ISSN 2239-8570

La dibattuta questione del riparto della prova dell’affidamento in conto corrente, di Chiara Sartoris.


DOCUMENTI ALLEGATI

La prima sezione della Corte di Cassazione, con l’ordinanza interlocutoria in esame, chiede l’intervento delle Sezioni Unite, affinché venga fatta chiarezza su una questione particolarmente controversa, in tema di rapporti di conto corrente: la questione attiene alle modalità di formulazione dell’eccezione di prescrizione estintiva sollevata dalla banca per paralizzare la domanda con cui il correntista chiede la restituzione di somme indebitamente versate.

In particolare, si tratta di stabilire se l’eccezione di prescrizione della banca, per essere validamente proposta, debba contenere o meno l’allegazione, non solo dell’inerzia del titolare del diritto fatto valere in giudizio, ma anche delle singole rimesse aventi natura solutoria.
Questo problema pratico, oggetto di dibattito, si è posto all’indomani delle statuizioni enunciate, in materia, dalle Sezioni Unite in un precedente del 2010 (Cass., Sez. Un., n. 24418/2010). Secondo le Sezioni Unite, a seguito della azione di nullità della clausola anatocistica di un contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente, la conseguente ripetizione di indebito è soggetta al termine di prescrizione ordinario di dieci anni. Con la precisazione che tale termine decorre non dalla data di addebito degli interessi sul conto corrente, ma dalla diversa data in cui è avvenuto il pagamento degli interessi.

Ossia, il decorso del termine di prescrizione del diritto alla ripetizione di somme indebitamente versate presuppone che sia intervenuto un atto giuridico, qualificabile come “pagamento”, poiché solo questo atto è in grado di soddisfare l’interesse del creditore.
La sentenza richiamata, dunque, ha posto un importante punto fermo nel definire il concetto di “pagamento”: ha chiarito che, ai fini della ripetizione di somme versate a titolo di interessi anatocistici, la nozione di pagamento deve essere definita in una prospettiva ius-economica: pagamento è l’atto giuridico che produce un effetto economico di spostamento patrimoniale idoneo a soddisfare il creditore; mentre un’addebito sul conto è un atto meramente esecutivo, di movimentazione contabile, che non assolve alcuna funzione satisfattiva.

È, dunque, all’atto del pagamento che bisogna guardare, per calcolare il termine ordinario di prescrizione del diritto alla ripetizione dell’indebito.
Svolta questa premessa logica, la prima sezione della Corte passa, oggi, ad analizzare un corollario applicativo dei principi enunciati nel precedente del 2010: come la banca debba dimostrare che il diritto di ripetizione del correntista si sia estinto, quando si verificano sconfinamenti.

La giurisprudenza di legittimità si è divisa su due orientamenti contrapposti.
Secondo una prima impostazione, deve ritenersi inammissibile una eccezione di prescrizione formulata in modo del tutto generico, senza distinguere tra le rimesse sul conto aventi natura solutoria e quelle aventi natura meramente ripristinatoria. Poiché l’ordinamento presume la natura ripristinatoria delle rimesse, graverebbe sulla banca l’onere di allegare e provare quali sono, invece, quelle solutorie. Tale intensità dell’onere di allegazione sarebbe funzionale, infatti, a consentire al correntista un adeguato esercizio del diritto di difesa sul punto (cfr. Cass., n. 4518/2014; Cass., n. 20933/2017; Cass., n. 12977/2018).
Altra parte della giurisprudenza esclude, invece, che sia la banca a dover fonrire specifica indicazione delle rimesse solutorie cui è applicabile la prescrizione. Spetterebbe, piuttosto, al giudice verificare quali rimesse siano irrilevanti ai fini della prescrizione, in quanto non qualificabili come “pagamenti” nel senso sopra chiarito (cfr. Cass., 14576/2007; Cass., n. 28282/2011; Cass., n. 1064/2014; Cass., n. 15799/2016; Cass., n. 4372/2018).
Quest’ultimo orientamento, oltretutto, trova conforto anche in una sentenza delle Sezioni Unite (cfr. Cass., Sez. Un., 10955/2002), nella quale è stato affermato che la banca, certamente, ha l’onere soltanto di allegare l’elemento costituitivo della eccezione di prescrizione estintiva – id est, l’inerzia del titolare del diritto fatto valere in giudizio – e di manifestare la volontà di profittare dell’effetto connesso a quella eccezione. Non graverebbe, invece, su di essa anche l’onere «di indicare direttamente o indirettamente (cioè attraverso specifica menzione della durata dell’inerzia) le norme applicabili al caso di specie, l’identificazione delle quali spetta al potere-dovere del giudice».

Con l’ulteriore conseguenza che, aderendo a tale ultimo orientamento, la banca, una volta proposta una eccezione di prescrizione quinquennale, non incorrerebbe nelle preclusioni di legge, ove decida di invocare, nel corso del giudizio, la prescrizione ordinaria decennale e viceversa.

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