L’ordinanza interlocutoria che si segnala riguarda la vicenda ereditaria relativa all’esercizio di una farmacia. L’attore, ritenendosi erede unico dello zio defunto, titolare di una farmacia, agisce in giudizio nei confronti degli eredi della sorella per ottenere la dichiarazione di nullità dell’atto di donazione con il quale il comune padre aveva donato a quella la predetta farmacia. Inoltre, l’attore chiede di vedersi riconosciuta la propria qualità di unico erede legittimo titolare e proprietario della farmacia in questione. I convenuti, per contro, chiedono in via riconvenzionale il riconoscimento dell’acquisto per usucapione dell’esercizio farmaceutico da parte della loro dante causa, avendo quest’ultima esercitato la relativa attività commerciale per oltre trenta anni.
Il giudice di primo grado accoglie in parte la domanda attrice: dichiara la nullità parziale dell’atto di donazione e, nel contempo, afferma che la dante causa dei convenuti ha acquistato per usucapione ventennale la quota ideale in comproprietà dei beni strumentali costituenti l’universalità di mobili dell’azienda farmaceutica. Tanto viene deciso sulla base della considerazione che “la titolarità della farmacia non comportava necessariamente la proprietà del complesso dei beni costituenti l’azienda”, poiché “il diritto dominicale su tali beni poteva essere trasferito indipendentemente dall’autorizzazione all’esercizio della farmacia”. La Corte d’Appello conferma la sentenza di primo grado, rigettando la domanda dell’originario attore.
La controversia giunge così in Cassazione. La questione che si pone all’attenzione della Corte riguarda la usucapibilità dell’azienda: si tratta di stabilire se i beni costituenti l’azienda farmaceutica possano o meno essere usucapibili ex art. 1160 c.c. (Usucapione delle universalità di mobili). Tale questione risulta particolarmente delicata in considerazione del fatto che non si registrano precedenti specifici della Corte in proposito.
Al fine di impostare correttamente i termini del problema da sottoporre alle Sezioni Unite, la Corte riflette, preliminarmente, sul problema della natura giuridica dell’azienda, stante l’esistenza di due diverse ipotesi ricostruttive (quella unitaria e quella atomistica). Dalla soluzione di questo primo problema discendono due diverse possibili soluzioni in ordine alla questione principale.
I fautori della teoria unitaria (che considerano l’azienda un bene unitario, distinto dai singoli beni che la compongono) ammettono l’usucapibilità unitaria dell’azienda, sia pure su basi diverse. Secondo l’orientamento prevalente, l’usucapione del bene azienda va tenuta distinta rispetto a quella dei singoli beni che la compongono, la quale segue le regole proprie di ciascuno di essi.
I fautori della teoria atomistica (che considera l’azienda una semplice pluralità di beni tra loro funzionalmente collegati e non come un bene diverso da quelli che la compongono) escludono, invece, la possibilità di concepire l’usucapione dell’azienda; si ritiene, infatti, che la relazione di fatto con i beni aziendali possa produrre un effetto acquisitivo solo rispetto a ciascuno di essi, singolarmente considerati. Peraltro, la posizione dei sostenitori di questa teoria non è omogenea. In particolare, taluni ritengono applicabile, per analogia, in relazione ai beni mobili appartenenti all’azienda, la disciplina delle universitates mobiliari: di conseguenza, l’insieme dei beni aziendali, ai sensi dell’art. 1156 c.c., è sottratto dall’applicazione della regola “possesso di buona fede vale titolo” prevista per i beni mobili (art. 1153 c.c.); sarebbe, invece, sufficiente la prova di aver posseduto il complesso, e non quella dei singoli beni che lo compongono.
Tale complessa questione attende di essere risolta dalle Sezioni Unite.
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