L’INDENNITÀ PER INCREMENTO DEL VALORE DELL’ AZIENDA1. Divergenze interpretative: la giurisprudenza2. La posizione della dottrina3. Il consenso del locatore4. Non configurabilità dell’arricchimento senza causa5. Conclusioni1. Divergenze interpretative: la giurisprudenzaUn caso emblematico di difformità di indirizzo interpretativo tra dottrina e giurisprudenza è rappresentato dall’indennità per incremento di avviamento in caso di cessazione del contratto di affitto di azienda.La norma di riferimento è l’art. 2561, quarto comma, cod. civ. che prevede: “La differenza tra le consistenze di inventario all’inizio e al termine dell’usufrutto è regolata in denaro, sulla base dei valori correnti al termine dell’usufrutto”. Tale previsione è richiamata, per l’affitto di azienda, dall’art. 2562 cod. civ..La giurisprudenza ha applicato letteralmente la disposizione limitando le possibili rivendicazioni dell’affittuario alle sole “differenze di inventario” ed escludendo, con una certa tassatività, l’indennità per l’incremento di avviamento prodotto dall’affittuario stesso durante la gestione dell’impresa.Se si esaminano le motivazioni poste alla base della presa di posizione giurisprudenziale, si rileva che “l’avviamento, costituendo una qualità dell’azienda, non può farsi rientrare tra le consistenze che costituiscono, invece, elementi (materiali e immateriali) della sua struttura, e non fruisce, perciò, della indennizzabilità, prevista dall’ultimo comma dell’art. 2561 (solo) per gli incrementi di queste ultime prodotti dall’usufruttuario o, ex art. 2562, dall’affittuario”(1).Dal tenore letterale dell’art. 2561 si trarrebbe che il termine “consistenze” al plurale non può essere riferito che agli elementi di cui l’azienda si compone, non anche alla redditività della medesima, che non si presta a declinazioni pluralistiche. L’avviamento è qualità “non di elementi singolari, ma dell’azienda nel suo complesso” (2) e, pertanto, resterebbe escluso dalla previsione della suddetta norma.E’ stato anche precisato che le consistenze di inventario sono gli elementi che strutturano l’azienda, nella loro entità e nel modo di essere, all’inizio e al termine del rapporto e che la differenza è “non solo quantitativa, ma anche qualitativa, cioè relativa non solo all’entità, ma anche al modo di essere degli elementi strutturali dell’azienda”(3).L’art. 2561 recherebbe, inoltre, una disciplina speciale rispetto a quella delle locazioni (artt. 1592 e 1593 cod. civ.) nel senso che la funzione dell’indennità ivi prevista, con la differenza tra le consistenze di inventario, sarebbe retributiva e non meramente reintegrativa come quella in tema di locazioni.Si ricorda, in proposito, che nella locazione il conduttore ha diritto all’indennità per miglioramenti, se vi è stato il consenso del locatore, nei limiti della “minor somma tra l’importo della spesa e il valore del risultato utile al tempo della riconsegna” (art. 1592, primo comma, cod. civ.). La deroga al suddetto principio deve considerarsi eccezionale (4).Il quarto comma dell’art. 2561 presenterebbe, pertanto, un aspetto particolare in quanto attribuirebbe all’affittuario il diritto ad un’ indennità non di puro rimborso, ma collegata all’accresciuto valore delle consistenze, ampliando, così, in melius il menzionato principio del contratto di locazione e le più pesanti restrizioni indotte dall’ art. 1620 cod. civ., in tema di affitto, che consente all’affittuario di prendere le iniziative atte a produrre un aumento di reddito della cosa “purchè non importino obblighi per il locatore”.L’art. 2561, in definitiva, individuerebbe compiutamente l’ambito delle pretese dell’affittuario a fine rapporto eliminando quelle provenienti da spese che, anche se incrementative del valore dell’azienda, non si siano tradotte in accrescimento del valore delle consistenze, derivanti, come nel caso all’esame, da interventi che abbiano potenziato l’avviamento senza confluire su queste ultime.Anche recentemente, il già consolidato orientamento è stato confermato nella parte che, individuando l’art. 2561 come norma speciale, esclude le previsioni dettate dagli artt. 1592 e 1593 cod. civ. (5). Il tutto, come evidenziato, in un’ottica più favorevole all’affittuario di azienda.2. La posizione della dottrinaDi fronte a tale consolidata posizione assunta dalla giurisprudenza, la dottrina (6) ha offerto una prospettiva più aperta.Viene premesso che, pur condividendo che l’avviamento appartiene all’azienda e che, quindi, ritorna al proprietario al termine del rapporto di affitto, è insostenibile l’argomentazione che non esista un diritto al compenso. Del resto “anche le maggiori scorte, anche i più recenti e costosi impianti immessi dall’usufruttuario o dal locatario entrano nel patrimonio del proprietario, ma la loro aumentata consistenza dà luogo ad un credito dell’usufruttuario o affittuario”(7).Altra argomentazione a favore del riconoscimento dell’indennità prende spunto dalla distinzione, già espressa dalla giurisprudenza, tra incremento o decremento dei singoli componenti dell’azienda ed incremento o decremento del valore complessivo dell’azienda. L’art. 2561, quarto comma, cod. civ. si applicherebbe ai primi, mentre il mutamento del valore complessivo troverebbe fondamento nell’art. 1592 cod. civ., che attribuirebbe all’affittuario il potere di apportare miglioramenti essendo insito nel potere di gestione dell’azienda”(8).Viene definita, tra l’altro, infondata l’obiezione incentrata sulla asserita natura di cespite non inventariabile dell’avviamento in quanto l’inventario di inizio e di fine affitto è retto da regole parzialmente differenti da quelle del bilancio di esercizio dovendosi, di contro, avvicinare a un bilancio di cessione. A dimostrazione di tale assunto, si evidenzia che, se l’avviamento non fosse inseribile negli inventari iniziale e finale, non sarebbe possibile rendere operante, in termini di misurazione, il secondo comma dell’art. 2561 in base al quale l’affittuario è tenuto a “conservare l’efficienza dell’organizzazione”.Dalle premesse di cui sopra viene, dunque, tratta la conseguenza del diritto dell’affittuario a ricevere un’indennità per il miglioramento dell’azienda sostanziando un credito verso il proprietario. L’incremento deve scaturire dall’attività dell’affittuario; se deriva da fattori esterni, di mercato, non si dà luogo all’indennità.Peraltro l’indennità di cui si tratta viene circoscritta, secondo i canoni dell’art. 1592, nei limiti della minor somma tra aumento di valore dell’azienda e spese (di pubblicità, indagini di mercato e altro) affrontate per tale sviluppo e non confluite nella determinazione del valore dei singoli componenti.3. Il consenso del locatoreDa non tralasciare il dato che ulteriore limitazione prevista dall’art. 1592 è sostanziata dall’inciso iniziale: “salvo disposizioni particolari della legge o degli usi, il conduttore non ha diritto a indennità per i miglioramenti apportati alla cosa locata. Se però vi è stato il consenso del locatore…”.La dottrina prevalente tralascia considerazioni su tale condizione del consenso del locatore e solo un Autore, avendo compiutamente valutato il requisito, perviene ad ulteriori conclusioni (9). Premesso che non sarebbe possibile distinguere tra attività di conservazione e attività di miglioramento dell’azienda, in quanto il mercato non consente che questa rimanga immutata nella sua composizioni implicando “frequenti problemi di variazioni”, gli interessi del locatore e dell’affittuario risulterebbero normalmente omogenei. Divergenze deriverebbero solo per gli investimenti. Solo nel caso in cui l’aumento di avviamento derivasse da spese sostenute in dissenso dal titolare, l’affittuario avrebbe diritto ad essere indennizzato. Le spese sarebbero state, infatti, affrontate a suo rischio in quanto, se provocassero diminuzione di avviamento, resterebbero a suo carico.Pur interessante nelle sue implicazioni di strategia industriale, il ragionamento presenta gli stessi limiti di tutto il versante dottrinale.4. Non configurabilità dell’arricchimento senza causaStanti le limitazioni poste dall’art 2561, si pone la problematica dell’eventuale possibilità di avvalersi dell’azione generale di arricchimento (art. 2041 cod. civ.) nei confronti del locatore dell’azienda che, nel momento della cessazione del rapporto, riprenda la gestione di un’impresa il cui avviamento risulti incrementato dall’azione dell’affittuario.La caratteristica di sussidiarietà della suddetta azione, derivante dal principio sancito dall’art. 2042 (“l’azione di arricchimento non è proponibile quando il danneggiato può esercitare un’altra azione per farsi indennizzare il pregiudizio subito”), rende alquanto dubbia la praticabilità di tale soluzione.La natura sussidiaria dell’azione postula, infatti, che non sia prevista altra azione a tutela di colui che lamenti il depauperamento, che cioè “sia carente ab origine una qualsiasi altra azione e non già che sia previamente sperimentata un’altra azione tipica” (10). In altri termini, l’azione ex art. 2041, per il suo carattere sussidiario deve ritenersi esclusa in ogni caso in cui il danneggiato, secondo una valutazione da compiersi in astratto, prescindendo, perciò, da una valutazione del suo esito, possa esercitare un’altra azione per farsi indennizzare il pregiudizio subito.Nel caso all’esame sono due gli elementi che sembrano inibire la possibilità di avvalersi dell’azione generale di arricchimento:- l’art. 2561, quarto comma, introduce i principio che le rivendicazioni dell’affittuario di azienda verso il locatore, a fine rapporto, sono limitate alle differenze di inventario. Si tratta, pertanto, di un’azione specifica a favore dell’affittuario per tali rivendicazioni;- anche qualora volesse allargarsi la prospettiva delle pretese dell’affittuario, la materia sarebbe, comunque, regolata dall’art. 1620 c.c. che limita la facoltà di quest’ultimo di assumere iniziative atte a produrre un aumento di reddito della cosa nel senso che queste non devono comportare obblighi per il locatore.Entrambe le norme circoscrivono l’ambito delle azioni a favore dell’affittuario rendendo inapplicabile l’art. 2041 c.c. in quanto si rivelerebbe contrastante con la ratio stessa di tale norma quale “rimedio estremo da invocare soltanto quando la situazione di squilibrio non possa venire regolata con altro mezzo riconosciuto dalla legge” essendo intesa la sussidiarietà della relativa azione rispetto ad una lacuna dell’ordinamento e non già rispetto ad un’altra azione. (11)5. ConclusioniSoffermandosi sulle argomentazioni che la dottrina pone a sostegno delle proprie tesi, si rileva come il riferimento alle norme che regolano la locazione non risulti corretto. Non si vede, infatti, spazio per poter fare riferimento a tale disciplina in presenza di norme specifiche riguardanti il contratto di affitto.Pur ammettendo, perciò, che l’art. 2561 si riferisca, come norma speciale, solo alle singole componenti aziendali e non all’azienda nel suo complesso (su questo assunto convergono sia la dottrina che la giurisprudenza), le norme generali da considerare per tale più ampio versante non sono quelle sulla locazione, bensì quelle sull’affitto.Dovrebbe trovare, pertanto, applicazione l’art. 1620 che risulta, in proposito, nettamente più rigido e preclusivo al fine della configurazione di un’indennità per incremento di avviamento. Pur abilitando, infatti, l’affittuario a prendere le iniziative atte a produrre un aumento del reddito, tale facoltà è condizionata all’esigenza che le stesse “non importino obblighi per il locatore o non gli arrechino pregiudizio, e siano conformi all’interesse della produzione”.La limitazione appare, dunque, drastica, e non schiude alcuna prospettiva favorevole alla tesi dell’indennizzabilità se non in uno specifico quadro pattizio.Una pronuncia della Cassazione (12) ha ripercorso l’iter interpretativo nel senso sopra descritto affermando:- se si verte in tema di affitto di azienda devono trovare applicazione le norme che disciplinano questo tipo di contratto e non quelle relative alla locazione;- l’art. 1620 attribuisce all’affittuario di cosa produttiva la facoltà di prendere ogni iniziativa utile per incrementarne il reddito;- tale facoltà non può, peraltro, tradursi in obblighi a carico del locatore e non può, perciò, costituire titolo per pretendere indennità per i miglioramenti realizzati.In questo contesto non è dato individuare spazi per il rimborso delle spese finalizzate all’incremento di avviamento se non si traducono in incremento delle consistenze di inventario.La soluzione reperita sotto il profilo interpretativo sembra contrastare con le esigenze della produzione nel senso che l’affittuario risulterebbe non incentivato ad incrementare l’avviamento. Si limiterebbe, pertanto, a adottare una strategia industriale esclusivamente conservativa nel ristretto perimetro che il secondo comma dell’art. 2561 configura prevedendo l’obbligo, a carico dell’affittuario, di una gestione aziendale “in modo da conservare l’efficienza dell’organizzazione e degli impianti e le normali dotazioni di scorte”.Il contratto di affitto di azienda, che dovrebbe avere finalità espansive della produzione nell’ interesse generale e anche nell’ottica reddituale del proprietario e dell’affittuario, non si presta, nello schema normativo vigente, ad un corretto profilo evolutivo. Risente, infatti, del retaggio di una superata concezione economica, forse di matrice agraria, inadeguata rispetto alle esigenze di duttilità imposte dall’economia globalizzata.(1) Cass. 20 aprile.1994 n. 3775, in Foro It. 1995,I, p. 1296 che richiama molte altre pronunce in senso analogo.(2) Cass. 13 aprile 1977 n. 1388, in Rep. Foro It., 1977,voce Azienda, 13 (3) Cass. 28 gennaio 2002 n. 993, in Giust. Civ. Mass., 2002, 143(4) Cass. 20.4.1994 n. 3775, cit..(5) Cass. 9 maggio 2007 n. 10623 in Giust. Civ. Mass., 2007, 9(6) E. COLOMBO, Usufrutto ed affitto dell’ azienda, in Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia diretto da F. Galgano, Padova, 1979, p.281; G. FERRARI, voce Azienda (dir. priv.), in Enciclopedia del diritto, Milano, pp. 738, 739; G. U. TEDESCHI, Le disposizioni generali sull’azienda, in Trattato di dirittoprivato, diretto da P. Rescigno, Torino, vol. XVIII, 1983, p. 68; L. QUATTROCCHIO, La cessazione del contratto di affitto di azienda, in I Contratti, n. 10, 2002.p. 43 e segg.. Contra, COTTINO, L’imprenditore, Diritto Commerciale,I,1, Padova, 2000, p. 257.(7) E. COLOMBO, op. cit., p. 280(8) E. COLOMBO, op. cit., p. 282 (9) G. AULETTA, voce Azienda, in Enc. Giuridica, Roma,1988, pp. 32,33(10) Cass. 9 maggio 2002 n. 6647 in Giust. Civ. Mass,, 2002, 795(11) U. BRECCIA, L’arricchimento senza causa, in Trattato di Diritto Privato diretto da P. Rescigno, 1984, p.847 n.116(12) Cass. 29 settembre 2005 n. 19162 in Giust. Civ. Mass., 2005, 7/8
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