La sentenza in esame affronta una questione giuridica nuova di grande interesse, in quanto priva di precedenti di legittimità, che si pone in una linea di ulteriore puntualizzazione del tema delle impugnative negoziali.
L’occasione è offerta dal ricorso con il quale due sorelle convengono in giudizio i genitori e un’altra sorella (e il cognato) per far accertare la natura simulata delle vendite immobiliari poste in essere dai primi a favore della seconda. Le ricorrenti sostengono di essere in presenza di vendite che dissimulano delle donazioni, in ragione, tra l’altro, del rapporto di parentela esistente tra i contraenti e della incongruità del prezzo pattuito rispetto all’effettivo valore dei beni venduti. L’accertamento della simulazione di tali atti negoziali è, peraltro, strumentale, per le ricorrenti, rispetto alla possibilità di avvalersi, in un secondo momento, del rimedio della opposizione alla donazione di cui all’art. 563 c.c..
La domanda di simulazione relativa oggettiva viene accolta in primo grado e la relativa sentenza viene poi impugnata dai genitori. La Corte d’Appello di Milano accoglie il gravame, accertando la nullità delle donazioni segnalata dagli appellanti, in quanto gli atti dissimulati non rispettano i requisiti di forma previsti per questo negozio. Conseguentemente, la domanda originaria delle ricorrenti non può essere accolta, stante la nullità per vizio di forma degli atti dissimulati.
Queste ultime propongono, allora, ricorso per Cassazione. Ai presenti fini, giova concentrare l’attenzione sul secondo e sul terzo motivo di impugnazione, che vengono trattati congiuntamente dalla Corte.
Da un lato, le sorelle sostengono che, una volta proposta la domanda di simulazione relativa oggettiva, l’accertamento di una causa di nullità del negozio dissimulato dovrebbe condurre alla relativa declaratoria da parte del giudice, ancorché quest’ultimo sia privo dei requisiti di forma o di sostanza. Con la conseguenza che il gravame in secondo grado avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile per difetto di interesse o, comunque, avrebbe implicato l’accertamento della inidoneità dell’atto dissimulato a produrre i suoi effetti.
Dall’altro lato, le medesime lamentano la violazione dei principi in tema di rilievo d’ufficio della nullità, in quanto i giudici di appello avrebbero dovuto accogliere la domanda, al fine di evitare che un negozio nullo (per difetto di forma) continui a produrre i suoi effetti.
Nel trattare congiuntamente i predetti motivi di ricorso, la sezione II della Corte muove da una riflessione sull’azione di simulazione, evidenziando come questa sia stata esperita dalle ricorrenti non al fine di ottenere l’inefficacia delle donazioni (giacché questa discenderebbe solo dall’eventuale azione di riduzione, da esperire dopo la morte dei donanti), bensì al diverso scopo di trascrivere l’atto di opposizione della donazione ex art. 563, comma 4, c.c. e di preservare l’eventuale futura azione di restituzione verso i terzi acquirenti.
Una tale azione e la successiva azione di restituzione nei confronti dei terzi, peraltro, sono state ritenute ammissibili dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass., n. 2968/1987; Cass., n. 11012/2013), con esclusione, però, della restituzione nella ipotesi di donazione indiretta: in quest’ultimo caso, infatti, al legittimario non spetterebbe anche una tutela recuperatoria di carattere reale, “essendo i suoi diritti assicurati solo dall’obbligo del donatario di reintegrare la quota lesa con il suo controvalore economico” (così Cass., n. 11496/2010).
Ciò premesso, la Corte chiarisce che presupposto implicito, quanto indispensabile per l’utile esercizio dell’azione di riduzione e della successiva azione di restituzione verso i terzi è la validità della donazione di cui si discute, benché dissimulata. Nel caso in cui, invece, la donazione sia nulla (per difetto di forma), “il legittimario recupera il bene stesso nella sua integralità, e non anche nei limiti in cui risulti lesa la sua quota di legittima”, dal momento che il bene, di fatto, non è mai fuoriuscito da patrimonio del de cuius.
Pertanto, la Corte conferma la decisione dei giudici d’appello, laddove questi hanno rilevato, su sollecitazione degli appellanti, la nullità delle donazioni dissimulate, in linea con i principi enunciati dalle sentenze SSUU nn. 26342-26343 del 2014, che consentono il rilievo d’ufficio della nullità in ogni stato e grado del giudizio. Ciò che, correttamente, i giudici di appello non potevano fare è anche pervenire alla declaratoria di quella nullità, in assenza di una domanda di accertamento della stessa; tanto in virtù della regola processuale che vieta la proposizione di domande nuove in caso di appello, la quale è destinata a operare anche rispetto all’esercizio di poteri giudiziali officiosi. Quindi, nei casi in cui – come quello di specie – il rilievo della nullità intervenga in occasione dell’esame di una domanda volta a far valere una diversa patologia negoziale (la simulazione), se non è stata proposta chiesta la nullità in primo grado, il giudice deve rigettare quella domanda. Nella motivazione della sentenza dovrà comunque essere indicato che il rigetto è dovuto al fatto che è stata rilevata una causa di nullità, la quale, però, non può essere dichiarata per mancanza di una espressa richiesta delle parti.
Cionondimeno, la Corte conferma che quell’accertamento della nullità intervenuto in grado di appello, benché non possa sfociare in una dichiarazione in dispositivo, è suscettibile di acquisire efficacia di giudicato tra le parti, precludendo, in un successivo giudizio, la possibilità di essere rimesso in discussione (cfr. SSUU nn. 26342-26343 del 2014).
Alla luce di tali consolidati principi giurisprudenziali, dunque, la Corte di Cassazione giunge a risolvere la peculiare questione in esame. Il ricorso non trova accoglimento sia perché una domanda di nullità non è mai stata proposta nel corso del giudizio di primo grado, sia perché un’azione di simulazione, strumentale all’esercizio del diritto di opposizione, presuppone sempre la validità della donazione, elemento che, nel caso di specie, difetta.
Resta fermo, tuttavia, che l’accertamento della nullità compiuto d’ufficio dai giudici di appello sia inoppugnabile nei rapporti tra le parti del giudizio. Conseguentemente, le ricorrenti ben potranno fruire dei vantaggi di tale giudicato quando, all’apertura della successione dei donanti, verrà verificata l’effettiva consistenza del loro patrimonio, che includerà“anche quei beni solo apparentemente fuoriusciti con la stipula degli atti oggetto di causa”.
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