ISSN 2239-8570

Obblighi informativi e tutela dell’investitore. L’evoluzione del sistema e le novità introdotte dalla MiFID, di Serena Meucci

 Dottore di Ricerca e Assegnista in Diritto Civile – Università di FirenzeD. lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 – Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria – Testo aggiornato con le modifiche apportate dal d. lgs. n. 164 del 17 settembre 2007 (MiFID), dal d.lgs. n. 195 del 6 novembre 2007 e dal d.lgs. n. 229 del 19.11.2007Regolamento Consob recante norme di attuazione del d. lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 in materia di intermediari adottato con delibera n. 16190 del 29 ottobre 20071. Gli obblighi informativi in testa all’intermediario prima dell’attuazione della Direttiva MiFID: adeguatezza e mera esecuzione.Il riferimento di carattere generale è da individuare nell’art. 21 del Testo unico del 1998[1], le cui previsioni rafforzano i generali principi stabiliti dal codice civile in tema di adempimento delle obbligazioni.Gli obblighi di comportamento definiti dal T.U.F. tendono ad informare l’attività di prestazione dei servizi a finalità di efficienza, trasparenza e tutela del risparmiatore, congiuntamente a finalità di stabilità, competitività e buon funzionamento del mercato finanziario.La diligenza e la correttezza si ricollegano alla professionalità dell’intermediario chiamato a prestare un servizio caratterizzato da cognizioni tecniche ed alla necessità di evitare comportamenti fondati sulla disparità di forza contrattuale delle parti. La riserva delle attività di investimento ad operatori soggetti a vigilanza pubblica e la predisposizione di un sistema di regole volte a garantire la correttezza dell’informazione agli investitori individuano le modalità di intervento a fondamento del Testo unico al fine di colmare l’asimmetria informativa tra le parti del contratto e garantire efficaci forme di protezione.Il T.U.F. è particolarmente attento alla tutela della parte debole del rapporto contrattuale giustificata dalla fisiologica asimmetria informativa che caratterizza le parti stesse. Importante indice è rappresentato dall’art. 23 comma 6 ai sensi del quale “nei giudizi di risarcimento dei danni cagionati al cliente nello svolgimento dei servizi di investimento e di quelli accessori, spetta ai soggetti abilitati l’onere della prova di avere agito con la specifica diligenza richiesta”.Merita sin da subito precisare che le previsioni in tema di obblighi informativi previsti nel dettaglio dal regolamento in materia di intermediari adottato dalla Consob con delibera n. 11522 del 1° luglio 1998 si articolano con diversa intensità a seconda della tipologia di cliente (cliente al dettaglio o operatore qualificato)[2]. In questa sede si farà riferimento alla piattaforma degli obblighi sanciti per la clientela retail.Il Regolamento Consob n. 11522/98 ha circostanziato e precisato in maggior dettaglio le regole di comportamento che gli intermediari sono tenuti a rispettare nello svolgimento dei servizi finanziari di investimento.La tipizzazione dei doveri di diligenza implica l’enucleazione della serie di comportamenti che in concreto l’operatore è tenuto a realizzare, al fine di rendere 1’operazione il più possibile trasparente e comprensibile anche ad un cliente non esperto dei meccanismi del mercato e degli strumenti finanziari.La corretta analisi delle richieste di investimento dei clienti e la ponderata valutazione dei rischi riducono l’incertezza connessa agli investimenti finanziari entro quella connaturata alle operazioni eseguite sul relativo mercato. La finalità di tali doveri è l’effettiva tutela dell’investitore a fronte della complessità e dei livelli di rischio che caratterizzano il settore degli strumenti finanziari nonché la realizzazione dei superiori interessi della “stabilità, competitività e buon funzionamento del sistema finanziario” (art. 5 comma 1 T.U.F.).Regole generali di comportamento sono sancite all’art. 26 del Regolamento Consob 11522/1998: “Gli intermediari autorizzati, nell’interesse degli investitori e dell’integrità del mercato mobiliare:a) operano in modo indipendente e coerente con i principi e le regole generali del Testo Unico;b) rispettano le regole di funzionamento dei mercati in cui operano;c) si astengono da ogni comportamento che possa avvantaggiare un investitore a danno di un altro;d) eseguono con tempestività le disposizioni loro impartite dagli investitori;e) acquisiscono una conoscenza degli strumenti finanziari, dei servizi nonché dei prodotti diversi dai servizi di investimento, propri o di terzi, da essi stessi offerti, adeguata al tipo di prestazione da fornire (si tratta della c.d. Know your merchandise rule)f) operano al fine di contenere i costi a carico degli investitori e di ottenere da ogni servizio d’investimento il miglior risultato possibile, anche in relazione al livello di rischio prescelto dall’investitore.”.Entrando nel dettaglio degli obblighi informativi e della relativa articolazione nel sistema antecedente all’attuazione della MiFID, il principale riferimento è rappresentato dall’art. 28 del citato regolamento ai sensi del quale “prima della stipulazione del contratto di gestione e di consulenza in materia di investimenti e dell’inizio della prestazione dei servizi di investimento e dei servizi accessori a questi collegati, gli intermediari autorizzati devono:a) chiedere all’investitore notizie circa la sua esperienza in materia di investimenti in strumenti finanziari, la sua situazione finanziaria, i suoi obiettivi di investimento, nonché circa la sua propensione al rischio (c.d. Know your costumer rule).b) consegnare agli investitori il documento sui rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari di cui all’Allegato n. 3″. Tale documento ha la finalità di fornire informazioni di base sui rischi connessi agli investimenti.L’eventuale rifiuto del cliente di fornire le informazioni richieste deve risultare dal contratto con l’investitore (art. 30 Regolamento) e, quindi, rivestire la forma scritta.Gli intermediari non possono effettuare o consigliare operazioni o prestare il servizio di gestione “se non dopo aver fornito all’investitore informazioni adeguate sulla natura, sui rischi e sulle implicazioni della specifica operazione o del servizio, la cui conoscenza sia necessaria per effettuare consapevoli scelte di investimento o disinvestimento”.Prosegue la norma regolamentare sancendo in testa alla banca l’onere di avvisare prontamente e per iscritto l’investitore nel caso in cui si verifichino determinate, gravi circostanze, quali per esempio il presentarsi di una perdita (effettiva o potenziale) pari o superiore al 50% del valore dei mezzi costituiti a titolo di provvista e garanzia per l’esecuzione delle operazioni in strumenti derivati e in warrant disposte per finalità diverse da quelle di copertura e, quindi, per finalità speculative.Altra circostanza che determina l’obbligo di pronto avviso consiste nella riduzione del patrimonio affidato all’intermediario nell’ambito della gestione di portafoglio per effetto di perdite (effettive o potenziali) in misura pari o superiore al 30% del controvalore totale del patrimonio a disposizione, tenuto conto di eventuali conferimenti o prelievi.Strettamente connessa agli obblighi di informazione attiva (da fornire al cliente) e passiva (da richiedere e conseguire dal cliente) è la valutazione di adeguatezza (suitability) dell’investimento rispetto al singolo investitore, con particolare riferimento alla situazione patrimoniale, agli obiettivi d’investimento ed alla esperienza nel campo degli investimenti in strumenti finanziari.Tale previsione si traduce in un onere in testa alla banca, operativo per tutti i servizi di investimento prestati nei confronti della clientela al dettaglio, per la cui realizzazione assumono valore prodromico e strumentale le informazioni richieste ed ottenute dall’investitore (ex art. 28 Regolamento Consob 11522/1998 sopra citato) ed ogni altra informazione disponibile.La Consob, in varie comunicazioni, ha precisato che “al fine di valutare l’adeguatezza delle operazioni (c.d. suitability), come disposto dal successivo comma dell’art. 29 citato, l’intermediario tiene conto delle informazioni raccolte dagli investitori ai sensi dell’art. 28, comma 1, lett. a), del reg. Consob n. 11522/98 (esperienza in materia d’investimenti in strumenti finanziari, situazione finanziaria, obiettivi d’investimento, propensione al rischio) e di ogni altra informazione disponibile in relazione ai servizi prestati, relativa sia al cliente che agli strumenti finanziari oggetto dei servizi medesimi. Circa tale ultimo aspetto, si ricorda che l’intermediario deve disporre di una conoscenza degli strumenti finanziari e dei servizi da esso offerti adeguata al tipo di prestazioni da fornire (art. 26, comma 1, lett. e) del reg. Consob n. 11522/98). Dal quadro regolamentare sopra definito emerge che la valutazione dell’adeguatezza delle operazioni rappresenta un momento essenziale della corretta prestazione dei servizi d’investimento nei confronti degli investitori non qualificati; l’apprezzamento dei profili di adeguatezza può risultare più o meno complesso, a seconda del tipo di operazioni considerato e delle caratteristiche dell’investitore, ma non può essere omesso. Infatti, nel caso un’operazione disposta dal cliente si configuri come inadeguata, l’intermediario è tenuto al rispetto degli ulteriori adempimenti dettati dall’art. 29, comma 3, del reg. Consob n. 11522/98 e, in particolare, a informare il cliente dell’inadeguatezza dell’operazione disposta e delle ragioni per cui non è opportuno procedere alla sua esecuzione” (Comunicazione n. DI/98080595 del 14 ottobre 1998).In altra Comunicazione si legge: “Gli intermediari non sono esonerati dall’obbligo di valutare l’adeguatezza dell’operazione disposta dal cliente anche nel caso in cui l’investitore abbia rifiutato di fornire le informazioni sulla propria situazione finanziaria, obiettivi di investimento e propensione al rischio; nel caso, la valutazione andrà condotta, in ossequio ai principi generali di correttezza, diligenza e trasparenza, tenendo conto di tutte le notizie di cui l’intermediario sia in possesso (es. età, professione, presumibile propensione al rischio del cliente alla luce anche della pregressa ed abituale operatività, situazione del mercato)”. (DI/30396 del 21 aprile 00).Il rifiuto del risparmiatore di fornire le informazioni richieste non esaurisce dunque l’obbligo di diligenza a carico dell’intermediario, nè la circostanza che detto rifiuto risulti dal contratto con l’investitore – per il quale è prevista la forma scritta – esonera la banca da ogni responsabilità. In senso analogo si è pronunciata ampia giurisprudenza di merito[3].Nel caso in cui l’intermediario ritenga l’investimento non adeguato all’investitore “per tipologia, oggetto, frequenza o dimensione” ha l’obbligo di astenersi (art. 29 regolamento Consob 11522/1998).Sono dunque quattro le tipologie di inadeguatezza riconducibili ad una comparazione tra il rischio dello strumento finanziario e la propensione al rischio del cliente.Complessa e tuttora priva di riferimenti obiettivi è la valutazione di inadeguatezza per “dimensione” rispetto al portafoglio dell’investitore: la giurisprudenza di merito che si è pronunciata nei casi dei bonds Argentina e Cirio ha adottato criteri dimensionali diversificati ed affatto univoci[4].Assai frequente nelle pronunce giurisprudenziali – soprattutto per tipologie di investimenti dotati di un alto livello di rischio quali per l’appunto i titoli Cirio ed Argentina – è l’addebito in testa alla banca della violazione dell’art. 29 del regolamento con riferimento ad una scorretta valutazione di adeguatezza circa l'”oggetto” (il tipo di strumento). Ebbene, la giurisprudenza ha mostrato di tenere conto della propensione al rischio dell’investitore valutata con riferimento al tipo di portafoglio finanziario e ad altri indici quali il livello di scolarizzazione, l’età e la situazione finanziaria del cliente [5].Di natura particolare è l’inadeguatezza per “frequenza”, ipotesi riconducibile alla condotta della banca che in modo non rispondente agli interessi dell’investitore – ed a prescindere dal livello di rischio dell’operazione – effettua un numero elevato ed irragionevole di operazioni in strumenti finanziari al fine di moltiplicare le proprie commissioni di negoziazione (c.d. churring).In ogni caso, gli intermediari, quando ricevono da un investitore disposizioni relative ad un’operazione non adeguata, sono tenuti ad informarlo di tale circostanza e delle ragioni per cui non è opportuno procedere alla relativa esecuzione.Vi sono dei casi nei quali è consentito alla banca superare il dovere di astensione dal porre in essere operazioni non adeguate, fermo restando l’obbligo di informazione sopra indicato. Ciò si verifica allorquando è l’investitore ad impartire istruzioni vincolanti, per esempio nelle ipotesi di servizi di negoziazione e di trasmissione degli ordini.Sicchè qualora l’investitore intenda comunque dare corso all’operazione nonostante sia stato avvisato della relativa inadeguatezza, gli intermediari possono eseguire l’operazione sulla base di un ordine impartito per iscritto ovvero, nel caso di ordini telefonici, registrato su nastro magnetico o su altro supporto equivalente, in cui sia fatto esplicito riferimento alle avvertenze ricevute (art. 29).Una breve parentesi nel settore in oggetto prima dell’attuazione della MiFID è intervenuta con la c.d. Legge sulla tutela del risparmio (legge 28 dicembre 2005 n. 262) che ha modificato l’art. 21 del T.U.F., prescrivendo (comma 1 lettera a) in testa agli intermediari l’obbligo di classificare, sulla base di criteri generali definiti con regolamento Consob, il grado di rischiosità dei prodotti finanziari e delle gestioni di portafogli d’investimento, nonché l’obbligo – già sancito – di rispettare il principio di adeguatezza[6]. La finalità perseguita con tale modifica, che di fatto precisa obblighi già esistenti rafforzandone la procedura interna, è quella di fare assurgere la valutazione di adeguatezza al rango di norma primaria.Tuttavia, a fronte delle consistenti perplessità sollevate dagli operatori, la norma è stata abrogata ad opera della legge 6 febbraio 2007 n. 13 (legge comunitaria 2007) con la quale il Parlamento ha delegato il governo a dare attuazione alla c.d. Direttiva MiFID (2004/39/CE).Una novità rilevante si registra con riferimento al nuovo art. 25 bis del Testo unico: con tale norma si è estesa l’applicazione delle regole di condotta gravanti sugli intermediari nella prestazione dei servizi di investimento (art. 21 Tuf) e delle norme di cui all’art. 23 Tuf, anche alla sottoscrizione e al collocamento di tutti i prodotti bancari ed ai prodotti finanziari emessi dalle imprese di assicurazione.2. L’ attuazione della Direttiva MiFID – Market in Financial Instruments DirectiveIl nostro ordinamento in queste ultime settimane ha dato attuazione al complesso sistema di derivazione comunitaria (c.d. MiFID – Market in Financial Instruments Directive) con D. Lgs. 17 settembre 2007 n. 164[7] che ha modificato il Testo unico in materia di intermediazione finanziaria (d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, c.d. T.u.f.). A tale decreto è seguita una consistente normativa regolamentare di attuazione disposta dalla Consob e dalla Banca d’Italia[8].Il nuovo sistema – in vigore dal 1° novembre 2007 – ha ridisegnato la disciplina degli intermediari e dei mercati. Esso conclude un lungo ed incisivo processo di innovazione normativa, nel quale si sono intrecciati interventi di fonte nazionale e comunitaria: si tratta di uno snodo cruciale della disciplina dell’intermediazione dei prodotti finanziari che produrrà effetti significativi anche sugli assetti dei sistemi di vigilanza. Si è infatti definito un nuovo quadro di regole con l’obiettivo di rispondere ai considerevoli mutamenti nelle attività di intermediazione ed alle nuove esigenze di tutela del risparmio.La “Market in Financial Instruments Directive” (MiFID – Direttiva 2004/39/CE) è nata per rispondere all’esigenza assicurare protezione agli investitori e libertà di servizi a livello comunitario sulla base di principi di vigilanza armonizzati[9].L’evoluzione economica e sociale dell’ultimo decennio ha reso necessario l’adozione di un approccio nuovo rispetto a quello sotteso alla Investiment Services Directive del 1993 (Direttiva 93/22/CEE del 10 maggio 1993) che rappresenta l’antecedente del sistema MiFID: la crescita del numero degli investitori che operano nei mercati finanziari e la sempre più ampia gamma (e complessità) dei servizi e strumenti offerti richiede “che il quadro giuridico comunitario disciplini tutte le attività destinate agli investitori. A tal fine è indispensabile assicurare il grado di armonizzazione necessario per poter offrire agli investitori un livello elevato di protezione e consentire alle imprese di investimento di prestare servizi in tutta la Comunità, nel quadro del mercato unico, sulla base della vigilanza dello Stato membro di origine”[10].Il sistema di regole comunitarie che ne risulta è assai più ampio, articolato e dettagliato della precedente disciplina europea di riferimento (la direttiva n. 93/22/CEE), che si era limitata a dettare regole generali di armonizzazione minima delle legislazioni dei singoli Stati membri.L’evoluzione che si registra con l’emanazione della MiFID segna il passaggio verso una disciplina comunitaria più ambiziosa di armonizzazione massima, come strumento per realizzare un mercato finanziario europeo effettivamente integrato ed unico.Assai indicativo è l’approccio adottato dalle Istituzioni, noto come “procedura Lamfalussy”, varato con una risoluzione dell’European Council del 2001 ed articolato su quattro livelli legislativi così suddivisi: il primo riguarda la formulazione di principi quadro, (la direttiva di primo livello 2004/39/CE, c.d. direttiva MiFID). Spetta dunque al Consiglio ed al Parlamento Europeo varare, su proposta della Commissione, le direttive ed i regolamenti in cui vengono definiti i principi generali.Il secondo livello consiste nelle “misure attuative”, ovvero le misure necessarie per implementare a livello operativo quanto deciso al primo livello. Tali misure sono state elaborate dalla Commissione Europea con due provvedimenti: il regolamento n. 1287/2006, concernente la disciplina dei mercati, e, in particolare, la regolamentazione in tema di “pre-trade e post-trade transparency” delle operazioni; e la direttiva n. 2006/73/CE, che detta più precisamente disposizioni concernenti le regole di condotta (informazione; best execution; adeguatezza e appropriatezza; incentivi e così via) e di organizzazione degli intermediari.Il terzo livello (Cooperazione) consiste nel recepimento delle Direttive da parte degli Stati membri e nella predisposizione e attuazione delle misure di secondo livello da parte della Commissione con il supporto del “Comitato di livello 3” (CESR – Committee of European Securities Regulators, composto da rappresentanti delle Autorità di Vigilanza degli Stati membri dell’Unione Europea); ciò al fine di promuovere la cooperazione tra le autorità nazionali di vigilanza e agevolare l’applicazione uniforme della normativa negli Stati membri.Il quarto livello (Controllo) si realizza tramite l’attività di monitoraggio da parte della Commissione circa il corretto recepimento della legislazione europea negli stati membri. In caso di mancata conformità, la Commissione può intraprendere la procedura di infrazione presso la Corte Europea di Giustizia.L’obiettivo perseguito è quello di ridurre al minimo il rischio di frammentazione del quadro normativo europeo e di velocizzare il processo di recepimento nazionale della disciplina comunitaria. Coerente con il dichiarato fine è la realizzazione del c.d. “gold plating” tra gli Stati membri, principio che indica il divieto di adottare norme più restrittive sulle materie regolate nelle direttive, salvo diversa previsione. Precisa infatti la direttiva MiFID di secondo livello (2006/73/CE) che per l’applicazione uniforme dei “requisiti armonizzati”, “gli Stati membri e le autorità competenti non devono aggiungere regole vincolanti supplementari all’atto del recepimento e dell’applicazione delle disposizioni contenute nella presente direttiva, salvo qualora quest’ultima lo preveda espressamente” (7° Considerando). Emerge pertanto un approccio fortemente restrittivo rispetto alla possibilità degli Stati di “integrare” la disciplina comunitaria.3. Le novità apprestate dalla MiFID. Le modifiche al Testo unico del 1998 ed il nuovo regolamento Consob sugli intermediari dell’ottobre 2007Il nuovo sistema vigente a partire dal 1° novembre 2007 ridisegna la tutela dell’investitore ed incide in modo assai rilevante sulle regole di condotta e gli obblighi informativi.In linea generale la normativa di derivazione comunitaria ha introdotto un’accentuata modularità dei servizi di investimento che si concretizza in un differenziato assetto delle regole di conoscenza del cliente (know your costumer rule) e di valutazione dell’operazione adeguata ed appropriata all’informazioni raccolte.La ratio del nuovo sistema si ravvisa nella volontà di articolare la disciplina in modo più rispondente al tipo di servizio di investimento ed al tipo di cliente, con l’obiettivo di realizzare una razionalizzazione del mercato attraverso un bilanciamento tra esigenze non sempre convergenti di rapidità, competitività e flessibilità da un lato, e predisposizione di efficaci meccanismi di protezione, dall’altro.Se fino a poche settimane fa tali regole si applicano in modo comune ad ogni servizio di investimento, nel sistema Mifid si articolano non solo in base alla tipologia di cliente ma anche in base ai diversi servizi di investimento, per cui avremo:a) ampi obblighi di informazione attiva e di conoscenza del cliente con conseguente valutazione di adeguatezza, per i servizi di consulenza[11] e di gestione di portafogli[12];b) più ridotti obblighi di conoscenza del cliente con conseguente valutazione di appropriatezza per tutti gli altri servizi di investimento;c) fino a giungere alla disapplicazione di tali prescrizioni in caso di servizi di trasmissione e ricezione degli ordini in modalità di execution only (“mera esecuzione“), purchè in presenza di determinate condizioni che vedremo in dettaglio. L’execution only, non è dunque un nuovo o diverso servizio di investimento, ma è un particolare modo di essere dei servizi di esecuzione di ordini e di ricezione e trasmissione.Tale graduazione si traduce in un minore livello di discrezionalità della banca nel fornire il servizio e, corrispondentemente, in una meno intensa tutela per l’investitore.Partendo dall’adeguatezza dell’operazione, essa risulta analiticamente disciplinata agli artt. 39 e 40 del nuovo Regolamento intermediari adottato dalla Consob con delibera 16190 del 29 ottobre 2007.L’art. 39 indica le informazioni che l’intermediario deve richiedere e conseguire dal cliente (c.d. informazione passiva), modulate – come detto – in base al tipo di strumento finanziario.Sono previste infatti informazioni di carattere generale (quali la conoscenza ed esperienza nel settore di investimento rilevante per il tipo di strumento o di servizio; la situazione finanziaria e gli obiettivi di investimento), nonché ulteriori obblighi di diversa intensità a seconda del tipo di investimento, della complessità e livello di rischio.Il cuore della valutazione dell’adeguatezza si concretizza (art. 40 del Regolamento) nel verificare che la specifica operazione consigliata o realizzata soddisfi determinati criteri e, più precisamente:a) corrisponda agli obiettivi di investimento del cliente;b) sia di natura tale che il cliente sia finanziariamente in grado di sopportare il rischio connesso all’investimento compatibilmente con i suoi obiettivi di investimento;c) sia di natura tale per cui il cliente possieda la necessaria esperienza e conoscenza per comprendere i rischi inerenti all’operazione o alla gestione del suo portafoglio.Nel fornire servizi di consulenza in materia di investimenti o di gestione di portafogli, ove la banca non abbia ottenuto le informazioni indicate è tenuta ad astenersi dal prestare tali servizi. Né tanto meno gli intermediari possono incoraggiare un cliente a non fornire le informazioni richieste.La normativa regolamentare ha così accolto una soluzione netta, ovvero il generale obbligo della banca di astenersi dal prestare detti servizi in tutti i casi in cui non abbia ottenuto le informazioni dal cliente. Si superano in tal modo le incertezze emerse durante il regime previgente e l’astratta possibilità – già limitata dalla giurisprudenza di merito[13] – che la circostanza formale della manifestazione del rifiuto da parte dell’investitore potesse legittimare l’intermediario a prestare il servizio di investimento.Per i clienti professionali, come vedremo, tale valutazione è meno stringente e si introducono meccanismi presuntivi.Introdotta ex novo dalla Mifid è, invece, la valutazione in testa all’intermediario circa l’appropriatezza dell’operazione (artt. 41 e 42 del Regolamento).Tale previsione si applica allorquando gli intermediari prestano servizi di investimento diversi dalla consulenza in materia di investimenti e dalla gestione di portafogli, per i quali sussiste l’obbligo di suitability. In via esemplificativa, tale previsione trova applicazione nelle attività di collocamento e di negoziazione.Anche in questa ipotesi, spetta alla banca richiedere al cliente determinate informazioni relative alla propria conoscenza ed esperienza nel settore d’investimento rilevante per il tipo di strumento o di servizio. Alla luce di tali elementi, gli intermediari verificano che il cliente abbia il livello di esperienza necessario per comprendere i rischi che lo strumento o il servizio di investimento comporta.Qualora si ritenga che lo strumento o il servizio non sia appropriato per il cliente, vi è l’obbligo di avvertirlo di tale situazione affinché decida consapevolmente se proseguire o meno. Ove invece sia il cliente a non voler fornire le informazioni di cui all’articolo o qualora tali informazioni non siano sufficienti, gli intermediari sono tenuti ad avvertirlo che tale decisione impedirà di determinare se il servizio o lo strumento sia per lui appropriato.L’appropriatezza presenta dunque un regime differenziato rispetto alla adeguatezza, fermo il diverso ambito applicativo che caratterizza le due figure a seconda della tipologia di servizio di investimento coinvolta.L’adeguatezza richiede in testa all’intermediario obblighi di informazione passiva più intensi nonché l’obbligo – formulato in modo netto – di astenersi nei casi di giudizio negativo (di inadeguatezza) e/o di impossibilità di formulazione del relativo giudizio per insufficienti informazioni. Tale previsione è particolarmente rilevante e coinvolge in prima battuta la banca e la relativa responsabilità nei confronti dell’investitore.L’appropriatezza si caratterizza invece per una minore intensità delle prescrizioni informative e per un diverso ambito del tipo di valutazione, ovvero l’analisi della “conoscenza e esperienza nel settore d’investimento rilevante per il tipo di strumento o di servizio proposto o chiesto”. L’indagine che caratterizza la suitability riguarda, più approfonditamente, la situazione finanziaria del cliente e gli obiettivi di investimento. Si tratta di una valutazione più complessa e “personalizzata” in un contesto che va oltre la competenza e l’esperienza e che coinvolge gli obiettivi e la situazione finanziaria del cliente.Vi è di più. Una fondamentale differenza si registra per la sussistenza di una “via di fuga” per l’intermediario nel caso di informazioni insufficienti fornite dal cliente o di esito negativo del giudizio di appropriatezza, ovvero l’obbligo di avvertire il cliente di tali circostanze.La differenza consiste nel soggetto che assume la decisione e la relativa responsabilità: l’intermediario, nel caso di adeguatezza, dovendosi astenere dal prestare il servizio; il cliente, nel regime della “appropriatezza”, salvo l’avvertimento reso dalla banca, pena la relativa responsabilità.Resta in ogni caso fermo ed impregiudicato il principio sancito all’art. 23 ultimo comma del T.u.f. in tema di ripartizione dell’onere probatorio sopra esposto: spetta alla banca, in sede di giudizio di risarcimento dei danni cagionati al cliente nello svolgimento dei servizi di investimento ed accessori, l’onere di provare di aver agito con la “specifica diligenza richiesta”.Anche in questo ambito, gli obblighi di condotta dell’intermediario sono meno stringenti in caso di cliente professionale: la banca può infatti presumere il livello di esperienza e conoscenza necessario per comprendere i rischi connessi ai servizi di investimento o alle operazioni per le quali il cliente è classificato come professionale, escludendo l’obbligo di indagarne l’appropriatezza.Ultimo riferimento in questa graduazione degli obblighi degli intermediari, fondamentale nel rapporto con l’investitore ed i meccanismi di tutela, riguarda la “mera esecuzione o ricezione di ordini” (art. 43 ss Regolamento).In presenza di determinate condizioni gli intermediari possono prestare i servizi di esecuzione, ricezione e trasmissione ordini, senza che sia necessario ottenere tutte le informazioni o procedere alle valutazioni sopra analizzate. La banca è dunque esonerata dalla responsabilità di fare valutazioni circa l’appropriatezza dell’operazione che va a porre in essere.Tali condizioni sono:a) che si tratti di servizi connessi ad azioni ammesse alla negoziazione in un mercato regolamentato, o in un mercato equivalente di un paese terzo, a strumenti del mercato monetario (es. pronti contro termine), obbligazioni o altri titoli di debito (escluse le obbligazioni o i titoli di debito che incorporano uno strumento derivato), Organismi di Investimento Collettivo del Risparmio (OICR) armonizzati ed altri strumenti finanziari non complessi (individuati dall’art. 44 Regolamento intermediari[14]);b) che il servizio sia prestato a iniziativa del cliente o potenziale cliente;c) che il cliente o potenziale cliente sia stato chiaramente informato che, nel prestare tale servizio, l’intermediario non è tenuto a valutare l’appropriatezza e che pertanto l’investitore non beneficia della protezione offerta dalle relative disposizioni. L’avvertenza può essere fornita utilizzando un formato standardizzato;d) che l’intermediario rispetti gli obblighi in materia di conflitti di interesse.Si ricorda, infine, le incertezze che tuttora coinvolgono la giurisprudenza con riferimento ai rimedi esperibili dal cliente in caso di violazione dei doveri di informazione e comportamento da parte dell’intermediario: nullità del contratto o responsabilità, da qualificare in termini di responsabilità contrattuale o precontrattuale. Quest’ultima opzione è accolta da una nota sentenza della Corte di legittimità del 2005[15] che distingue tra regole di validità e regole di responsabilità, escludendo per le regole di comportamento ogni incidenza sulla validità del contratto[16]. La problematica e l’orientamento da ultimo citato, superato poi dalla stessa Cassazione in alcune sentenze[17], è ad oggi oggetto di ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite al fine di assicurare “in una questione di particolare importanza” “l’uniformità dell’orientamento giurisprudenziale”[18].


[1] Ai sensi di tale previsione, “nella prestazione dei servizi di investimento e accessori, i soggetti abilitati devono:a- comportarsi con diligenza. correttezza e trasparenza nell’interesse dei clienti e per l’integrità dei mercati;b- acquisire le informazioni necessarie dei clienti ed operare in modo che essi siano sempre adeguatamente informati;c- organizzarsi in modo tale da ridurre al minimo il rischio di conflitti di interesse e, in situazioni di conflitto, agire in modo da assicurare comunque ai clienti trasparenza ed equo trattamento;d- disporre di risorse e procedure, anche di controllo interno, idonee ad assicurare l’efficiente svolgimento dei servizi;e- svolgere una gestione indipendente, sana e prudente e adottare misure idonee a salvaguardare i diritti dei clienti sui beni affidati”.[2] Per un’analisi della problematica relativa alla classificazione della clientela, v. in questa sezione, S. MEUCCI “La classificazione della clientela ed il nuovo regime introdotto dalla MiFID. Dall’operatore qualificato al cliente professionale su richiesta”.[3] V., ex multis, Trib. Genova, 22 giugno 2006, Trib Cagliari, 2 gennaio 2006; Trib Padova 17 maggio 2006, in www.ilcaso.it.[4] Cfr. Trib Trani 31 gennaio 2006; Trib. Venezia, 16 febbraio 2006; Trib. Mantova 18 marzo 2004, in Giur.it., 2004 che ha ritenuto non adeguata un’operazione perché pari al 50% del portafoglio di investimento. Di diverso avviso, in particolare, Trib Alba, 19 agosto 2005, in Giur. it., 2006, 307; Trib Mantova 11 aprile 2006 relativa ad un investimento in obbligazioni Cirio per un ammontare inferiore al 25% del portafoglio, in www.ilcaso.it.[5] V. Trib. Roma, 31 marzo 2005, in Foro it., 2005, I, 2538, con nota di PERRONE, Prestiti obbligazionari, default e tutela successiva degli investitori:la mappa dei primi verdetti, Trib. Napoli, 22 marzo 2005, in www.dirittobancario.it; Trib. Mantova, 12 novembre 2004, cit.Cfr. inoltre Trib Torino, 7 novembre 2005, Giur. it., 2006, 521, nota di COTTINO.[6] Tale previsione, ora abrogata, sanciva: a): “I soggetti abilitati classificano, sulla base di criteri generali minimi definiti con regolamento Consob, che a tal fine può avvalersi della collaborazione delle associazioni maggiormente rappresentative dei soggetti abilitati e del Consiglio nazionale dei consumatori e degli utenti, di cui alla legge 30 luglio 1998, n. 281, il grado di rischiosità dei prodotti finanziari e delle gestioni di portafogli d’investimento e rispettano il principio di adeguatezza fra le operazioni consigliate agli investitori, o effettuate per conto di essi, e il profilo di ciascun cliente, determinato sulla base della sua esperienza in materia di investimenti in prodotti finanziari, della sua situazione finanziaria, dei suoi obiettivi d’investimento e della sua propensione al rischio, salve le diverse disposizioni espressamente impartite dall’investitore medesimo in forma scritta, ovvero anche mediante comunicazione telefonica o con l’uso di strumenti telematici, purché siano adottate procedure che assicurino l’accertamento della provenienza e la conservazione della documentazione dell’ordine”.[7] Pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 2 novembre 2007, n. 255 – Supplemento Ordinario n.222.[8] Riferimento privilegiato è rappresentato dal Regolamento della Consob in materia di intermediari adottato con delibera 16190 del 29 ottobre 2007. Oltre ad esso, merita ricordare la seguente normativa di recentissima adozione:1. Regolamento congiunto della Banca d’Italia e della Consob del 29 ottobre 2007 ai sensi del nuovo art. 6, comma 2-bis. Tale norma prevede che tali autorità disciplinino congiuntamente gli obblighi dei soggetti abilitati concernenti determinate materie.2. Il Protocollo di Intesa tra Banca d’Italia e Consob del 31 ottobre 2007 ai sensi del nuovo art. 5 comma 5 bis T.u.f. Detto protocollo, con l’intento di coordinare l’esercizio delle funzioni di vigilanza e di ridurre al minimo gli oneri gravanti sui soggetti abilitati, concerne: i compiti di ciascuna delle due autorità e le modalità del loro svolgimento, secondo il criterio della prevalenza delle funzioni; lo scambio di informazioni, anche con riferimento alle irregolarità rilevate e ai provvedimenti assunti nell’esercizio dell’attività di vigilanza.Il protocollo d’intesa è allegato al regolamento di cui sopra.3. Regolamento Consob delibera n. 16191 del 29 ottobre 2007 recante norme di attuazione del T.u.f. in materia di mercati pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 2 novembre 2007, n. 255 – Supplemento Ordinario n.222Tale regolamento riguarda, tra l’altro, i requisiti organizzativi ed obblighi di comunicazione delle società di gestione; i sistemi multilaterali di negoziazione e internalizzatori sistematici; gli obblighi di segnalazione alla Consob delle operazioni concluse su strumenti finanziari; il regime di trasparenza pre e post-negoziazione sulle azioni ammesse a negoziazione nei mercati regolamentati; le prassi ammesse nei mercati.[9] Punto di partenza della MiFID è l’adozione l’11 maggio 1999 da parte della Commissione europea del “Financial Services Action Plan” (FSAP), Piano d’azione per i Servizi Finanziari con l’obiettivo di creare un mercato dei servizi finanziari pienamente integrato a livello europeo, indicando una serie di provvedimenti da adottare entro il 2005, tra i quali ruolo primario è ricoperto dalla Direttiva MiFID.[10] Così il Secondo Considerando della Direttiva MiFID di primo livello (Direttiva 2004/39/CE) la quale pertanto opta per la riscrittura completa e, quindi l’abrogazione della precedente direttiva 93/22/CEE che aveva accolto un approccio di armonizzazione minima.[11] Il nuovo art. 1 comma 5-septies, introdotto con D. lgs. 164/2007, dispone che “per “consulenza in materia di investimenti” si intende la prestazione di raccomandazioni personalizzate a un cliente, dietro sua richiesta o per iniziativa del prestatore del servizio, riguardo a una o più operazioni relative ad un determinato strumento finanziario. La raccomandazione e’ personalizzata quando e’ presentata come adatta per il cliente o e’ basata sulla considerazione delle caratteristiche del cliente. Una raccomandazione non e’ personalizzata se viene diffusa al pubblico mediante canali di distribuzione”.[12] Il nuovo art. 1 comma 5-quinquies del T.U.F., introdotto con D. lgs. 164/2007, precisa che “Per “gestione di portafogli” si intende la gestione, su base discrezionale e individualizzata, di portafogli di investimento che includono uno o più strumenti finanziari e nell’ambito di un mandato conferito dai clienti”.[13] V. precedente nota 3.[14] Art. 44 (Strumenti finanziari non complessi)1. Uno strumento finanziario che non sia menzionato all’articolo 43, comma 1, lettera a), è considerato non complesso se soddisfa i seguenti criteri:a) non rientra nelle definizioni di cui all’articolo 1, comma 1-bis), lettere c) e d), del Testo Unico, nonché nelle definizioni di cui all’articolo 1, comma 2, lettere d), e), f), g) h), i) e j) del Testo Unico;b) esistono frequenti opportunità di cedere, riscattare od ottenere altrimenti il corrispettivo di tale strumento a prezzi che siano pubblicamente disponibili per i partecipanti al mercato. Tali prezzi devono essere quelli di mercato o quelli messi a disposizione, ovvero convalidati, da sistemi di valutazione indipendenti dall’emittente;c) non implica alcuna passività effettiva o potenziale per il cliente che vada oltre il costo di acquisizione dello strumento;d) sono pubblicamente disponibili informazioni sufficientemente complete e di agevole comprensione sulle sue caratteristiche in modo tale che il cliente al dettaglio medio possa prendere una decisione informata in merito alla realizzazione o meno di un’operazione su tale strumento.[15] Cass. Sez. I 29 settembre 2005 n.19024, pluriedita: Foro it., 2006, I, 1105, con nota di SCODITTI; in Danno e resp., 2006, 25, nota di ROPPO, AFFERNI; Giur. it., 2006, 1599, nota di SICCHIERO).In dottrina, per una chiara ricostruzione della problematica e limpide considerazioni, G. VETTORI, Contratti di investimento e rimedi, Obbl. contr., 2007, 10, p. 785.[16] Così, ROPPO, La tutela del risparmiatore fra nullità, risoluzione e risarcimento (ovvero, l’ambaradan dei rimedi contrattuali, op. cit., 627; A. DI MAJO, Prodotti finanziari e tutela del risparmiatore, in Corr. giur., 2005, 1284; A. PERRONE, La responsabilità degli intermediari, in Banca borsa tit. cred., 2006, 372 ss.In senso contrario, ex multis, D’AMICO, Le regole di validità e principio di correttezza nella formazione dei contratti, Napoli, 1996, 44 ss.; GRISI, voce Informazione (Obblighi di), in Enc. Giur. Treccani (Vol. Aggiornamento), 2006, 14.[17] Cass. 5 febbraio 2007, n. 2479 in Repertorio Foro it., 2007, Contratto in genere [1740], n. 210.[18] Ord. Cass., 16 febbraio 2007, n. 3683, in Cor. giur., 2007, 631, con nota di MARICONDA

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