla base di queste considerazioni, la sentenza ripercorre un analitico excursus dei suoi precedenti, al fine di focalizzare il contenuto e l’estensione dell’altra posizione giuridica oggetto di bilanciamento, ossia il diritto all’oblio. In particolare, i giudici svolgono un approfondimento volto a definire l’operatività di tale diritto in tema di trasposizione on line degli archivi storici delle maggiori testate giornalistiche, di diffamazione a mezzo stampa, di trattamento dei dati personali. Particolarmente significativa, al riguardo, è l’ordinanza di Cassazione n. 6919/2018, che detta le linee direttrici da seguire nel delicato bilanciamento tra il diritto di cronaca e il diritto all’oblio, richiamando anche i principali precedenti della Corte di Giustizia (cfr. sentenza C-131/2012, Google Spain) e della Corte EDU (cfr. sentenza 19/10/2017, Fuschsmann c/o Germania).
Ne emerge che il diritto all’oblio può subire una compressione a favore del diritto di cronaca soltanto se ricorrono certi presupposti: il contributo della notizia a un dibattito di interesse pubblico, l’interesse effettivo e attuale alla diffusione della notizia, l’elevato grado di notorietà del soggetto rappresentato, le modalità impiegate per dare l’informazione, la preventiva informazione circa la pubblicazione della notizia. Con la precisazione che l’accertamento di tali presupposti deve avvenire, necessariamente, alla luce di una valutazione delle specificità del caso concreto, che costituisce l’imprescindibile punto di partenza del bilanciamento tra interessi contrapposti.
Una volta ricostruiti gli orientamenti della giurisprudenza nazionale ed eurounitaria, la III sezione dà conto anche dei mutamenti in atto nel quadro normativo di riferimento. Nell’ambito di questo contesto interpretativo va inserito, oggi, come ulteriore elemento di analisi, anche il Regolamento UE n. 2016/769 sulla protezione dei dati personali, da cui è derivata una profonda modifica anche del nostro Codice della privacy (d.lgs. N. 196/2003), ad opera del d.lgs. n. 101/2018. In particolare, il Regolamento dedica al diritto all’oblio una apposita disposizione, l’art. 17. Il comma primo, in particolare, individua i motivi in presenza dei quali è possibile chiedere la rimozione dei propri dati personali, tra cui: il fatto che i dati personali non siano più necessari rispetto alle finalità per le quali sono stati raccolti o altrimenti trattati (lett. a)); l’interessato si opponga al trattamento e non sussista alcun motivo legittimo prevalente per procedere al trattamento (lett. c)); i dati personali siano stati trattati illecitamente (lett. d)).
Di fronte alla complessità crescente dei riferimenti normativi e delle stratificazioni giurisprudenziali, la necessità di un intervento chiarificatore da parte del supremo organo nomofilattico appare indifferibile. Per questi motivi, l’ordinanza chiede che vengano definiti «univoci criteri di riferimento, i quali consentano agli operatori del diritto (e ai consociati) di conoscere preventivamente in presupposti in presenza dei quali un soggetto ha diritto di chiedere che una notizia, a sé relativa, pur legittimamente diffusa in passato, non resti esposta a tempo indeterminato alla possibilità di divulgazione».
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