Ordinario di Diritto Civile – Università di Firenze
1. Le questioni aperte.
La riparazione delle vittima e la finalità deterrente nei confronti del danneggiante sono oggi prevalenti rispetto ad altre finalità della responsabilità civile (1), secondo un’evoluzione che è in atto in tutti gli ordinamenti nazionali (2), ma i tratti delle novità legislative e giurisprudenziali, in ogni paese, non sono affatto univoci.
Le questioni aperte sono essenzialmente due (3). Il rapporto fra contratto e illecito (4) e l’esigenza di un equilibrio fra riparazione e punizione (5).
2.1. Il rapporto fra contratto e illecito.
Iniziamo dalla prima, non a caso segnalata fra i nodi essenziali del processo di uniformazione del diritto privato. Martijn Hesselink nel porre l’esigenza, sacrosanta, di sottrarre dal chiuso delle burocrazie le scelte fondamentali di un futuro diritto comune in Europa enumera le domande su cui si dovrebbe incentrare l’attenzione dell’intera comunità scientifica e delle istituzioni politiche.
La prima di un lungo elenco di cinquanta è la seguente.
Se i «rapporti contrattuali (debbano essere trattati) esclusivamente con la responsabilità contrattuale o (debbano) essere premesse delle forme concorrenti di responsabilità (contrattuale, extracontrattuale, restitutoria)» (6).
Per un tentativo di risposta al quesito occorre qualche cenno alle novità nazionali in atto e in itinere ove c’è un preciso segno per una unificazione delle due aree, anche se non vi è ancora una unanimità di consensi.
2.2. I progetti di riforma in Francia e in Germania.
L’Avant-projet di riforma del diritto francese delle obbligazioni si propone di ricostruire il sistema della responsabilità civile tenendo conto dell’evoluzione giurisprudenziale e progetta una vera rivoluzione dell’impianto del Code. Ai cinque articoli si sostituiscono circa quindici norme che affiancano all’art. 1384 vari criteri di imputazione, riferiti ad una «nuova norma di apertura», l’art. 1340, ove si fa riferimento a «tout fait illecite ou anormal». Il dato più innovativo è il rapporto fra le due aree della responsabilità. Secondo i redattori, il Titolo III del Libro III non si aprirebbe più con un richiamo al contratto e alle obbligazioni convenzionali, ma semplicemente alla disciplina Des Obligations, suddivisa in sottotitoli, disposizioni comuni e disposizioni relative alle due forme di responsabilità, oltre alle disposizioni sugli effetti di tali regole. Dunque si prevedono principi comuni ma diverse regole per i danni risarcibili secondo un indirizzo già attuato dal codice olandese e in fase di progettazione in altri ordinamenti (7). Con un tratto preciso. Il rapporto fra le due aree è scandito da una scelta precisa: « ogni rapporto può essere regolato da un solo complesso di norme », sicchè « se un rapporto è regolato dalla normativa contrattuale non può essere retto anche dalle norme sull’illecito » (8) e si esclude, così, ogni ipotesi di cumulo di diverse fonti di responsabilità. Tranne in un caso. I danni non patrimoniali (art. 1341) (9).
D’altra parte il riferimento in quel testo (art. 1340) ad ogni fatto dannoso anormale apre ad una espansione dell’area della responsabilità di incerta valutazione seppur ispirata in qualche norma (art. 1362) alla precisazione di ipotesi di rischio, rese ancor più evidenti dall’«affermarsi in Europa del principio di precauzione» (10). Ma ciò che fa più discutere ai nostri fini sono i danni punitivi e non patrimoniali. Per i primi c’è un espresso riferimento ad una forma di danno liquidato dal giudice, in presenza di un atteggiamento soggettivo particolarmente riprovato, con una somma destinata per una parte allo Stato, e per i secondi esiste una minuta descrizione del danno non patrimoniale che ha uno statuto particolare. Per essi si deroga al divieto di cumulo consentendo
di scegliere il regime più favorevole (art. 1341), si limita il concorso di colpa del danneggiato alle sole ipotesi di colpa grave (art. 1351), si disciplina con più favore per la vittima l’aggravamento dei danni (art. 1373), si vieta le clausole che escludono o limitano il risarcimento (art. 1382-1).
L’esito è chiaro. Si differenzia la natura del danno privilegiando nell’area della persona i dommages corporels e si distingue fra funzione compensativa e punitiva del risarcimento. La recente riforma del BGB è altrettanto significativa sotto un altro profilo.
La nuova disciplina lambisce solamente la responsabilità secondo una tradizione che privilegia la disciplina e la costruzione raffinata del rapporto obbligatorio, anche se i pochi ritocchi hanno carattere strategico verso un «percorso di progressiva uniformazione del concetto di responsabilità civile» (11). Significativa è la nuova disposizione sui danni da informazioni inesatte (§ 241, Abs. 2) e sul danno non patrimoniale derivante da una «menomazione del corpo, da una lesione della salute, da una violazione della libertà o della autodeterminazione sessuale», illecito che si libera dal legame con la colpa del danneggiante «per aprirsi ad una rilevanza che va dalla responsabilità soggettiva a quella oggettiva, dalla responsabilità extracontrattuale a quella contrattuale (passando attraverso la Vertrauenshaftung) dalle categorie civilistiche di responsabilità alle figure speciali di responsabilità previste dalle leggi di settore» (12).
2.3. I principles e il Common Frame of Reference.
Queste tendenze lasciano tracce evidenti nelle due più accreditate ipotesi di uniformazione, i Principles redatti dall’European Group of tort Law (13) e dallo Study Group on a European Civil Code (c.d. Progetto von Bar) (14). In entrambi si parte dal danno superando il dogma della centralità della colpa senza privilegiare in assoluto le ipotesi di responsabilità oggettiva. Si rivolge particolare attenzione al nuovo rapporto fra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale e all’ipotesi selettiva della lesione rilevante che non utilizza il termine ingiustizia, (pensato nel codice italiano come modello mediano fra l’assenza francese e la tipizzazione tedesca), ma utilizza, invece, un approccio diverso dai singoli ordinamenti. Con un esito comune. I Principles partono dalla necessità di un interesse protetto come elemento della responsabilità. Il testo redatto dal gruppo di von Bar, al contrario, muove dalla tipizzazione per arrivare alla formula di apertura. Anche se in entrambi i casi è comunque chiara l’esigenza di un criterio selettivo dell’interesse protetto. Certo è che, in entrambi progetti, è essenziale la disciplina del danno non patrimoniale e del pregiudizio alla persona, recependo i vari modelli che in Europa si sono formati con l’apporto del legislatore e della giurisprudenza teoria e pratica.
2.4. Il concorso e il cumulo nella giurisprudenza italiana.
Ma il tema appare nella sua concretezza se si enumerano alcune questioni emerse di recente nel nostro diritto interno in alcuni aspetti sensibili del diritto societario e finanziario, nei rapporti di famiglia e nella fase formativa del contratto. Un breve esame di queste figure così diverse fra loro può porre in luce il problema e avviare una riflessione sui possibili rimedi.
a) I mercati finanziari e di capitali.
Le disposizioni in tema di OPA disciplinano i comportamenti che i soci devono assumere in presenza di mutamenti degli assetti proprietari di società quotate. L’esigenza di tutela degli investitori azionisti è compresa nella finalità di tutela del mercato finanziario e dei capitali (prevista nell’art. 92 del T.U.F.) e si articola secondo una ricostruzione scandita in giurisprudenza secondo il seguente schema.
«L’obbligo di lanciare l’OPA si configura … come un obbligo contrattuale che ope legis si inserisce nel contratto sociale», ma la norma non prevede come sanzione, in caso di violazione, «il potere del singolo azionista pretermesso di ottenere coattivamente il risultato», bensì solo l’obbligo a carico dell’inadempiente di rivendere il pacchetto acquisito in eccedenza. Da qui l’esigenza di un’attenta interpretazione, la quale reputa che la disciplina « non esaurisca gli strumenti di autotutela accordati dall’ordinamento a chiunque vanti una posizione giuridicamente rilevante» e non esclude affatto la risarcibilità di un danno ingiusto. Ciò perchè, si dice nella sentenza, «il principio del neminem laedere sancito dall’art. 2043 rappresenta il cardine dei diritti soggettivi contrattuali e non», incorporati nel nostro caso nelle azioni dei soci di minoranza. Ne segue la risarcibilità del danno in presenza di una responsabilità contrattuale (15).
Il groviglio teorico è evidente. L’apparato sanzionatorio della legge è completato dal principio del neminem laedere. Non si parla di concorso di azioni o di cumulo di danni ma di una responsabilità contrattuale per la violazione della regola aquiliana. Senza contare la difficoltà della liquidazione del danno «correlata a titoli per loro natura destinati alla fluttuazione» (16).
La Corte di Appello ha di recente ribaltato il ragionamento (17). Si è sostenuto che la disciplina dell’OPA esclude l’esistenza di un diritto soggettivo degli azionisti a ricevere un’offerta di acquisto e, dunque, anche il diritto al risarcimento da inadempimento di un obbligo contrattuale. L’unico danno, ipotizzabile, si osserva ancora, è l’interesse negativo tipico della responsabilità precontrattuale e non l’utilità derivante da un contratto concluso. Resta dunque il dubbio sul danno
dovuto in presenza di un comportamento scorretto imputabile alla controparte in presenza di un obbligo legale di comportamento.
b) Titoli obbligazionari e contratti di investimento.
Qualcosa di simile accade per la negoziazione di titoli obbligazionari.
Ciò che è accaduto è noto. Le perdite vistosissime nei portafogli di centinaia di migliaia di investitori hanno dato impulso a moltissime cause civili con un oggetto preciso: la richiesta di (18) nullità e/o risoluzione del contratto e la condanna ai risarcimenti e alle restituzioni (19). Da qui il problema che ha assillato i giudici di merito, è stato affrontato da un’importante sentenza della Cassazione civile, valutato, poi, in modo diverso dalla Corte con una “ordinanza di rinvio” (20) e deciso ora dalle Sezioni Unite (21) che hanno recepito, sulla responsabilità precontrattuale, risultati indicati da tempo da una parte della dottrina.
Nella sentenza si stabilisce che l’azione può essere promossa anche in presenza di un contratto concluso e valido e che il risarcimento è «il mezzo per correggere il risultato lesivo dovuto al contegno scorretto». Da qui la conseguenza che il giudice deve ripristinare non solo l’interesse negativo, ma l’interesse positivo della parte vittima del comportamento in mala fede a non «essere coinvolto nelle trattative di un contratto valido ma sconveniente». Sicchè il risarcimento deve essere commisurato al «minor vantaggio o al maggior aggravio economico determinato dal contegno sleale di una parte». A tale indirizzo si è voluto dare continuità (22) ed è chiaro il perchè.
Si tende a conservare l’operazione economica e la validità dell’accordo e a riequilibrare il contratto attraverso il risarcimento che può avere, si è detto, una precisione chirurgica (23). Ma è chiaro anche il superamento della natura aquiliana di questa forma di responsabilità.
Le trattative creano un contatto qualificato e danno inizio ad un procedimento ove non esistono estranei o «passanti» ma due soggetti in una relazione qualificata volta alla conclusione di un contratto (24).
Quando questo si conclude, la violazione della buona fede accertata nella fase preliminare non può che rimanere assorbita «nella disciplina dello stesso contratto e nella connessa responsabilità per inadempimento, con conseguente identità anche “direzionale”, sia in termini di situazione giuridica tutelata che sul piano risarcitorio, fra interesse negativo e interesse positivo» (25).
c) Il danno endo-familiare.
Sul danno endo-familiare la Cassazione ha segnato, di recente, un punto di svolta significativo. Acquista concretezza il rilevo della dignità e della responsabilità di ogni componente del nucleo familiare ed è prevista la fonte e la misura del danno risarcibile per la lesione di tali situazioni soggettive. Si osserva che i singoli «conservano le loro essenziali connotazioni e ricevono tutela prima ancora che come coniugi e figli come persone in attuazione dell’art. 2 della Costituzione». Sicchè il rispetto della dignità e della personalità nella sua interezza assume i connotati di un diritto inviolabile la cui lesione è il presupposto logico della responsabilità (26). E’ evidente come questo indirizzo incida sulla rilevanza giuridica delle posizioni soggettive all’interno della Comunità familiare.
d) Il rapporto di lavoro.
La specificità del rapporto di lavoro, nel nostro tema, deve essere riconosciuta proprio per la sua «speciale attitudine a metabolizzare» i diritti della persona nelle relazioni obbligatorie. Dove il carattere assoluto e indisponibile delle situazioni esistenziali si salda con il carattere imperativo e inderogabile delle norme di quel rapporto (27). Qui il dovere formale di astensione si specifica, di recente, in un obbligo di protezione sino a creare un diritto a vedersi assegnate mansioni professionalmente adeguate, pena il risarcimento di un danno esistenziale su cui si sofferma la Corte di Cassazione a Sezioni Unite (28).
e) Il danno non patrimoniale da inadempimento.
D’altra parte la tipologia del danno alla persona si arricchisce sempre più nell’area dei rapporti contrattuali.
Basta pensare alla riforma del BGB, al testo dei Principi di diritto europeo dei contratti (PECL) (29), al nostro Codice del Consumo (artt. 94, 95, 96) che nel disciplinare il «danno da vacanza rovinata» nella violazione del contratto turistico rende palese la rilevanza, nel nostro sistema, del danno non patrimoniale da inadempimento su cui si è molto discusso in dottrina (30).
Le soluzioni ipotizzabili sono note. La giurisprudenza utilizza la tecnica del concorso di azioni o del cumulo dei danni; espediente utile, che assicura, in molti casi, decisioni ragionevoli: dal medesimo
fatto possono nascere diritti diversi, azionabili assieme o in concorso, a scelta del danneggiato (31). A ben vedere è possibile una diversa qualificazione che prescinda dall’art. 2059 c.c. e ammetta la risarcibilità di un interesse non patrimoniale violato dall’inadempimento di un contratto o di un obbligo legale.
La giustificazione teorica è già stata indicata dalla dottrina più attenta (32) che sollecita una nuova disciplina del danno contrattuale non patrimoniale per porre un argine all’estensione dell’illecito acquiliano che ha avuto una espansione amplissima e tende a entrare e, talora, a scardinare altri istituti con regole pensate per i rapporti fra terzi estranei, le quali non sempre sono pienamente compatibili con altre norme. Se le parti sono legate da un rapporto debbono e possono, in molti casi, trovare piena operatività i criteri speciali di protezione che si conformano a quel determinato rapporto (33).
2.5. Una conclusione parziale.
L’impressione che si trae da questi riferimenti è che responsabilità e contratto debbono allora essere ripensate assieme per creare regole e rimedi adeguati.
E’ noto che la giurisprudenza italiana opera con strumenti consolidati. Ammette il concorso delle due responsabilità. Utilizza la responsabilità da contatto sociale per attrarre nell’area contrattuale una serie di relazioni particolarmente sensibili (34). Distribuisce l’onere probatorio fra le parti in considerazione del rilievo dell’interesse danneggiato.
Una opportuna e auspicata riforma legislativa dovrebbe seguire la tendenza emersa in molti ordinamenti nazionali verso una soluzione che unifichi o avvicini le due aree secondo i tratti indicati dal modello francese (35). Una disciplina iniziale e diversificata del danno. Un criterio selettivo per la legittimazione del danneggiato. Una elencazione dei vari criteri di imputazione. Una responsabilità, con regole speciali, per l’inadempimento dell’obbligazione.
Ciò eviterebbe i difetti del cumulo o della sua rigida negazione, unificando i termini di prescrizione senza attenuare quella flessibilità nella tutela delle nuove figure di danno risarcibile che è stata uno dei meriti più evidenti della giurisprudenza italiana ed europea.
3. Un nuovo equilibrio fra riparazione e punizione.
Quanto alla seconda questione accennata all’inizio di questo scritto, è stato detto benissimo che occorre «trovare un equilibrato piano di intesa tra punizione e riparazione» perchè «una punizione non strumentale alla riparazione sarebbe mera petitio principis» e una riparazione che prescinde del tutto dalla punizione «sarebbe anch’essa velleitaria e priva di senso». Non solo. Occorre ricordare che vi è una funzione « preventiva e dissuasiva, e come tale sociale, della responsabilità civile, dalla quale in nessun caso è consentito astrarre» (36).
Per muoversi coerentemente in questa direzione è necessario riformulare un coerente «statuto della responsabilità civile» capace di coordinare in modo efficiente l’ingiustizia del danno, i criteri di imputazione e le diverse modalità del danno risarcibile (37) e tale percorso può essere solo evocato muovendo dai dati positivi.
Ciò che accade nel nostro ordinamento è stato descritto benissimo dalla dottrina e dalla giurisprudenza più recente che si è soffermata sulla disciplina del danno morale soggettivo, sulle recenti ipotesi legislative in tema di inibitoria, di azioni collettive e degli incerti riferimenti ai danni punitivi. Con un intento comune. La rivalutazione della condotta del danneggiante e l’utilizzo di azioni più efficienti a tutela di interessi collettivi o diffusi. Qualche cenno ai vari temi è ancora essenziale con intenti solo riassuntivi.
3.1. Il danno morale soggettivo.
Sul primo aspetto sono note le opinioni di chi ravvisa in tale figura un’ipotesi sanzionatoria o punitiva (38) mentre i giudici di legittimità sono giunti «ad affermare in termini generali che il risarcimento del danno morale in favore del soggetto danneggiato, per lesione del valore della persona umana costituzionalmente garantito, prescinde dall’accertamento di un reato in suo danno, sicchè in base a tale lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059 il risarcimento del danno morale soggettivo conseguente alla lesione del bene salute — tutelato dall’art. 32 della Costituzione — non è limitato ai soli casi in cui sussista un’ipotesi di reato» (39).
Anche se al di là di tale espansione nell’area dei danni bagatellari, l’art. 2059 per ragioni culturali e per l’ambito limitato della sua estensione, non è del tutto idoneo a costituire una base certa di deterrenza analoga ai sistemi americani (40).
3.2. I danni punitivi.
Sui danni punitivi è d’obbligo una riflessione sulla recente pronunzia della Cassazione su cui è opportuno soffermarsi. Il caso è noto. Una ditta italiana che produce caschi per moto era stata condannata, in Alabama, a risarcire un milione di dollari alla madre di un giovane morto in un incidente, anche a cagione del difetto di progettazione della fibbia di chiusura. La Corte di Appello, in fase di delibazione della sentenza, ha qualificato il danno come punitivo e come tale incompatibile con l’ordine pubblico italiano. La Cassazione ha confermato tale giudizio con una motivazione molto scarna. Nel nostro ordinamento l’idea della punizione e della sanzione è estranea al risarcimento del danno che ha il compito di ripristinare «la sfera patrimoniale del soggetto, mediante il pagamento di una somma di denaro che tenda ad eliminare le conseguenze del danno arrecato». E non esistono elementi per affermare il contrario, sostiene la Corte, dato che la clausola penale ha solo la funzione di rafforzare il vincolo contrattuale e può essere equamente ridotta e il danno morale soggettivo deve reintegrare la sfera del danneggiato senza tener conto del danneggiante «mentre nel caso dei punitive damages … non c’è alcuna corrispondenza tra l’ammontare del risarcimento e il danno effettivamente subito» (41).
Le opinioni critiche pongono in discussione anzitutto l’idea che la «responsabilità civile debba riparare e basta» e che ogni diversa funzione sia addirittura contraria all’ordine pubblico. Ciò perchè da tempo si discute anche in Europa della funzione del danno come di un mezzo di generale prevenzione degli illeciti e perchè è sempre più evidente nella legislazione speciale italiana una tendenza che guarda non solo alla posizione del danneggiato «ma anche a quella danneggiante (in modo da poter incidere incisivamente sulla sua condotta futura)» (42).
L’elenco delle disposizioni non è affatto corto e riguarda molti diversi settori. Si può ricordare le nuove norme sulla privativa industriale, le intercettazioni illegali, la disciplina della diffamazione, e da ultimo il nuovo art. 709-ter c.p.c. che prevede il risarcimento nei casi di violazione dei provvedimenti relativi all’affidamento dei figli e all’esercizio della potestà dei genitori, ma anche alla disciplina dell’art. 140, comma 7 del codice del consumo che prevede una misura coercitiva.
Senza trascurare l’art. 385 c.p.c. che consente alla Corte di Cassazione di porre a carico del soccombente che abbia agito o resistito con colpa grave o mala fede una somma pari al doppio delle spese legali liquidabili nel massimo (43).
3.3. Le azioni collettive.
Sulle azioni collettive esiste in Italia un’amplissima letteratura da almeno trenta anni e ciò ha contribuito a far chiarezza sui vari modelli e sulla disciplina che è stata introdotta di recente.
Si era soliti distinguere due modelli.
Da un lato, le azioni di classe che possono essere instaurate, previo un vaglio preventivo, da un «singolo individuo nell’interesse di una pluralità di soggetti (la classe) … » (44), secondo il modello della class action americana. Dall’altro, le azioni collettive che sono promosse da associazioni rappresentative degli interessi di una serie di soggetti «non legati fra loro da alcun rapporto giuridico», sul tipo di quei rimedi previsti per i consumatori e utenti dall’art. 140 del codice del consumo.
Le due azioni sono strutturalmente diverse e sono espressione l’una degli ordinamenti di common law, l’altra della maggior parte dei paesi di civil law «accomunati (sia pure con qualche eccezione) dall’esclusione della legittimazione individuale e dall’attribuzione di essa soltanto alle associazioni» (45).
Sulla opportunità e la stessa costituzionalità delle azioni di classe si è espressa in modo molto diverso la più autorevole dottrina ed è prevalsa l’idea di introdurre un’azione collettiva dei consumatori e utenti già, in parte, disciplinata nel nostro ordinamento (46).
L’evoluzione di questo mezzo di tutela è noto.
Fin dalla legge del 1998 l’azione inibitoria può essere promossa dalle associazioni legittimate nei confronti di ogni comportamento lesivo degli interessi dei consumatori e il giudice può adottare misure volte a correggere o eliminare gli effetti dannosi delle violazioni accertate. Tali disposizioni sono state poi recepite nei primi sei commi dell’art. 140 del codice del consumo e con la una legge del 2002 si era poi introdotta la possibilità di una sentenza con una misura coercitiva che occupa ora il comma 7 di tale articolo.
Dal progetto approvato dalla Camera dei Deputati il 21 luglio 2004 e poi decaduto, si è avviato un percorso che è sfociato nell’art. 140-bis del codice di consumo ove si potenzia l’azione già prevista in due direzioni. L’estensione degli effetti a favore di tutti i consumatori coinvolti, e l’accertamento «del diritto al risarcimento del danno e alla restituzione delle somme spettanti ai singoli consumatori o utenti nell’ambito di rapporti giuridici relativi a contratti stipulati ai sensi dell’articolo 1342 c.c., ovvero in conseguenza di atti illeciti extracontrattuali, di pratiche commerciali scorrette o di comportamenti anticoncorrenziali, quando sono lesi i diritti di una pluralità di consumatori o di utenti». Con la condanna il giudice potrà fissare i criteri in base ai quali devono essere liquidate le somme, è prevista una fase conciliativa, dopodichè il singolo consumatore potrà agire per l’accertamento in capo a se stesso dei requisiti individuati dalla sentenza per la determinazione precisa dell’ammontare del risarcimento.
4. Legislatori, giudici e metodo rimediale.
Dunque legislatore e giudici si contendono in campo e, come si è osservato, quel che non deve accadere è la confusione dei ruoli (47).
Può stupire la centralità che ha assunto la giurisprudenza in questo settore negli ultimi decenni.
Come si è osservato i giudici hanno completato e innovato il sistema con un mezzo spesso diverso dall’analogia. Molte volte si è applicata la norma «come se da sempre contenesse la previsione che
consentiva l’applicazione nuova» (48). In tal modo «si è trasformato un sistema di legge scritta in uno diverso nel quale questa … non ha più in sè un senso compiuto senza il diritto applicato». Sicchè «l’aggiunta di senso del diritto giurisprudenziale» si è ormai consacrata come pura fonte che concorre con quella primaria (49) creando la regola.
A ben vedere ciò accade perchè in questo settore, da sempre, l’interpretazione e l’applicazione della norma hanno combinato, necessariamente, la norma ordinaria, spesso insufficiente e arretrata, e i principi costituzionali con un metodo di lavoro che spesso potremo definire inconsapevolmente rimediale (50). Provo a spiegare perché muovendo da due corollari indiscussi.
Il rimedio presuppone l’esistenza di un interesse protetto (51) sicché non incide sull’an della protezione ma solo sulle modalità di applicazione della tutela più efficiente. Ciò significa che tale strumento non si sostituisce al diritto o all’obbligo sostanziale ma intende fornire un piano vigile e mobile di tutela adeguata, specie in presenza di forme complesse e fondamentali e di nuovi beni da tutelare. In questa area assumono particolare rilievo i principi costituzionali.
«La necessaria corrispondenza (biunivoca) tra interesse protetto e rimedio» (52) esige la costruzione di una regola che sia rispettosa delle norme ordinarie e dei principi ordinatori della materia che debbono, nella sentenza o nei provvedimenti legislativi, essere rigorosamente individuati e precisati come premessa di una soluzione controllabile in base ai parametri offerti dalla legge e dalla Carta costituzionale.
4.1. La giurisprudenza.
Ebbene dalla giurisprudenza recente si traggono, seguendo tale metodo, utilissimi orientamenti sulla funzione del risarcimento. Ne indico alcuni.
a) Strumentalità del processo e onere della prova.
Nel decidere sul requisito dimensionale dell’impresa ai fini della tutela reale o obbligatoria del lavoratore le Sezioni Unite della Cassazione hanno ribadito e fissato due principi ricavabili dall’art. 24 Cost. (53). «Il processo deve dare a chi ha ragione tutto quello e proprio quello che gli è riconosciuto dalla legge sostanziale». In assenza di indicazioni univoche del legislatore l’interprete nella «ricostruzione della fattispecie sostanziale e nella conseguente ripartizione dell’onere della prova» deve «utilizzare il criterio della maggiore vicinanza o disponibilità della prova». Ciò in base a principi desumibili dall’art. 24 della Costituzione. Quale forza abbiano tali criteri nella razionale amministrazione del danno è del tutto intuibile.
b) L’integralità della riparazione
L’integralità della riparazione («che rimetta il danneggiato nella stessa posizione giuridica in cui si trovava prima della commissione del fatto illecito») è coerente con la finalità di riparare il danno ma può «scontrarsi con gli obbiettivi di deterrenza irrinunciabili in un moderno sistema di responsabilità civile» (54). Da qui la precisazione della Corte costituzionale. Di fronte ad alcune limitazioni dell’entità del risarcimento fissate dal legislatore si è chiamata a pronunziarsi la Corte sulla compatibilità di queste con un asserito principio di integrale riparazione del danno.
Tale contrasto è stato escluso con riferimento a diverse fattispecie, con l’unico limite che il quantum spettante al danneggiato «debba essere sempre idoneo a garantire un risarcimento … serio e ragionevole e debba, quindi, contenere misure volte ad adeguare negli anni il risarcimento fissato … che non può mai divenire un indennizzo» (55).
c) I principi ordinatori della materia.
Si è consolidato in giurisprudenza il diritto al danno non patrimoniale ed esistenziale, riconosciuto in presenza di lesioni di interessi costituzionalmente rilevanti provati anche con presunzioni ricavabili dalle allegazione della parte. Il pericolo di estensione dei danni e di una «protezione superiore al pregiudizio sofferto» (56) è del tutto evidente. Specie se si considera che nel procedimento avanti al giudice di pace (caratterizzato da un’equità formativa o sostitutiva della norma di diritto sostanziale) non opera neppure tale limite sicchè chi giudica «può disporre il risarcimento … anche fuori dei casi determinati dalla legge e di quelli attinenti alla lesione dei valori della persona umana costituzionalmente protetti», sempre che il danneggiato abbia allegato e provato (sia pure per presunzioni, secondo i principi generali) il pregiudizio subito (57).
Il limite invalicabile è stato indicato ancora dalla Corte costituzionale (58).
Il giudizio di equità in un sistema caratterizzato dal principio di legalità e di preminenza dei principi costituzionali non travalica i confini del sistema, ma ha la funzione di «individuare l’eventuale regola di giudizio non scritta» che, con riferimento al caso concreto, consenta una soluzione del caso alla stregua dei medesimi principi cui si ispira la disciplina positiva: principi (ordinatori della materia) «che non potrebbero essere posti in discussione dal giudicante, pena lo sconfinamento nell’arbitrio, attraverso una contrapposizione con le proprie categorie soggettive di equità e di ragionevolezza» (59).
4.2. Il legislatore.
Quanto ai rimedi collettivi inibitori e punitivi il ruolo del legislatore è decisivo e insostituibile e ancora una volta il metodo rimediale è utile per distinguere e regolare nel modo più efficace.
La diffusione di rimedi individuali e collettivi «volti a prevenire un evento dannoso ovvero di limitarne le conseguenze, evitando il protrarsi dell’illecito» si è manifestata in moltissime aree secondo la ratio, efficiente, che la sanzione di un contegno deve essere estesa quanto il precetto che protegge un bene pubblico e le situazioni dei privati.
Si può solo ricordare a titolo esemplificativo la tutela dell’ambiente e della salute nei rapporti di vicinato e nei luoghi di lavoro, l’annullamento delle clausole vessatorie, la cessazione della pubblicità ingannevole e dei comportamenti anticoncorrenziali, la inibitoria del commercio e la distruzione di prodotti dannosi, la repressione dei comportamenti discriminatori e della condotta antisindacale, l’annullamento delle deliberazioni negli enti organizzati e il trattamento illecito dei dati personali (60).
In questi casi, come si è osservato, «l’interesse collettivo o superindividuale assume rilevanza effettiva sul piano formale, perchè la cessazione della condotta plurioffensiva è idonea a soddisfare congiuntamente ciascuno e tutti i portatori» (61).
Diversa è l’ipotesi e l’esigenza di coloro che abbiano già «subito un danno e pretendano di essere risarciti» con un’azione di classe perchè qui si è in presenza «di una pluralità di interessi individuali» e « sebbene… la fonte del danno sia unica e comune a tutti la soddisfazione di ciascuna implica la reintegrazione dei singoli patrimoni» (62). I dubbi sulla esportabilità delle class actions nordamericane (63) sono stati superati, come si è detto, con una forma di tutela (art. 140-bis codice del consumo) che ha un indubbio carattere deterrente senza importare modelli innaturali ma fissando ambito e limiti di un rimedio adeguato alle nostre esigenze e rispettoso dei principi costituzionali.
Ciò è un’ulteriore riprova del fatto che le funzioni riparatoria e deterrente possono coesistere ed evolversi senza invasioni di campo.
C’è solo da prendere atto che dopo l’inversione metodologica degli anni ‘70, che ha spostato l’attenzione dall’illecito al danno e ai criteri di imputazione più efficienti per ripararlo, l’evoluzione sociale sta sollecitando una diversa preminenza di alcune finalità rispetto ad altre.
Il che non deve spaventare affatto. Il pensiero giuridico ha solo un nuovo compito da assolvere.
NOTE:
(1) G. ALPA, Diritto della responsabilità civile, Roma-Bari, 2003, 290 ss.; M. FRANZONI, Il danno risarcibile, in Tratt. Franzoni, Milano, 2004, 621 ss.; P.G. MONATERI, La responsabilità civile, in Tratt. Sacco, Torino, 1998, 19 ss.; La responsabilità civile nella giurisprudenza della Corte costituzionale, a cura di M. Bussani, Napoli, 3 ss.
(2) G. ALPA, Diritto della responsabilità civile, cit., 291: « Distribuzione dei rischi e allocazione dei costi sono esito di un processo culturale che … si apre a una prospettiva per così dire “sociale” o collettiva, fermo il fatto che preoccupazione del legislatore non è più (soltanto) quella di individuare il responsabile e di stabilire a quali condizioni questi è obbligato a riparare il danno, ma diventa (anche) quella di istituire criteri di riparazione dei rischi che consentano, al tempo stesso, di assicurare la più ampia tutela dei danneggiati e di distribuire le perdite nel mondo economico. Il problema del danno, nei suoi riflessi economici, diviene così un problema di carattere sociale, e si tende perciò a studiare il modo di contenere anche gli effetti indotti sul piano dei costi sopportati dalla collettività ».
(3) V. C. CASTRONOVO, La responsabilità civile in Italia al passaggio del millennio, in Europa dir. priv., 2003, 1, 123 ss.; F. BUSNELLI, L’illecito civile nella stagione europea delle riforme del diritto delle obbligazioni, in Riv. dir. civ., 2006, 6, 440 ss.
(4) L’osservazione delle normative nazionali in atto o in itinere e i testi volti alla uniformazione adottano un criterio selettivo che sfuma dall’ingiustizia del danno del nostro art. 2043, verso i « fatti dannosi anormali » dell’Avant-projet francese, l’« interesse protetto » dei Principles sino all’« opinione comune » del nuovo codice olandese. Ciò determina una spiccata atipicità del rimedio e un primo problema che è alle radici del modello culturale della responsabilità. Il rapporto fra contratto e illecito.
(5) F. BUSNELLI, L’illecito civile nella stagione europea delle riforme, cit., 444.
(6) M. HESSELINK, La dimensione politica di un codice civile europeo, in Riv. crit. dir. priv., 2006, 3, 409-410. Che ciò abbia attinenza con una funzione deterrente delle regole di responsabilità risulta da diversi dati. Basta ricordare che l’azione collettiva risarcitoria disciplinata dal nuovo art. 140-bis del codice di consumo, si estende a tutti gli atti illeciti aquiliani o commessi nell’ambito di rapporti giuridici relativi a contratti stipulati ai sensi dell’art. 1342 c.c. o in conseguenza di pratiche commerciali scorrette.
(7) F.D. BUSNELLI, L’illecito nella stagione europea delle riforme, cit., 440 ss. e il riferimento al progetto di revisione del codice civile svizzero, argentino, e al nuovo codice civile della Repubblica Ceca.
(8) P.G. MONATERI, L’ingiustizia di cui all’art. 2043 c.c. Una nozione salda, o un’occasione di revisione codicistica?, in Riv. dir. civ., 2006, 527.
(9) F. BUSNELLI, L’illecito civile nella stagione europea delle riforme, cit., 449.
(10) F.D. BUSNELLI, L’illecito civile nella stagione europea delle riforme, cit. 446 e G. COMANDÈ (a cura di), Gli strumenti della precauzione: nuovi rischi, assicurazione e responsabilità, Milano, 2006, 23 ss.
(11) F.D. BUSNELLI, op .ult. cit., 443: « la norma connotante il genus è il nuovo § 280, Abs.1 » che « implicitamente vale a qualificare come species le residue regole risarcitorie riferite esclusivamente alla disciplina (degli effetti) dell’atto illecito (arg. Ex § 253, Abs. 2, che mutuando il contenuto dell’abrogato § 847, Abs. 1, intende ricondurre al genus una regola nata come species relativa all’atto illecito) ».
(12) F.D. BUSNELLI, op. cit., p 448
(13) European Group of Tort Law, Principles of European Tort Law. Text and Commentary, Vienna-NewYork, 2005.
(14) Study Group on a European Civil Code (Book V), Principles of European Tort Law (European Principles of Non-contractual Obligations Arising out of Damage Caused to Another), prepared by Professor Chr. von Bar.
(15) Trib. Milano, 9 giugno 2005, in Foro it., 2005, I, 3210.
(16) A. PALMIERI, Osservazione a Trib. Milano 9 giugno 2005, in Foro it., 2005, I, 3210.
(17) App. Milano, 15 gennaio 2007, in Giur. It., 2007, 1707; in Corr. Giur., 2007, 2578 con nota di F. ROLFI ed in Banca, borsa tit. cred., 2007, II, 572 con nota di E. DESANA.
(18) Cass., Sez. I, 29 settembre 2005, n. 19024 su cui G. VETTORI, Contratti di investimento e rimedi, in Obb. contr., 2007, 785 ss.
(19) Al riguardo, V. ROPPO, La tutela del risparmiatore fra nullità e risoluzione (a proposito di Cirio bond & tango bond), in Danno e resp., 2005, 6, 604 ss.
(20) Cass., Sez. I, ordinanza del 16 febbraio 2007, n. 3683, in Foro it., 2007, I, 2093, con nota di E. SCODITTI.
(21) Cass., Sez. un., 19 dicembre 2007 n. 26725, in Foro it., 2008, I, 784, nota di E. SCODITTI.
(22) Cass., Sez. un., 19 dicembre 2007 n. 26725, cit. (dello stesso tenore un’analoga sentenza che porta il n. 26724, ibidem, dello stesso giorno). Sul punto v. G. VETTORI, Regole di validità e di responsabilità di fronte alle Sezioni Unite. La buona fede come rimedio risarcitorio, in Obb. contr., 2008, I, 1 ss.
(23) Solo che tale indirizzo è posto in discussione da due sentenze recenti.
Se la più recente (Cass. 25 febbraio 2007 n. 2479, in Rep. Foro it., 2007, Contratto in genere [1740], n. 396) ribadisce l’orientamento tradizionale della preclusione di ogni analisi nei confronti di contegni formativi scorretti, una volta concluso il contratto, l’altra utilizza una serie di argomenti su cui è opportuno riflettere (Cass. 25 luglio 2006 n. 16937 in Obbl. contr., 2007, 407, nota di N. COREA). Si osserva che le trattative rilevano ai fini di una responsabilità, di incerta natura, quando il contratto non è concluso. Ma in presenza di tale fatto esse « perdono ogni autonomia e ogni giuridica rilevanza e, sotto il profilo risarcitorio, convergono … in quella struttura contrattuale che, essa sola, potrà, in ipotesi, costituire la fonte di responsabilità risarcitoria». Sicché il contratto concluso a condizioni diverse da quelle programmate a causa del comportamento scorretto dell’altra parte è fonte di responsabilità contrattuale e non aquiliana. A ben vedere non si conclude affatto per l’irrilevanza delle circostanze formative e esecutive del contratto ma se ne esclude la natura extracontrattuale espressa, per giudizio consolidato, dalla responsabilità precontrattuale la cui configurabilità resterebbe « preclusa e assorbita nella intervenuta stipula del contratto ».
(24) L. MENGONI, Sulla natura della responsabilità precontrattuale, in Riv. dir. comm., 1956, II, 360 e, da ultimo, E. SCODITTI, La responsabilità per danni da clausola abusiva, in Riv. dir. priv., 2007, 2, 20 (dell’estratto).
(25) C. TURCO, Interesse negativo e responsabilità precontrattuale, Milano, 1990, 179 ss.; ID., L’interesse negativo nella culpa in contraendo (verità e distorsioni della teoria di Jhering nel sistema tedesco e italiano), in Riv. dir. civ., 2007, 165 ss.
(26) Cass. 10 maggio 2005, n. 9801, in Famiglia e diritto, 2005, 2, 366; e sul punto G. VETTORI, Diritti della persona e unità della famiglia trenta anni dopo, in Diritti e tutele nella crisi familiare, a cura di I. Mariani e G. Passagnoli, Padova, 2007, 4 ss.
(27) R. DEL PUNTA, Diritti della persona e contratto di lavoro, in Giornale di diritto del lavoro e di relazioni industriali, n. 110, 2006, 2, 195 ss.
(28) Cass., Sez. un. 24 marzo 2006, n. 6572, in Foro it., 2006, I, 2334, nota di P. CENDON, G. PONZANELLI.
(29) V. sul punto C. CASTRONOVO, La nuova responsabilità civile, Milano, 2006, 36 ss., 53 ss.
(30) V. da ultimo la bella rassegna di G. COLANGELO, Il danno non patrimoniale da inadempimento, in Obb. contr., 2006, 4, 348 ss.; G. COMANDÈ , Persona e tutele giuridiche, Torino, 2003, 251 ss.
(31) Per una visione di sintesi V. P.G. MONATERI, Cumulo di responsabilità contrattuale e extracontrattuale, Padova, 1989.
(32) V. G. BONILINI, Il danno non patrimoniale, Milano, 1983, 230 ss.; C. SCOGNAMIGLIO, Il danno non patrimoniale contrattuale, in Il contratto e le tutele: prospettive di diritto europeo, a cura di S. Mazzamuto, Torino, 2002, 224 ss.; M. COSTANZA, Danno non patrimoniale e responsabilità contrattuale, in Riv. crit. dir. priv., 1987,
127 ss.
(33) V. da ultimo P.G. MONATERI, Sezioni Unite: le nuove regole del danno esistenziale e il futuro della responsabilità civile, in Corr. giur., 2006, 6, 787.
(34) V. da ultimo: Cass. 26 giugno 2007 n. 14712, in Corr. Giur., 2007, 1706, nota di A. DI MAJO: « E’ opinione oramai quasi unanimemente condivisa dagli studiosi quella secondo cui la responsabilità nella quale incorre il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta (1218 c.c.) può dirsi contrattuale non soltanto nel caso in cui l’obbligo di prestazione derivi propriamente da un contratto … ma anche in ogni altra ipotesi in cui essa dipenda dall’inesatto adempimento di un’obbligazione preesistente quale ne sia la fonte». In base a tale ricostruzione la giurisprudenza ha ritenuto che sussista responsabilità contrattuale anche «in presenza di violazione di obblighi nascenti da situazioni (non già di contratto bensì) di semplice contatto sociale, ogni qual volta l’ordinamento imponga ad un soggetto di tenere, in tali situazioni, un determinato comportamento». Al riguardo la Cassazione fa riferimento alla responsabilità del medico dipendente della struttura ospedaliera (richiamando, Cass. 19 aprile 2006, n. 9085 in Resp. risarcim., 2006, 6, 64, nota di A. MAZZUCCHELLI; Cass. 24 maggio 2006 n. 12362, in Rep. Foro it., 2006, voce Professioni intellettuali, 197; Cass. 28 maggio 2004 n. 10297, in Nuova giur. Civ., 2004, I, 783, nota di E. PALMERINI; Cass. 22 gennaio 1999, n. 589, in Foro It., 1999, I, 332) ed a quella del sorvegliante dell’incapace, citando Cass. 18 luglio 2003 n. 11245, in Nuova giur. civ., 2004, I, 491, nota di I. CARASSALE. «Ne deriva che la distinzione fra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale sta essenzialmente nel fatto che quest’ultima consegua dalla violazione di un dovere primario di non ledere ingiustamente la sfera di interessi altrui, onde essa nasce con la stessa obbligazione risarcitoria, laddove quella contrattuale presuppone l’inadempimento di uno specifico obbligo giuridico già preesistente e volontariamente assunto nei confronti di un determinato soggetto» (Cass. 26 giugno 2007 n. 14712, cit.).
(35) F.D. BUSNELLI, L’illecito nella stagione europea delle riforme, cit., 451.
(36) V. SCALISI, Il nostro compito nella nuova Europa, in Europa dir. priv., 2007, 2, 250.
(37) V. SCALISI, op. loc. cit.
(38) F.D. BUSNELLI, L’illecito civile nella stagione europea delle riforme, cit. p. 456, secondo cui la figura potrebbe servire « a riservare un sia pur limitato spazio di rilevanza giuridica anche in Italia (ma senza imitare le dimensioni nordamericane) a danni lato sensu punitivi o quanto meno a quegli aggravated damages connessi con la particolare gravità di una colpa “lucrativa” del danneggiante che ha inteso arricchirsi commettendo l’illecito ». In senso diverso M. FRANZONI, Fatti illeciti — supplemento (art. 2043, 2056-2059), in Commentario Scialoja e Branca, a cura di F. Galgano, Bologna- Roma, 2004, 666 per il quale anche per quanto concerne l’art. 2059 « la funzione del risarcimento … non deve essere considerata punitiva della condotta dell’autore del fatto».
(39) Cass. 27 luglio 2006, n. 17144 in Resp. risarcim., 2006, 9, 34, nota di MADEO, ed il richiamo a Cass. 20 ottobre 2005 n. 20323, in Rep. Foro it., 2005, Danni civili, [2020], n. 220; Cass. 31 maggio 2003 n. 8827, in Foro it., 2003, I, 2273, nota di E. NAVARRETTA; Cass. 31 maggio 2003 n. 8828, ivi. In dottrina, da ultimo, P. SIRENA, Il risarcimento dei c.d. danni punitivi e la restituzione dell’arricchimento senza causa, in Il diritto delle obbligazioni e dei contratti: verso una riforma? Le prospettive di una novellazione del libro quarto del codice civile nel momento storico attuale (Atti del convegno per il cinquantenario della rivista, Treviso, 23-24-25 marzo 2006), 534.
(40)P. SIRENA, op. loc. cit.
(41) Cass. 19 gennaio 2007, n. 1183, in Foro it., 2007, I, 1460 con nota di G. PONZANELLI, Danni punitivi: no grazie, e con osservazioni di A. PALMIERI.
(42) G. PONZANELLI, Danni punitivi: no grazie, cit. Come si è osservato la Corte Suprema degli Stati Uniti ha fissato due criteri: «la non contrarietà, in termini generali, della figura ai principi costituzionali» e «la possibile concreta contrarietà del livello dei danni punitivi quando il loro ammontare superi i requisiti di ragionevolezza e di proporzionalità all’offesa subita ».
(43) M. DI MARZIO, La valutazione e la prova dei danni, in Le azioni collettive in Italia. Profili teorici ed aspetti applicativi, a cura di C. BELLI, Milano, 2007, 173.
(44) S. CHIARLONI, Per la chiarezza di idee in tema di tutele collettive dei consumatori alla luce della legislazione vigente e dei progetti all’esame del Parlamento, in Le azioni collettive in Italia, cit., 25 ss.
(45) M. TARUFFO, La tutela collettiva: interessi in gioco ed esperienze a confronto, in Le azioni collettive in Italia, cit., 13 ss.
(46) Si veda in particolare per un giudizio negativo P. RESCIGNO, Sulla compatibilità tra il modello processuale delle class actions ed i principi fondamentali dell’ordinamento giuridico italiano, in Giur. it., 2000, 2224 ss.; V. CONSOLO, Class actions fuori dagli Usa, in Riv. dir. civ., 1993, I, 653 ss.; G. COSTANTINO, Note sulle tecniche di tutela collettiva, in Riv. dir. proc., 2004, 1009; S. CHIARLONI, Per la chiarezza di idee in tema di tutele collettive, cit., 25 ss.; M. TARUFFO, La tutela collettiva: interessi in gioco ed esperienze a confronto, cit., 13 ss.
(47) C. CASTRONOVO, La responsabilità civile in Italia al passaggio del millennio, in Europa dir. priv., 2003, 167.
(48) C. CASTRONOVO, op. loc. cit.
(49) C. CASTRONOVO, op. cit., 168-169.
(50) V. U. MATTEI, I Rimedi, in Il diritto soggettivo, nel Trattato di diritto civile, diretto da R. Sacco, Torino, 2001, 105 ss.; A. DI MAJO, Il linguaggio dei rimedi, in Europa dir. priv., 2005, 2, 341 ss.; ID., Adempimento e risarcimento nella prospettiva dei rimedi, ivi, 2007, 2 ss.; D. MESSINETTI, Sapere complesso e tecniche rimediali, ivi, 2005, 605 ss.; P.G. MONATERI, Ripensare il diritto civile, Torino, 2006.
(51) U. MATTEI, op. cit., 108.
(52) V. da ultimo E. NAVARRETTA, La complessità del rapporto fra interessi e rimedi nel diritto europeo dei contratti, Intervento al Convegno svolto a Firenze il 30 marzo 2007, dal titolo Remedies in contract. The common rules for a European law, di prossima pubblicazione nella Collana Persona e Mercato, diretta da G. Vettori; ed ivi il richiamo di VAN GERWEN, Of rights, remedies and procedures, in Common Market Law Review, 2000, 526.
(53) Cass. 10 gennaio 2006 n. 141 in Foro it., 2006, I, 704, nota di D. DALFINO, A. PROTO PISANI.
(54) G. PONZANELLI, La irrilevanza costituzionale del principio di integrale riparazione del danno, in La responsabilità civile nella giurisprudenza costituzionale, cit., 69 ss.
(55) G. PONZANELLI, La irrilevanza costituzionale del principio di integrale riparazione del danno, cit., 75; Corte cost., 22 novembre 1991, n. 420, in Foro it., 1992, I, c. 643; C. SALVI, La responsabilità civile, 2a ed., in Tratt. dir. priv., diretto da G. Iudica e P. Zatti, Milano, 2005; A. FLAMINI, La limitazione del debito vettoriale tra interessi del mercato e della persona, in La responsabilità civile nella giurisprudenza costituzionale, cit., 161 ss.; L. MEZZASOMA, La responsabilità della Pubblica Amministrazione per i danni cagionati da cose in custodia (Corte cost., 10 maggio 1999, n. 156), ivi, 229 ss.
(56) G. PONZANELLI, op. ult. cit., 68.
(57) Cass. 18 novembre 2003, n. 17429, in Foro it., 2004, I, 766.
(58) Corte cost., 6 luglio 2004, n. 206, in Foro it., 2007, I, 1365, nota di P.C. RUGGIERI.
(59) Corte Cost., 6 luglio 2004, n. 206, cit.
(60) V. anche per questa elencazione G. COSTANTINO, ADR e tutela collettiva, in Le Azioni collettive in Italia, cit., 88 ss.
(61) G. COSTANTINO, op. ult. cit., 90 ss.
(62) G. COSTANTINO, op. loc. cit. e, in particolare, ID., Note sulle tecniche di tutela collettiva, in Riv. dir. proc., 2004, 1009.
(63) P. RESCIGNO, Sulla compatibilità tra il modello processuale della « class action » ed i principi fondamentali dell’ordinamento giuridico italiano, cit., 2224; S. CHIARLONI, Per la chiarezza di idee in tema di tutele collettive dei consumatori alla luce della legislazione vigente e dei progetti all’esame del Parlamento, cit., 2 ss.; M. TARUFFO, La tutela collettiva: interessi in gioco ed esperienze a confronto, cit., 1 ss.
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