Con sentenza del 12 gennaio 2023, la Corte di Giustizia ha precisato ulteriormente la disciplina delle conseguenze del carattere abusivo delle clausole costituenti l’oggetto del contratto. I giudici di Lussemburgo sono infatti tornati sull’obbligo di redazione, in forma chiara e trasparente, delle clausole di determinazione del prezzo, occupandosi delle conseguenze della eventuale dichiarazione di abusività di siffatte pattuizioni, essenziali, nel caso in cui la prestazione del professionista fosse già stata eseguita e avesse carattere irripetibile.
La vicenda trae infatti origine dalla domanda di rinvio pregiudiziale della Corte suprema di Lituania. La questione concerneva, infatti, cinque contratti, stipulati nel 2018 tra un professionista (avvocato) e un consumatore per la prestazione di servizi legali da parte del primo in favore del secondo. In particolare, le clausole di determinazione degli onorari del professionista prevedevano la fissazione di un importo retributivo meramente orario nonché la parziale, immediata esigibilità degli onorari di fronte alla presentazione della fattura da parte del legale, “… tenendo conto delle ore di consulenza o di prestazione di servizi legali effettuate”. Nel 2019, non ottenendo il pagamento della totalità degli onorari reclamati, il professionista adiva il Tribunale distrettuale di Kaunas, Lituania, e chiedeva la condanna della controparte al pagamento delle somme residue non corrisposte, delle spese sostenute per l’adempimento dei contratti nonché degli interessi legali. Il Tribunale accoglieva solo parzialmente la domanda del professionista: dichiarava infatti abusivi i cinque contratti e riduceva della metà gli onorari richiesti, condannando il consumatore a corrispondere l’importo residuo, nonché il professionista a corrispondere l’importo delle spese legali sostenute al primo. Il professionista ricorreva, quindi, in appello, ma il gravame era rigettato dal Tribunale regionale di Kaunas. Infine, proponeva ricorso dinanzi alla Corte suprema di Lituania avverso detta pronuncia e quest’ultimo giudice adiva la Corte di Giustizia in via pregiudiziale, sulla base di sei motivi.
Con la prima questione, il giudice di Lussemburgo è chiamato ad indicare se la pattuizione relativa alla determinazione della retribuzione del professionista in base a tariffe di tipo orario, che non sia stata oggetto di negoziato individuale, rientri nella nozione di clausola relativa all’oggetto principale del contratto (ex art. 4, par. 2, Dir. 93/13/CEE). La Corte conferma che la clausola di determinazione del prezzo definisce l’essenza stessa del rapporto contrattuale e rientra pertanto nella nozione di “oggetto principale del contratto”; risulta peraltro irrilevante, a tal fine, se essa sia stata o meno oggetto di negoziato individuale, nonché se tale negoziato si sia effettivamente svolto.
Con la seconda e terza questione, trattate congiuntamente, la Corte chiarisce ulteriormente i contenuti dell’obbligo di trasparenza ex art. 4 par. 2, Dir. 93/13. Essa, infatti, è chiamata a pronunciarsi sulla conformità al dovere di trasparenza della mera indicazione della tariffa oraria, senza ulteriori precisazioni in merito alla retribuzione del professionista (seconda questione); in secondo luogo, e in caso di risposta negativa al precedente quesito, quale fossero le informazioni che il professionista è tenuto a fornire al consumatore a tal fine, nonché se possa considerarsi tale obbligo adempiuto qualora sopraggiungano in corso di esecuzione del contratto (terzo quesito). La Corte ribadisce innanzitutto che, affinché possa essere ritenuto trasparente, un contratto debba esporre chiaramente il funzionamento concreto delle clausole contrattuali, di modo che il consumatore sia posto in grado di valutare, in base a criteri precisi e intelligibili, le conseguenze economiche che gliene derivano; il rispetto di tale requisito deve essere valutato dal giudice nazionale, tenendo conto di tutte le circostanze esistenti al momento della conclusione del contratto.
Con riguardo al quesito successivo, la Corte afferma che il dovere di trasparenza impone che tutti gli elementi utili a valutare l’effettivo impegno finanziario assunto debbano essere comunicati al consumatore anteriormente alla conclusione del contratto, di modo che sia posto in grado di valutare se vincolarsi alle condizioni preventivamente indicate dal professionista sulla base di una stima quantomeno approssimativa del costo totale dei servizi richiesti.
Con la quarta questione viene sollevato il delicato punto del rapporto tra abusività della clausola contrattuale e violazione dell’obbligo di trasparenza. La Corte torna a ribadire ancora una volta che la formulazione trasparente di una clausola contrattuale costituisce solo uno degli elementi che incidono sulla sua dichiarazione di abusività; detta valutazione, infatti, non può prescindere dalla verifica da un lato dell’eventuale violazione del principio di buona fede e, dall’altro, della sussistenza dell’eventuale significativo squilibrio a danno del consumatore. Tuttavia, non essendo preclusa dall’art. 8 Dir. 93/13 la previsione di un livello di protezione più elevato per i consumatori, è considerata ammissibile la previsione nazionale che faccia discendere l’abusività della clausola dal suo carattere non trasparente.
Infine, con le ultime due questioni, la Corte di Giustizia è chiamata a pronunciarsi sulle conseguenze della eventuale dichiarazione di abusività – e dunque di invalidità – della clausola che determina la controprestazione spettante al professionista. In primo luogo, il giudice comunitario ribadisce la necessità di ripristinare la situazione in cui il consumatore si sarebbe trovato in assenza della clausola abusiva, per effetto della disapplicazione della medesima. Tuttavia, qualora la dichiarazione di invalidità del contratto nella sua interezza avrebbe per questo conseguenze deteriori rispetto alla prosecuzione del contratto, il giudice può procedere ad integrare la clausola relativa alla determinazione del prezzo per effettivo di una disposizione nazionale di natura suppletiva o pattizia.
Se, tuttavia, ciò non potesse avvenire, ne deriverebbero due ordini di due conseguenze: da un lato il contratto non potrebbe sussistere in assenza della clausola di determinazione del prezzo; dall’altro lato, il ripristino della situazione antecedente alla conclusione di detto accordo non potrebbe avvenire, avendo il consumatore già usufruito dei servizi legali del professionista. Il ripristino di detta situazione, secondo il ragionamento della Corte, si dovrebbe pertanto tradurre, anche qualora la prestazione del professionista fosse già stata ricevuta, nella esenzione, in favore del consumatore, “… dall’obbligo di pagare gli onorari stabiliti sulla base di detta clausola.” Solo, infatti, nell’ipotesi in cui l’invalidazione dei contratti nella loro interezza esponesse il consumatore a conseguenze deteriori, infatti, il giudice nazionale sarebbe ammesso ad integrare l’accordo con una disposizione di diritto nazionale suppletiva o pattizia.
Tuttavia, sottolinea la Corte, la dichiarazione di nullità è suscettibile di provocare ulteriori effetti in danno al consumatore. L’invalidità della clausola, infatti, potrebbe ingenerare una situazione di incertezza giuridica: da un lato, il professionista potrebbe reclamare il proprio compenso sulla base di una normativa nazionale, applicabile in caso di invalidità della relativa disposizione contrattuale; in secondo luogo, la nullità del contratto potrebbe estendersi alla validità ed efficacia degli atti compiuti in forza del contratto medesimo. In siffatti ipotesi, pertanto, la normativa comunitaria non osta all’applicazione di disposizioni nazionali, di natura suppletiva, purché da un lato si riferisca ai contratti conclusi tra professionista e consumatore e, dall’altro, la relativa formulazione non sia talmente generica da consentire al giudice nazionale “(…) di fissare, sulla base di una propria stima, il compenso dovuto per i servizi forniti (…)” – sempreché una tale disposizione sia presente nell’ordinamento.
Resta, tuttavia, precluso ai giudici nazionali di procedere alla revisione del compenso del professionista sulla base di una propria valutazione equitativa (“stima giudiziaria”), pena la frustrazione dell’effetto dissuasivo delle disposizioni di cui agli artt. 6, par. 1, e 7, par. 1, della Direttiva de qua.
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