La sentenza n. 23147/2013 della Cassazione torna sul delicato problema del rapporto tra i diversi danni risarcibili in conseguenza del pregiudizio alla salute. È noto, come ricorda un’autorevole dottrina (M. Franzoni, Il danno risarcibile, Milano, 2010, 417), che la definizione legislativa del danno biologico «ha eliminato alcune singole voci per assorbimento: il danno da vita di relazione, il danno estetico, il danno alla capacità lavorativa generica, il danno alla capacità lavorativa da micropermanenti ed il danno alla sfera sessuale».
Con riferimento a quest’ultimo, tuttavia, l’assorbimento sembra operare quando il soggetto venga leso esclusivamente nella capacità sessuale. Quando, invece, come nel caso sotteso alla sentenza che si segnala, la vittima, a seguito di un incidente automobilistico, è costretta a vivere su una sedie a rotelle, la valutazione dei danni subiti si articola su più piani.
In sintesi, la Cassazione conferma la sentenza d’appello, la quale, pur procedendo ad una liquidazione unitaria del danno alla salute, ha distinto nella motivazione tre voci di danno: biologico, morale ed esistenziale. Quest’ultimo non costituisce però – rileva la Suprema Corte – un’autonoma categoria di danno, venendo in rilievo soltanto come sintagma descrittivo della lesione di un diritto fondamentale della persona.
La Corte d’appello ha, infatti, posto in luce come, nel caso di specie, il danneggiato abbia lamentato, oltre al danno biologico (cioè alla lesione della salute) non già un generico pregiudizio esistenziale, ma un «danno non patrimoniale conseguente all’impossibilità di realizzare la [propria] persona sul piano sessuale, di realizzarsi attraverso la formazione di un nucleo familiare con figli, di continuare l’attività tennistica».
Oggetto di specifica considerazione e di autonoma liquidazione sono, pertanto, le conseguenze della lesione di una situazione giuridica soggettiva di rilevanza costituzionale, attinente a una dimensione essenziale della persona umana. Rispetto alla quale si colloca in una posizione ancora diversa il danno morale, ossia la sofferenza interiore prodotta dal fatto illecito, e il danno biologico.
A sostegno della diversità ontologica dei danni biologico, morale e dinamico-relazionale (quando l’illecito abbia violato diritti fondamentali), la Cassazione richiama il proprio precedente n. 20292/2012 in tema di danno parentale subito con la morte del figlio (ma si veda anche Cass. n. 22585/2013, già segnalata nel sito).
La Suprema Corte rigetta, inoltre, la censura secondo cui l’attore, in violazione del codice di rito, avrebbe richiesto il risarcimento del danno esistenziale solo in sede di precisazione delle conclusioni. La verità è un’altra, rileva la Cassazione: l’atto di citazione conteneva la domanda di risarcimento di tutti i danni derivanti dal sinistro e, quindi, anche del danno non patrimoniale come sopra riportato. «L’erroneità della denominazione adottata [si legge nella sentenza], di per sé sola, non fa ovviamente discendere l’illegittimità della liquidazione».
C’è un altro aspetto affrontato dalla sentenza prima ancora dei danni risarcibili: la mala gestio dell’assicuratore. Il quale, secondo il significato di questa locuzione, tiene un comportamento ingiustificatamente dilatorio. La mala gestio si distingue in «propria», riguardante i rapporti tra assicuratore e danneggiante assicurato, e «impropria», attinente ai rapporti tra assicuratore e terzo danneggiato.
Su questo tema la Suprema Corte ribadisce principi di diritto già consolidati nella propria giurisprudenza; in particolare sulla liquidazione ultramassimale (nella mala gestio «propria»), sulla corresponsione degli interessi sul massimale e del maggior danno ai sensi dell’art. 1224, comma 2, c.c. (in quella «impropria»).
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