La Grande Sezione della Corte di Giustizia pronuncia una importante sentenza, originata dal rinvio pregiudiziale del Tribunale Supremo spagnolo, diretta a chiarire le conseguenze derivanti dall’accertamento del carattere abusivo di una clausola di scadenza anticipata del contratto di mutuo.
In particolare, in entrambe le cause riunite, i giudici spagnoli chiedono alla Corte di stabilire – ed è questa la peculiarità del caso – di pronunciarsi sulla compatibilità con la Direttiva 93/13 non tanto della normativa spagnola nella parte in cui consente la risoluzione anticipata del contratto al mancato pagamento di almeno tre rate; quanto, piuttosto, dell’orientamento giurisprudenziale patrocinato dal Tribunale Supremo in questa materia.
Il rinvio pregiudiziale origina, infatti, dal problema di definire quali sono gli effetti, tanto sul piano sostanziale, quanto sul piano processuale, derivanti dalla caducazione di clausola abusiva frequentemente inserita dalla banca nei contratti di mutuo: quella che prevede la facoltà di risoluzione anticipata a vantaggio della banca, in caso di mancato pagamento, da parte del mutuatario, anche di una sola rata.
La Corte di Giustizia, riunite le cause, si trova ad affrontare due questioni essenziali.
In primo luogo, si tratta di stabilire se il giudice nazionale possa dichiarare il carattere parzialmente abusivo della clausola di scadenza anticipata del mutuo, limitandosi a eliminare i soli elementi che ne determinano l’abusività (la parte in cui è prevista la risoluzione anticipata per mancato pagamento di una sola rata), allo scopo d mantenere la parte residua non abusiva (la parte in cui è prevista la risoluzione anticipata per il mancato pagamento di tre o più rate).
A riguardo, la posizione della Corte di Giustizia sembra negativa. Essa esclude la possibilità di una dichiarazione parziale di abusività di una clausola contrattuale, sull’assunto secondo cui la mera eliminazione del motivo di risoluzione che rende abusiva la clausola equivarrebbe a una sostanziale revisione (non consentita) del contenuto della clausola medesima. Si ritiene, infatti, che il mantenimento parziale della restante porzione della clausola vada evitato, in quanto finirebbe per pregiudicare l’effetto dissuasivo esercitato sui professionisti dalla pura e semplice caducazione della pattuizione abusiva, compromettendo così l’obiettivo di lungo termine di cui all’art. 7 della Direttiva 93/13.
Per tale via, la Corte ribadisce così l’idea che non sia compatibile con la Direttiva 93/13/CE una normativa nazionale, come quella spagnola, che consente al giudice di integrare il contratto stipulato tra un professionista e un consumatore, rivedendo il contenuto della clausola abusiva (cfr. sentenza 14 giugno 2012, Banco Español; sentenza 30 aprile 2014, Kàsler). Compito dei giudici del rinvio, ai sensi dell’art. 6 della Direttiva, sarebbe esclusivamente quello di disapplicare le clausole abusive affinché non producano effetti vincolanti per il consumatore, salvo il caso in cui questi si opponga (cfr. sentenza 4 giugno 2009, Pannon).
Su queste premesse, la Corte passa poi ad affrontare la seconda questione, cioè quella della sorte a cui va incontro il procedimento speciale di esecuzione ipotecaria nel frattempo avviato dalla banca, in attuazione della clausola abusiva.
A riguardo, la giurisprudenza spagnola appare consolidata nell’escludere che il giudice della procedura esecutiva, una volta accertata l’abusività di una clausola, sia tenuto a dichiarare l’improcedibilità dell’esecuzione. Al contrario, viene ammesso che il giudice mantenga quel procedimento, per effetto della sostituzione della clausola abusiva con la norma suppletiva nazionale in cui è consentita la scadenza anticipata del mutuo solo in caso di mancato pagamento di almeno tre rate. Tale orientamento muove dalla considerazione che se venisse dichiarata l’improcedibilità dell’esecuzione speciale, la banca potrebbe, comunque, invocare la risoluzione del contratto, avviando il procedimento di esecuzione ordinaria; il quale, per le sue caratteristiche, risulterebbe più svantaggioso per il consumatore, permettendo di pignorare tutti i beni del mutuatario inadempiente.
Nonostante i principi ribaditi con riferimento alla prima questione, in quest’ultimo caso, la Corte di Giustizia sembra confermare il diverso orientamento patrocinato nel precedente relativo al caso Kàsler.
Nelle particolari ipotesi in cui il contratto non possa sopravvivere successivamente alla caducazione della clausola abusiva, l’art. 6 della Direttiva, come interpretato dalla Corte, non osta alla possibilità che il giudice nazionale sostituisca la clausola abusiva con una disposizione nazionale suppletiva. In casi di questo genere, infatti, l’integrazione del contratto con la regola suppletiva risponderebbe alla esigenza di evitare che l’invalidazione della clausola abusiva obblighi ad annullare il contratto in toto. Ciò nella considerazione che l’estensione della nullità dalla parte al tutto finirebbe per compromettere proprio la ratio protettiva della disciplina consumeristica, in quanto esporrebbe il consumatore a conseguenze dannose e penalizzanti.
In questa prospettiva, quindi, e con esclusivo riferimento ai casi in cui la clausola abusiva sia essenziale, la sostituzione con la regola suppletiva sarebbe pienamente giustificata alla luce delle finalità della Direttiva, in quanto realizza l’obiettivo dell’art. 6, cioè quello di «sostituire all’equilibrio formale, che il contratto determina tra i diritti e gli obblighi delle parti contraenti, un equilibrio reale finalizzato a ristabilire l’uguaglianza tra queste ultime, e non ad annullare qualsiasi contratto contenente clausole abusive».
Tanto affermato a livello di principio, la Corte precisa poi che è compito dei giudici nazionali verificare, in concreto, se la soppressione di una clausola come quella di risoluzione anticipata, implichi, per il contratto di mutuo, l’impossibilità di sopravvivere.
In particolare, nella specie, il giudice del rinvio è chiamato a considerare che l’annullamento totale del contratto di mutuo inciderebbe sulle modalità procedurali del diritto nazionale, potendo dare luogo alla procedura esecutiva ordinaria, anziché a quella speciale, i cui maggiori svantaggi per il consumatore debbono valutati al fine di poter giustificare la sostituzione della clausola abusiva con la regola legale.
La sentenza segnalata appare, dunque, particolarmente significativa sotto due punti di vista. Da un lato, essa impone di riflettere sulle caratteristiche del c.d. diritto derivato nazionale: in particolare, si tratta di affrontare il problema della ammissibilità di una interpretazione della giurisprudenza nazionale che costituisca una deroga in melius rispetto alla interpretazione della Corte di Giustizia. Dall’altro, la sentenza induce a riflettere sulla estensione del potere del giudice di rilevare d’ufficio l’abusività della clausola e di farsi carico delle conseguenze della relativa dichiarazione, laddove il contratto non sia in grado di sopravvivere in mancanza della pattuizione nulla.
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