ISSN 2239-8570

L’interpretazione di buona fede nel codice civile e nel Common Frame of Reference (DCFR), di Giuseppe Vettori

Ordinario di Diritto Civile

SOMMARIO: 1. Interpretazione e diritti. –  2. L’interpretazione secondo buona fede e correttezza (8: 102 I lett. g, DCFR e art. 1366 del codice civile italiano). – 3. Se una parte ha più diritti dell’altra. – 4. L’art. 1:102 e l’interpretazione conforme ai diritti umani, le libertà fondamentali e le tradizioni costituzionali.

1. Interpretazione e diritti.Ovunque vi sia una manifestazione oggettiva artistica, letteraria, giuridica entra in gioco la nostra attività interpretativa. Il che ha indotto taluno, autorevolmente, a ricercare un elemento comune che starebbe in ciò (1). Riprodurre l’altrui pensiero sino a scoprire la chiave spettacolare, orchestrale, letteraria, filosofica dell’opera oggetto di esegesi. L’interpretazione giuridica ha in questo ipotetico genus una funzione dettata dalla  peculiarità del testo. Deve fornire la massima per decidere o per  prendere posizione su di un conflitto di interessi, su di una richiesta di tutela o su di un accertamento rilevante.IL DCFR ribadisce  regole conosciute e indica qualche novità.L’art. 1:102 prevede che tutte le disposizioni debbano essere lette in modo da garantire i diritti umani, le libertà fondamentali e le tradizioni costituzionali comuni.  Il Chapter 8 sull’Interpretation of contract(2)  contiene diverse ambiguità, qualche faticoso compromesso e ancora una novità. Il principio fondamentale è indicato nella necessità di ricostruire la comune intenzione delle parti anche se questa differisce from the literal meaning of the words (8:101 I). Si da rilievo, (secondo una regola della common law recepita nell’art. 8 1 della CVIM), alla conoscenza della vera intenzione di una parte se, al momento della conclusione del contratto, l’altra parte era consapevole o avrebbe  potuto prevedere tale originaria intenzione (8:101 2). Si ribadisce un criterio oggettivo (8:101 3) sul significato che al testo attribuirebbe una persona ragionevole, con una specificazione ulteriore rispetto ai Principi Lando. Ciò è possibile se l’intenzione non può essere ricostruita in base ai precedenti criteri e se la questione sorge  nei confronti di una persona che non è parte del contratto o che non ha per legge diritti migliori dell’altra parte, sempre che si sia fatto affidamento sul significato apparente del contratto (8:101 3 a e b). Si può tener conto in particolare (8:102 I) delle circostanze in cui è stato concluso il negozio (comprese quelle preliminari), della condotta delle parti (anche successiva alla conclusione), delle espressioni simili e delle pratiche che si sono stabilite fra le parti stesse, oltre alle significato comunemente dato ai termini usati, alla natura e allo scopo del contratto, agli usi e alla buona fede.  Anche qui esiste una novità rispetto ai principi Lando. Si precisa (8:102 2) che in una questione con una persona che non è parte (o un avente causa) o che non ha per legge più diritti dell’altra (by law has no better rights than such a party) ma che ha fatto affidamento sul significato apparente del contratto, può essere fatto riferimento alle circostanze esterne nella misura in cui tali circostanze sono state conosciute o avrebbero essere potuto essere previste. Salvo il rilievo generale della buona fede.A tali criteri segue un’indicazione in caso di clausole predisposte o negoziate (8:103 – 8:104), un richiamo alla necessità di tener conto del contratto nel suo insieme (reference to contract as a whole (8:105)), un principio di conservazione degli effetti (8:106), e una regola in caso di discrepanze linguistiche (8:107).Mi soffermerò su un solo aspetto: il ruolo della buona fede ed il  rilievo di tale criterio nelle ipotesi in cui una  parte ha per legge più diritti dell’altra (8:101 3 lett. b; 8:102 DCFR).

2. L’interpretazione secondo buona fede e correttezza (8: 102 I lett. g, DCFR e art. 1366 del codice civile italiano).La regola pone da sempre dubbi e interrogativi soprattutto nell’identificare quali soluzioni siano conformi alla buona fede e in che modo tale criterio aggiunga un ulteriore significato a quanto già previsto nei criteri soggetti e oggettivi di interpretazione (8:101, 8:102; artt. 1362 e 1367 c.c.) (3).Nel diritto italiano le definizioni più risalenti riferivano l’interpretazione secondo buona fede a quella che si svolge in modo conforme “alla intenzione delle parti e allo scopo che esse si sono proposte contrattando”. Ma si è osservato esattamente che la fedeltà alla volontà comune è già richiesta dall’art. 1362. Sicchè quando essa esiste ed è nota “non c’è bisogno dell’art.1366 per darle forza” (4).Abbandonata l’equivalenza fra buona fede e volontà si è preso posizione per un significato più oggettivo. Da qui l’idea che la buona fede espliciti il rilievo di una “reciproca lealtà di condotta fra le parti”(5) , ma la definizione non aggiunge niente al significato dell’art.1366.Molto diffusa è l’dea di un collegamento fra la norma e il principio di affidamento. Secondo Cesare Grassetti “data una dichiarazione che la controparte aveva il diritto di intendere in un dato senso (…) questo senso sarà rilevante per il diritto e il dichiarante non potrebbe invocare un significato diverso”(6) . Sicchè interpretare secondo buona fede una dichiarazione significa, secondo questa tesi,  mettersi nella disposizione di chi debba prenderne cognizione. Ma ciò non è convincente perché “il contratto non è l’isolata dichiarazione di una persona ad un’altra, ma un ceppo di dichiarazioni reciproche: un testo unitario a cui portano la loro adesione entrambe le parti. Non c’è un dichiarante e un destinatario, i due contraenti partecipano delle due qualità” (7). Di più. Non c’è solo un programma voluto e comunicato ma un contenuto eteronomo da individuare in concreto.Certo la teoria  dell’ affidamento è stata poi arricchita da due  ulteriori indicazioni.Si fa prevalere il significato che entrambe le parti dovevano dare al testo, ma ciò riflette o “un codice comune alle parti o un significato oggettivo” che si ricava già dall’art. 1362(8) . Sicché, ancora, l’art. 1366 sarebbe una ripetizione. D’altra parte si da rilievo all’ipotesi della predisposizione del contratto che però è già disciplinata dagli articoli 1341 e 1370 c.c. e dalle norme speciali in tema di consumo. Ciò induce ad osservare che l’art. 1366 non si è prestato a sviluppi particolarmente interessanti perché “le applicazioni che esso ha generato prima del 1942 sono oggi tradotte in regole legali specifiche e perciò sono diventate autonome rispetto alla matrice che le ha prodotte”(9) .E si comprende come da qualche tempo si formulino letture più impegnative dell’art. 1366 su cui non esiste un largo consenso ma che hanno sicuramente una base giustificabile.Si ipotizza un suo ruolo nel caso di effetti dannosi imprevisti e perciò ingiusti, aprendo la via al tema della revisione o ripetizione del contratto, senza alterare rischio e oneri predisposti dalle parti. Si utilizza l’art. 1366 per “rettificare dettagli di un negozio, cancellandone quanto inserito grazie all’abuso del disagio (debolezza, ingenuità, timidezza) o della momentanea mancanza di discernimento della controparte” (10).  Si afferma nelle sentenze di legittimità  che la clausola generale amplia i diritti e gli obblighi delle parti sicché il criterio interpretativo che la richiama impone di tener conto di tale integrazione e indica all’interprete la necessità di individuare il contenuto effettivo dei diritti e doveri delle parti e di ricercare il senso più rispondente ad un’attività corretta dei contraenti (11). Ciò assegna alla buona fede interpretativa un significato compiuto e utile.Ne è prova una recente sentenza della Cassazione italiana (12) secondo la quale, quando si fa valere un contegno in mala fede di una parte disatteso dal giudice di merito, si deve denunziare nel ricorso, a pena di ammissibilità, la violazione della regola interpretativa. Sicchè è evidente che vi è un legame stretto fra accertamento della scorrettezza del contegno esecutivo di una clausola e regola interpretativa.Ciò può apparire in contrasto con il DCFR che presenta segni di ambiguità  nell’articolo III 1:103 e una novità rispetto al testo dei Principi Lando.Dopo aver ribadito nelle General provisions (I 1:102) il ruolo della clausola generale e la sua  incidenza sulle Obligations and corresponding rights, si restringe la sua operatività. L’art. III 1:103 3 dispone che l’inadempimento dell’obbligo di buona fede non comporta un rimedio per l’inadempimento, ma può precludere alla persona inadempiente di esercitare o fare affidamento su un diritto, rimedio o difesa che essa avrebbe.Questo inciso ha chiaramente il fine di porre un freno all’idea che la clausola sia uno strumento generale di controllo (13) e si propone, certo, di  limitare la possibilità per il giudice di trarre da essa nuovi diritti e doveri per i contraenti (14) . Ma il testo, proprio per la sua ambiguità, lascia spazio a diverse letture. In esso si dice che la violazione della buona fede non comporta inadempimento, al contrario di quanto sostiene la giurisprudenza italiana, ma ciò non esclude affatto che dal dovere di good faith possano sorgere nuovi obblighi e diritti. Non fosse altro perché la disposizione riconosce al contraente in buona fede contro l’altro in mala fede, il diritto di impedire l’esercizio di un diritto, rimedio o difesa. Il che integra, con una formulazione a maglie larghe, la capacità integrativa della clausola che concerne, sempre, una valutazione procedurale sui contegni che arricchisce diritti e doveri delle parti del contratto.Il vero è che nella formulazione dell’art. III 1:103 3 si nota chiaramente il diverso modo di ragionare dei giuristi di common law e di civil law (15).  La cultura anglosassone tende naturalmente a ragionare in termini di rimedi e di limite ad esperire rimedi, mentre teme, da sempre, il proliferare di diritti, specie di fonte non ben definita. I giuristi continentali ragionano sempre sulla base della definizione delle posizioni soggettive e un ruolo autonomo della buona fede non può che determinare, secondo questa mentalità, il sorgere di nuovi diritti e doveri.Se si va oltre il rispettivo orizzonte si può forse riuscire a concordare su di un punto essenziale.La buona fede è strumento procedurale di controllo dei contegni delle parti. Ad essa  si assegna valore generale nell’art. 8:102 1 lett. g e 2 anche quando una parte ha più diritti dell’altra e ciò può avere un significato importante nel precisare i confini della doverosità. La quale può emergere dalla comune intenzione delle parti ma anche  dai diritti e obblighi ricostruibili nel concreto regolamento in virtù delle regole di settore e dei principi indicati nell’art. 1:102. Vediamo gli uni e gli altri.

3. Se una parte ha più diritti dell’altra.Il riferimento nel DCFR ai criteri interpretativi in caso di disparità di potere fra le parti evoca un problema avvertito in ogni ordinamento nazionale ove la disciplina generale (16) deve essere ripensata nel confronto con le discipline di settore in particolare per i contratti dei consumatori e i contratti fra imprese.Le ricostruzioni offerte dalla dottrina italiana sono diverse. Per alcuni il contratto non negoziato stipulato fra professionista e consumatore deve essere interpretato graduando i criteri esegetici (17) ma ricostruendo ancora la “comune intenzione delle parti” intesa come “risultato avuto di mira dalle parti”(18) . Altri reputano che al contratto non negoziato tra professionista e consumatore non sia applicabile il criterio della interpretazione soggettiva e ciò con varie giustificazioni (19).A ben vedere, il criterio della comune intenzione non offre utili indicazioni in assenza di una trattativa individuale  mentre ha ancora un significato utile  il criterio della buona fede. Ciò perché la clausola, come si è detto, svolge un compito primario nel fissare il contenuto del contratto e nel necessario richiamo dei diritti e obblighi che sorgono per le parti dal testo e dalla legge. Tale funzione è utilissima anche nell’interpretazione dei contratti fra un professionista e un consumatore.Nel settore dei contratti di impresa valgono due conclusioni già raggiunte in precedenza.La nozione deve essere scomposta in una diversa serie di negoziazioni a seconda che si tratti di contratti unilateralmente commerciati (fra professionisti e consumatori), ove si può richiamare quanto detto in precedenza, o di contratti bilaterali ove è necessario distinguere i contratti fra imprese privi di significative asimmetrie (B to B) dai contratti ove invece la posizione delle parti è sostanzialmente diversa per una serie di circostanze soggettive o oggettive (B to b) (20) . Non fosse altro perché emerge con sempre maggiore consapevolezza l’idea che i criteri di interpretazione devono essere diversificati in relazione al peculiare modo in cui la manifestazione dell’autonomia privata si esplica (21).Le posizioni in dottrina sono comunque distanti  (22) ed occorre, come si è accennato innanzi, diversificare le varie figure contrattuali sulla base di una considerazione generale. In questi contratti è essenziale l’esame della normativa speciale ispirata ad una ratio di protezione di un contraente imprenditore (in tema di abuso di dipendenza economica, franchising e di termini di pagamento) e della disciplina giuridica del mercato di cui la singola contrattazione è parte (23). Da tali disposizioni si potranno trarre quelle circostanze  utili a integrare i diritti e gli obblighi previsti dal contratto o dalla legge e ciò non potrà non incidere sui criteri di interpretazione. Sicchè la buona fede ha, anche qui, un ruolo positivo perché impone all’interprete sia di tener conto della diversa posizione di potere delle parti, resa rilevante dalle leggi speciali, sia di formulare una lettura del testo contrattuale conforme ai criteri speciali di rilevanza.

4. L’art. 1:102 e l’interpretazione conforme ai diritti umani, le libertà fondamentali e le tradizioni costituzionali.La regola interpretativa sulla conformità ai diritti e alle libertà fondamentali esige una premessa.La Carta dei diritti ribadisce la distinzione fra diritti e principi e la spiegazione all’art. 52, richiamata nel nuovo art. 6 del Trattato di Lisbona è chiarissima. Si dice che ai principi (articolo 51) può essere data attuazione tramite atti legislativi o esecutivi sicché essi assumono rilevanza per il giudice solo quando tali atti sono interpretati o sottoposti a controllo, senza creare  pretese dirette nei confronti delle istituzioni dell’Unione o delle autorità degli Stati membri (24).  E ciò è in linea, si dice, sia con la giurisprudenza della Corte di giustizia (25), sia con l’approccio ai «principi» negli ordinamenti costituzionali degli Stati membri, specialmente nella normativa sociale. A titolo illustrativo si citano come esempi di principi riconosciuti nella Carta gli articoli 25, 26 e 37. E si ricorda che in alcuni casi è possibile che un articolo della Carta contenga elementi sia di un diritto sia di un principio, come ad esempio gli articoli 23, 33 e 34 (26).E’ certo (27) che la distinzione fra diritti e principi costituisce un espediente per limitare interpretazioni creative, ma, a ben vedere,  essa ha solo l’effetto di sollecitare una precisazione attenta del rapporto auspicabile fra la disciplina del contratto, il testo della Carta e il ruolo della giurisdizione che trova ora nell’art. 1:102 un importante riferimento ove si dice che tutte le disposizioni del DCFR debbono essere interpretate in modo da garantire i diritti umani, le libertà fondamentali e le tradizioni costituzionali comuni.Tale indicazione acquista spessore se si chiarisce il modo di operare di un criterio interpretativo fondato su di un principio. Perché questo riferimento possa operare è necessaria una regola prevista dal legislatore o costruita dal giudice con un’attività che è un atto di interpretazione, senza con ciò creare nuovo diritto perché il caso ricade nella dimensione giuridica se esiste un principio. Tale metodo utilizza un canone di costruzione giuridica ricavato dal caso tramite le interferenze e la deduzione di diversa natura (28). Ciò serve a creare la regola di decisione ma può essere utilizzato anche come canone esegetico del contratto se si  tiene conto di alcune indicazioni.Il giudice è soggetto solo alla legge  (29) che regola anche il rapporto fra eguaglianza e disparità di potere fra i cittadini (art. 3) (30). La Costituzione garantisce la parità delle situazioni soggettive (diritto, obbligo, potere, dovere) di fronte alla legge e al giudice  perché si riconosce, su di un piano di assoluta parità, ogni situazione di diritto e interesse (art. 24) e si esige che tali situazioni siano valutate da un giudice terzo e imparziale (art.111). Tutto ciò significa che il rilievo di eventuali disparità di potere dei contraenti non può essere accertato e deciso sul piano delle situazioni soggettive, eguali per tutti. L’eguaglianza dovrà essere assicurata attraverso l’accertamento giudiziale della diversità che dovrà fondarsi esclusivamente sull’attuazione di una norma, l’uso corretto di clausole generali, la qualificazione giuridica di un fatto che giustifichi il trattamento differenziato (31).Si capisce così come il riferimento, nel DCFR, ai criteri di  interpretazione  in presenza di diversità dei diritti fra le parti e al ruolo generale della buona fede sia un dato di sicuro rilievo. Da esso e dai criteri legali fissati dal legislatore italiano può trarsi che il giudice deve (in base all’art. 1366 del codice civile ed al DCFR quando tale testo avrà qualche valore impegnativo) ricostruire il contenuto del contratto nel rispetto della comune intenzione delle parti e accertare i diritti che  derivano dalle leggi di settore. Tutto ciò in conformità con le situazioni e le libertà fondamentali, le quali tramite la buona fede divengono criteri esegetici e parametri di conformità per il significato legale dell’atto.Il che non è in contrasto con il fondamento della clausola con la quale si protegge l’affidamento di una parte sul ragionevole significato e contenuto delle dichiarazioni e dei comportamenti e perciò della loro conformità alla comune intenzione, integrata dai diritti e dalle libertà fondamentali._____________________________________________________________________________________NOTE: (1)  E. Betti, Interpretazione della legge e degli atti giuridici (teoria generale e dogmatica), Milano 1949.(2) La Section I contiene sette norme: General rules (8:101), Relevant matters (8:102), Interpretation against party supplying term (8:103), Preference for negotiated terms (8:104), Reference to contract as a whole (8:105), Preference for interpretation which gives terms effect (8:106), Linguistic discrepancies (8:107 ). Nella Section 2 esiste una sola norma sulle General rules in tema di interpretazione degli altri atti giuridici e una disposizione sull’analogia.(3)  Si veda su questo punto e sulle successive argomentazioni v. R. Sacco, L’interpretazione, in R. Sacco e G. De Nova, Il contratto, in Tratt. dir. civ., dir. da R. Sacco,Torino, 2004, p. 369 ss.; N. Irti, Testo e contesto, Padova, 1966, p. 25; ma v. anche C. Grassetti, L’interpretazione del negozio giuridico con particolare riguardo ai contratti, Padova, 1983, p. 108; M. Casella, Il contratto e l’interpretazione. Contributo ad una ricerca di diritto positivo, Milano, 1961, p. 143; V. Rizzo, Interpretazione dei contratti e relatività delle sue regole, Napoli, 1985, p. 163 ss.; C. Scognamiglio, Interpretazione dei contratti e interessi dei contraenti, Padova, 1992, p. 273; v. ora il bel saggio di V. Calderai, La teoria classica dell’interpretazione dei contratti. Origini, fortuna e crisi di un paradigma dogmatico, in Diritto Privato, 2003, p. 344 ss.(4)  R. Sacco, op. cit., p. 375 ss.(5) C. Grassetti, op. cit., p. 197.(6)  Id., op. loc. cit.(7) R. Sacco, op. cit., p. 408.(8)  Id., op. loc. cit.(9) Id., op. loc. cit.(10)  Id., op. ult. cit., p. 410.(11)  Qualche dubbio esprime la Cassazione in tema di interpretazione del contratto sull’opportunità di utilizzare altri criteri quando il senso letterale delle parole conduca a risultato di certezza. Ma, di recente, si reputa sempre necessario il criterio ermeneutico evocato dalle varie clausole contrattuali (1363 c.c.)  (Cass. 11 giugno 1999 n. 5747, in Giur. It, 2000, p. 705) e fondato sull’insieme di regole comportamentali di lealtà e correttezza (1366 c.c.) (Cass. 12 novembre 1992, n.12165, in Giust. civ. Mass. 1992, fasc. 11) che può condurre a individuare doveri strumentali al soddisfacimento delle parti contraenti, anche in caso di mera “inerzia cosciente e volontaria” (Cass. 17 febbraio 2004 n. 2992, in Dir. e giust., 2004, 13, p. 34).(12)  Cass. 11 agosto 2000, n. 10705, in Giust. civ. Mass., 2000, 1778.(13)  H. Beale, General clauses and specific rules in The Principles of European Contyract Law: the Good faith clause, in S. Grundman e D. Mazeaud (eds.), General Clauses and Standard in European Contract Law, Kluwer Law International, 2006, p. 205-218, il quale esclude che la buona fede possa essere uno strumento omnicomprensivo di controllo e limita il suo contenuto ad un giudizio di ragionevolezza. In senso decisamente contrario v. O. Lando, Is Good Faith an Over-Arching General Clause in the Principles of European Contract Law?, in European Review of Private Law, 2007, 6, p. 841 ss.(14)  V. M. Hesselink, Common Frame of Reference & Social Justice, Centre for the Study of European Contract Law Working Paper Series No. 2008/04, in http://ssrn.com; v. dello stesso autore The concept of Good Faith, in Hartkamp et al. (eds.), Towards a European Civil Code, Kluwer Law International, 2004; e S. Whittaker & R. Zimmerman, Good Faith in European contract law: surveying the legal landscape, in R. Zimmerman & S. Whittaker (eds.) Good Faith in European Contract Law, Cambridge, 2000, p. 7-62, 32.(15)  V. da ultimo F. Viglione, L’interpretazione del contratto nella common Law inglese. Problemi e prospettive, in Riv. dir. civ., 2008, p.134 ss.(16)  Gli articoli sull’interpretazione del contratto, in ogni ordinamento risentono di questa diversità di posizioni. V., in particolare, gli artt. 1362-1371 del codice civile italiano; l’art. 1140-1 dell’Avant projet francese ove si dice che “Toutefois, lorsque la loi contractuelle a été établie sous l’influence dominante d’une partie, on doit l’interpréter en faveur de l’autre” ; nonché gli articoli del DCFR 8:103 sull’Interpretation against party supplying term e 8 :104 Preference for negociated terms.(17)  N. Irti, Principi e problemi di interpretazione contrattuale, in Riv. trim., 1999, p. 1140; S. Martuccelli, L’interpretazione dei contratti del consumatore, Milano, 2000; C. Scognamiglio, Principi generali e disciplina speciale dell’interpretazione dei contratti dei consumatori, in Riv . dir. comm., 1997, p. 947.(18)  v. la utile ricostruzione delle varie posizioni, in B. Sirgiovanni, Interpretazione del contratto non negoziato con il consumatore, in Rass. dir. civ., 2006, p. 729 e nota 28. A tale testo, riassuntivo e critico, si farà qui riferimento.(19) A. Genovese, Contratti standard e interpretazione oggettiva, Milano, 2004, p. 26 ss.; G. Stella Richter, L’interpretazione dei contratti dei consumatori, in Riv. trim., 1997, p. 1027. (20) v. C. Scognamiglio, I contratti di impresa e la volontà delle parti contraenti, in Il diritto europeo dei contratti d’impresa. Autonomia negoziale dei privati e regolazione del mercato, a cura di P. Sirena, Milano, 2006, p. 493 ss.; G. Vettori, I contratti di distribuzione, ivi, p. 482 ss. (21) Sul punto si veda ora il bel libro di A. Rizzi, Interpretazione del contratto e dello statuto societario, Milano, 2002.(22)  A. Genovese, Contratti standard e interpretazione oggettiva, op. cit., p.70 ss. (23) G. Vettori, Autonomia privata e contratto giusto, in Riv. dir. priv., 2000, 5,  p. 21 ss. (24) G. Vettori, La lunga marcia della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, in Riv. dir. priv., 2007, 4, p. 5 ss.; Id., Il diritto dei contratti fra Costituzione,Codice civile e Codici di settore, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2008, p. 784 ss. (25) Cfr. in particolare la giurisprudenza sul «principio di precauzione» di cui all’articolo 174, paragrafo 2 del trattato CE (sostituito dall’articolo III-233 della Costituzione): sentenza del TPG dell’11 settembre 2002, causa T-13/99 Pfizer c. Consiglio, con numerosi rinvii ai precedenti giurisprudenziali e una serie di sentenze sull’articolo 33 (ex 39) in merito ai principi della normativa agricola, ad es.: sentenza della Corte di giustizia, causa C-265/85 Van den Berg, Racc. 1987, pag. 1155: analisi del principio della stabilizzazione del C 310/458 IT Gazzetta ufficiale dell’Unione europea 16.12.2004 mercato e delle aspettative ragionevoli (26) V. da ultimo G. Vettori, La lunga marcia della Carta dei diritti fondamentali, cit., p. 5ss. Da cui traggo queste osservazioni. (27)  Nelle conclusioni del Consiglio europeo svolto a Bruxelles il 21 e 22 giugno 2007 si è deciso che la Carta dei diritti assuma valore giuridico con il richiamo dell’art. 6 dei Trattati, richiamando il Titolo VII sulla interpretazione e applicazione. Salvo  la dichiarazione unilaterale della  Polonia e il protocollo aggiuntivo voluto dal Regno Unito. (28)  G. Vettori, Il diritto dei contratti fra Costituzione,Codice civile e codici di settore, cit., p. 787. (29)  Collega dunque la funzione giurisdizionale alla sovranità popolare, e la soggezione alla legge precisa questo collegamento. L’attività del giudice non si attua in una forma di partecipazione politica ma attraverso un’attività intellettiva. In tale attività non può ingerirsi un altro potere e neppure un altro giudice. Non esiste neppure una soggezione rispetto al Parlamento perché il giudice può sollevare una questione di costituzionalità di una legge ordinaria. Il giudice partecipa dunque all’attuazione della volontà generale, spesso muovendosi su di un labile confine con l’ambito riservato alla politica che assieme al diritto, del resto, è una scienza sociale.(30)  V. sul punto il bel libro di A. Orsi Battaglini, Alla ricerca dello Stato di diritto. Per una Giustizia “non amministrativa”, Milano, 2005, p.115, 116, 117-118, 121-122.(31)  A. Orsi Battaglini, op. cit., p. 117.

Pubblicato in Contratto e Mercato, Editoriale

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