Cass., 8 ottobre 2008, n. 24858
Ricercatore di diritto privato
SOMMARIO: 1. Il caso e le questioni. – 2. La funzione e il rapporto tra l’an e il quantum dell’assegno. – 3 L’incidenza della convivenza more uxorio e dell’incremento del reddito sulla misura dell’assegno.
1. Il caso e le questioni. Con la sentenza in commento (1) la Cassazione ritorna su alcuni importanti aspetti riguardanti la disciplina dell’assegno post-matrimoniale, confermando orientamenti consolidati. Prima di esaminarli si riporta il caso. Il Tribunale, emessa sentenza non definitiva di cessazione degli effetti civili del matrimonio, emana un’altra pronuncia con la quale dispone l’assegno sul cui importo influisce la nuova convivenza iniziata dalla ex moglie. Quest’ultima impugna ma la Corte d’Appello, applicando principi non condivisi dalla giurisprudenza di legittimità, rigetta il gravame. Le questioni affrontate dai giudici sono le seguenti: 1) quale sia il parametro cui rapportare l’inadeguatezza dei mezzi, presupposto dell’assegno di divorzio (art. 5 co. 6 legge n. 898/1970; 2) se rilevi, ai fini della determinazione della misura dell’assegno, il raggiungimento dell’autonomia economica da parte dei figli; 3) se influisca su tale misura la convivenza more uxorio iniziata dall’ex coniuge creditore; 4) se la titolarità da parte del coniuge richiedente di un diritto reale alienabile debba essere valutata come circostanza per diminuire l’importo dell’assegno; 5) se rilevi l’incremento del reddito da lavoro verificatosi dopo la pronuncia di cessazione degli effetti civili del matrimonio; 6) se i criteri di quantificazione previsti dall’art. 5 co. 6 legge n. 898/1970 debbano tutti essere impiegati dal giudice. Le soluzioni della Corte d’Appello, di seguito riferite, sono tutte sconfessate dalla giurisprudenza di legittimità. Sul punto 1) s’individua la funzione dell’assegno nel garantire una vita dignitosa, quindi una condizione vicina a quella del beneficiario degli alimenti. Sui punti 2) e 3) si crea una presunzione di miglioramento della situazione economica originata, rispettivamente, dal non dover più mantenere la prole e dal convivere con un nuovo compagno. Sul punto 4) si ritiene che un cespite, anche se improduttivo di reddito, sia comunque una ricchezza da tenere in conto per quantificare l’assegno in quanto la vendita arreca un’utilità economica. Sul punto 5) si afferma, nell’erronea convinzione di seguire l’orientamento dei giudici di legittimità, l’irrilevanza dei miglioramenti del reddito da lavoro. Se l’assegno è diretto a evitare “il deterioramento delle condizioni di vita esistenti in costanza di matrimonio”, realizzata questa finalità, l’eventuale aumento del reddito dell’obbligato non dovrebbe interessare la posizione giuridica dell’ex coniuge creditore. Sul punto 6) i giudici del merito omettono l’esame di alcuni parametri di quantificazione indicati dall’art. 5 co. 6, il che, come vedremo, é legittimo secondo la posizione della Suprema Corte, senza tuttavia fornire adeguata motivazione delle ragioni su cui s’incentra l’importo fissato. La sentenza della Corte territoriale è giustamente cassata in applicazione di principi consolidati riguardanti la funzione, il rapporto tra an e quantum e l’incidenza di taluni fatti sulla determinazione dell’assegno.
2. La funzione e il rapporto tra l’an e il quantum dell’assegno. L’art. 5 co. 6 legge n. 898/1970 non indica, com’è noto, il parametro cui rapportare l’inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente l’assegno post-matrimoniale. Secondo una tesi, non sostenuta adeguatamente dal dato normativo, l’assegno dovrebbe garantire una vita autonoma e dignitosa mediante una somma svincolata dal tenore di vita della famiglia. Si può replicare come alcuni criteri normativi di quantificazione valorizzino scelte e comportamenti che hanno connotato la vita matrimoniale. In tal senso, il “contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune”. Criterio che, insieme con gli altri, deve essere valutato in rapporto alla durata del matrimonio. Quest’ultimo riferimento, attribuendo rilevanza all’effettività della comunione di vita matrimoniale, dimostra chiaramente come l’importo cambi a seconda che gli apporti siano legati a una vita coniugale breve, media, o lunga. L’assegno, quindi, non garantisce lo svolgimento di una vita dignitosa (2), ma valorizza l’impegno nella famiglia del coniuge che, in conseguenza del divorzio, si trovi in situazione di debolezza economica, sebbene abbia contribuito al miglior andamento della vita matrimoniale, favorendo indirettamente il consorte nello svolgimento del proprio lavoro. Per raggiungere tale scopo si considera il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio e, in correlazione con esso, si quantifica la somma da corrispondere. Nel 1990 le Sezioni Unite della Cassazione (3) riconoscono la funzione assistenziale dell’assegno post-matrimoniale, il quale deve assicurare il mantenimento di un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio. Questa funzione è stata costantemente richiamata dalla giurisprudenza di legittimità (4) fino alla sentenza in commento. La quale afferma che il “giudice di merito deve determinare, sulla base delle prove offerte, la situazione economica familiare esistente al momento della cessazione della convivenza matrimoniale, raffrontandola con quella del coniuge richiedente al momento della pronuncia di divorzio, al fine di stabilire se quest’ultima sia tale da consentire [allo stesso richiedente] di mantenere un tenore di vita analogo a quello corrispondente alla indicata situazione economica della famiglia”. Dalle parole dei Supremi giudici emerge come l’impossibilità di svolgere il tenore di vita corrispondente a quello vissuto da sposati costituisca il presupposto dell’assegno e consenta, quindi, di individuare il coniuge legittimato a proporre la relativa domanda. L’esistenza del presupposto, tuttavia, non implica necessariamente il diritto di ricevere l’assegno in quanto quest’ultimo dipende dai criteri di quantificazione la cui applicazione può anche condurre, secondo la giurisprudenza di legittimità, a negare l’assegno. Si può quindi ritenere che il tenore di vita precedente sia oggetto di una valutazione teorica del presupposto dell’assegno, assumendo il significato tecnico di criterio di legittimazione all’azione. In altre parole il presupposto identifica il soggetto titolare dell’azione il quale potrebbe diventare creditore (piano processuale). L’attribuzione, invece, comporta una seconda operazione volta ad accertare, applicando i criteri di quantificazione, se l’assegno debba essere effettivamente corrisposto. Criteri che affondano nel vissuto matrimoniale (piano sostanziale) (5). Sotto quest’ultimo profilo, la Corte d’Appello, nel quantificare l’importo dell’assegno, non ha riconosciuto (com’era stato chiesto) una misura maggiore rispetto a quella stabilita a titolo di assegno di mantenimento (6), perché, a suo avviso, il raggiungimento dell’autosufficienza economica da parte dei figli avrebbe realizzato un risparmio anche per il genitore creditore tenuto, di conseguenza, solo alla vicinanza affettiva e all’assistenza. Ma per la Cassazione quest’affermazione è errata: piuttosto occorre verificare se la somma pretesa consenta un tenore di vita analogo a quello matrimoniale valutato anche il carico economico derivante dalle esigenze dei figli. Parimenti è giudicato errato l’assunto secondo cui l’alienazione della nuda proprietà immobiliare, essendo fonte di utilità economica, deve essere valutata nella quantificazione dell’assegno sebbene non ancora compiuta. In realtà l’alienazione, essendo ipotetica, non può influenzare la misura dell’assegno, così come i cespiti patrimoniali in nuda proprietà, poiché improduttivi di reddito, non rilevano per stabilire le condizioni economiche delle parti.
3 L’incidenza della convivenza more uxorio e dell’incremento del reddito sulla misura dell’assegno. Anche sulla convivenza more uxorio, la Corte d’appello formula conclusioni non condivisibili perché poste come assolute, allontanandosi così dalla sostanza dei rapporti concreti. Essa afferma erroneamente che l’inizio della convivenza con persona di altro sesso rilevi per ciò stesso come relazione more uxorio e – cosa ancor più dubbia – come fattore incidente sulla misura dell’assegno. La sentenza della Cassazione in commento, invece, richiama un orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo il quale il diritto all’assegno post-matrimoniale (e di mantenimento), in linea di principio, permane sebbene il richiedente abbia instaurato una convivenza con altra persona. Per ottenere una riduzione dell’importo, il coniuge richiesto di corrisponderlo deve provare che la convivenza abbia determinato un miglioramento delle condizioni economiche dell’avente diritto, miglioramento pur non assistito da garanzie giuridiche di stabilità ma adeguatamente consolidato e protratto nel tempo. Non è sufficiente quindi dimostrare l’instaurazione e la permanenza della convivenza perché questa è, di per sé, neutra quanto all’indagine sulla situazione economica dell’istante. Occorre invece provare – continua la Cassazione – l’influenza positiva della convivenza sulle condizioni economiche dell’istante, prova da raggiungere con ogni mezzo, anche per presunzioni tratte dal riferimento ai redditi e al tenore di vita della persona con cui si convive. Fornita la prova, il giudice dovrà o negare l’assegno o disporne la corresponsione in misura inferiore rispetto a quella che sarebbe stata prevista in assenza di convivenza (7). Un altro fattore che può influenzare l’ammontare dell’assegno post-matrimoniale (o di mantenimento) è l’incremento del reddito del soggetto tenuto a corrisponderlo. Ma, anche in questa ipotesi, non opera alcun automatismo (incremento = aumento) come ha stabilito la giurisprudenza di legittimità richiamata dalla pronuncia in esame. Il miglioramento del reddito, infatti, deve essere valutato dal giudice quando costituisce “naturale [e] prevedibile sviluppo dell’attività lavorativa svolta durante il matrimonio, potendo legittimamente e ragionevolmente configurarsi [in virtù di] aspettative, già presenti durante la convivenza, non aventi carattere di eccezionalità in quanto non connesse a circostanze ed eventi del tutto occasionali e inimmaginabili” (8). La rilevanza dell’incremento del reddito da lavoro dimostra come l’assegno sia volto non a garantire l’autosufficienza economica, ma a valorizzare il contributo alla vita familiare dato dal coniuge il quale, in conseguenza della crisi coniugale, si ritrova economicamente debole. Affermare, come si legge nelle pronunce giudiziali, che l’assegno di divorzio ha funzione assistenziale, forse non coglie la complessità dell’istituto il cui fine è bilanciare le situazioni economiche squilibratesi in conseguenza della crisi. L’esigenza di riequilibrio, giustificata dall’apporto alla vita familiare del coniuge più debole, emerge dai criteri di quantificazione. Data la loro centralità è dibattuto se il giudice debba utilizzare tutti i criteri di quantificazione dell’assegno previsti dall’art. 5 co. 6 legge n. 898/1970. Anche su questo punto la sentenza in commento conferma un consolidato orientamento giurisprudenziale, secondo il quale il giudice non è tenuto a motivare, per determinare l’importo dell’assegno, l’impiego di ogni parametro. Occorre però un’adeguata giustificazione della decisione sul quantum fondata sulla specifica considerazione anche solo di alcuni dei parametri, senza argomentare come abbiano influito gli altri (9). Nel caso di specie i giudici del merito non hanno preso in esame alcun parametro di quantificazione, sebbene l’ex moglie avesse fornito elementi utili per tale valutazione (10). Note1) Cass., 12 giugno-8 ottobre 2008, n. 24858.
2) Se la funzione dell’assegno post-matrimoniale fosse davvero garantire una vita dignitosa, non si spiegherebbe la prescrizione di valutare i criteri di quantificazione in rapporto alla durata del matrimonio (art. 5 co. 6 l. n. 898/1970).
3) Cass., Sez. un. 29 novembre 1990, n. 11490, in Foro it., 1991, I, c. 67 ss., con nota di E. QUADRI, Assegno di divorzio: la mediazione delle sezioni unite e con nota di V. CARBONE, Urteildämmerung: una decisione crepuscolare (sull’assegno di divorzio). Cfr. anche C. M. BIANCA, Natura e presupposti dell’assegno di divorzio: le sezioni unite della Cassazione hanno deciso, in Riv. dir. civ., 1991, II, p. 221 ss.
4) Cass., 29 ottobre 1996, n. 9439, in Fam. e dir., 1996, p. 508 ss.; Cass., 29 aprile 1999, n. 4319, in Foro it. on line; Cass. 19 luglio 1999, n. 7672, in Fam. e dir., 1999, 6, p. 577; Cass. 12 febbraio 2003, n. 2076, in Guida al dir., 2003, 14, p. 75 ss.; Cass., 11 marzo 2006, n. 5378, Cass., 6 ottobre 2005, n. 19446 e Cass., 2 febbraio 2006, n. 2338, tutte in Foro it., 2006, c. 1361 ss.; Cass., 28 gennaio 2008, n. 1758, in Fam. e dir., 2008, 3, p. 297 ss., ove si afferma anche che il diniego dell’assegno di divorzio non può fondarsi sulla dichiarazione dei coniugi resa in occasione della separazione, di essere economicamente autosufficienti.
5) Pone in luce la distinzione tra piano processuale e sostanziale dell’assegno post-matrimoniale M. DOSSETTI, Gli effetti della pronuncia di divorzio, in Famiglia e matrimonio, Trattato continuato da G. Bonilini, Torino, 2007, p. 771 ss., la quale non reputa contraddittorio, come invece qualche autore, affermare da un lato la funzione assistenziale dell’assegno e dall’altro ammettere che in concreto esso possa essere negato. D’altra parte se vi è uno stretto legame tra importo dell’assegno e fatti radicati nella vita matrimoniale, come emerge dai criteri di quantificazione, vi possono essere situazioni in cui non si giustifichi la corresponsione. Ciò può accadere quando, per la brevissima durata del matrimonio, non si possa ritenere instaurata la comunione di vita (Cass., 29 ottobre 1996, n. 9439, in Foro it., 1997, I, c. 1541 ss., con nota di E. QUADRI, Rilevanza della «durata del matrimonio» e persistenti tensioni in tema di assegno di divorzio), oppure quando la reciproca interazione dei criteri, alcuni favorevoli altri sfavorevoli al richiedente, si annullino. Tuttavia, secondo Dossetti, se i criteri di quantificazione operano a favore del coniuge più abbiente e il richiedente l’assegno si trovi in stato di indigenza, quest’ultimo avrà diritto a ricevere gli alimenti, rilevando la sua precaria situazione economica sotto il profilo delle “condizioni dei coniugi”.
6) Secondo la giurisprudenza di legittimità, la determinazione dell’assegno di divorzio è indipendente dalle statuizioni patrimoniali operanti, per accordo tra le parti o in virtù di decisione giudiziale, in conseguenza della separazione personale. Ciò dipende, in sintesi, dalla diversità delle discipline sostanziali e delle decisioni giudiziali. “L’assegno divorzile, presupponendo lo scioglimento del matrimonio, prescinde dal regime degli obblighi di mantenimento e di alimenti operanti nel regime di convivenza o di separazione, costituendo effetto diretto della pronuncia di divorzio, onde l’assetto economico relativo alla separazione può rappresentare un mero indice di riferimento, nella misura in cui appaia idoneo a fornire utili elementi di valutazione” (cfr. Cass., 9 maggio 2000, n. 5866, in Foro it. on line; Cass., 11 settembre 2001, n. 11575, in Fam. e dir., 2002, 3, p. 285 ss., con nota di G. SCIANCALEPORE, La funzione assistenziale dell’assegno di divorzio; Cass., 20 gennaio 2006, n. 1179, in Fam. pers. succ., 2005, 6, p. 404 ss.).
7) Cass., 20 gennaio 2006, n. 1179, in Giust. civ., 2006, I, p. 1734 ss. In questo caso l’ex marito si opponeva alla corresponsione dell’assegno di divorzio adducendo, tra l’altro, che la convivenza da nove anni della ex moglie con un nuovo compagno, incrementando le risorse economiche della stessa, avrebbe dovuto spingere il giudice a negare l’assegno. Il tribunale e la Corte d’Appello, invece, stabiliscono l’assegno a favore della ex moglie. Il Giudice dell’impugnazione ritiene che il richiedente abbia raggiunto la prova del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio mentre l’appellante non abbia fornito, in primo grado, la prova di prestazioni economiche continuative fornite alla ex moglie da parte del convivente di quest’ultima. La Cass. conferma la decisione della Corte d’Appello. Cfr. anche Cass., 20 gennaio 2006, n. 1179, cit., con nota di D. TORELLI Convivenza more uxorio e diritto all’assegno di divorzio, in cui si afferma che la convivenza, di per sé, non influenza la misura dell’assegno poiché essa può realizzarsi con persona priva di redditi e di patrimonio. Occorre allora provare l’incidenza della convivenza sulla situazione patrimoniale del soggetto richiedente l’assegno o che già benefici di quest’ultimo.
8) Cass., 29 aprile 1999, n. 4319, in Foro it. on line; Cass., 8 febbraio 2000, n. 1379, in Dir. e giust., 2000, 6, p. 8 ss.; Cass., 7 maggio 2002, n. 6541, in Fam. e dir., 2003, 3, p. 228 ss., con nota di G. SCIANCALEPORE, Assegno di divorzio e perdita di chance: la scelta della Cassazione, secondo la quale il tenore di vita cui rapportare la misura dell’assegno è quello che poteva legittimamente e ragionevolmente fondarsi su aspettative maturate nel corso del rapporto matrimoniale; Cass., 16 luglio 2004, n. 13169, in Foro it. on line; Cass., 26 settembre 2007, n. 20204, in Foro it., 2007, I, c. 3385 ss., la quale ha reputato un incremento di reddito eccezionale non legato alla vita matrimoniale quello realizzatosi dopo circa dieci anni dalla cessazione della convivenza.
9) Cass., 16 luglio 2004, n. 13169, in Foro it. on line; Cass., 21 gennaio 2006, n. 1179, cit.
10) Quanto alle “condizioni personali dei coniugi” la ex moglie aveva evidenziato che alla luce della propria età, oltre cinquanta anni, non poteva reperire altra occupazione in considerazione dell’alto tasso di disoccupazione e di un mercato interessato al lavoro giovanile. Sulle “ragioni della decisione” ella aveva provato che la causa del fallimento del matrimonio risiedeva nell’adulterio del marito. Aveva anche dimostrato il proprio “contributo personale ed economico dato …alla conduzione familiare”, nonché il contributo indiretto, attraverso sacrifici a beneficio della famiglia, al successo professionale e reddituale dell’ex marito.
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